5.19.2011

"Un partenariato per la democrazia e la prosperità condivisa con il Mediterraneo meridionale"

Discussione del documento:
(Doc. XVIII, n. 93) Risoluzione della 3a Commissione permanente sulla comunicazione congiunta al Consiglio europeo, al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni dal titolo: "Un partenariato per la democrazia e la prosperità condivisa con il Mediterraneo meridionale" (ore 12,19)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione.
È iscritto a parlare il senatorePerduca. Ne ha facoltà.
PERDUCA (PD). Signor Presidente, inizio il mio intervento con il non poter fare a meno di notare che a pagina 5 c'è l'uso di un'espressione che caratterizzava questi temi negli anni Sessanta e Settanta. Si continua cioè a parlare di diritti dell'uomo. Diciamo che oggi possiamo permetterci la traduzione letterale dall'inglese, se non vogliamo affrontare la questione dal punto di vista culturale, e parlare di diritti umani proprio perché appartengono anche alla donna. Se vogliamo promuovere delle strategie che abbiano a che fare tanto con la promozione della democrazia quanto con la prosperità e non garantiamo diritti e libertà alle donne, cioè alla metà di qualsiasi area geografica di cui si voglia parlare e in particolare in Medio Oriente e in tutta l'area del Mediterraneo, sicuramente né democrazia né prosperità possono essere considerate obiettivi raggiungibili.
Dico questo proprio in virtù delle ultime sommosse che hanno caratterizzato quella che viene ormai classificata su tutti i giornali una "primavera" mediorientale o araba, perché non di rado si ritiene che uno dei motivi per cui tutto ciò è nato sia da ravvisare nella mancanza di status sociale ed economico di buona parte di coloro i quali sono scesi in piazza per protestare contro i regimi autoritari e dittatoriali che vigevano in Tunisia, in Egitto, in Libia, in Siria, in Yemen, in Bahrein (e molto probabilmente nelle prossime settimane continueremo a vedere questo tipo di sommovimenti ampliarsi fino ad arrivare, che so, in Mauritania, in Ciad e, speriamo, un giorno uscire dal mondo arabo e arrivare anche in Iran).
La povertà è spesso frutto di vari fattori. Sicuramente ci sono problemi inerenti all'economia, che nei Paesi del Nord Africa è sfavorita, non soltanto da condizioni geografiche, ambientali e climatiche particolarmente poco indicate per coltivare in maniera intensiva ed estensiva tutta una serie di beni; ma la povertà è anche frutto, oltre che di un altro problema che toccherò più avanti, di una vera e propria esplosione demografica che negli ultimi trent'anni ha caratterizzato quella regione, facendone un luogo ultrapopolato e, in virtù della povertà e della finta promessa di un lavoro in zone urbane, ad altissimo tasso di urbanizzazione progressiva. Tale urbanizzazione da un lato ha creato megalopoli invivibili, ingovernabili e totalmente mancanti di qualsiasi tipo di struttura, dall'altro ha desertificato quelle parti di terra che avrebbero potuto essere coltivate e quindi avrebbero potuto contribuire al sostentamento o alla creazione di economie - per lo meno per quanto riguarda l'agricoltura - autosufficienti in buona parte di questi Paesi.
Se mettiamo insieme, appunto, da una parte i problemi economici e, dall'altra, l'esplosione demografica che ha caratterizzato questi Paesi, e li includiamo nella totale mancanza di rispetto dei diritti fondamentali, di certezza del diritto e quindi di pratica democratica quotidiana, ecco che abbiamo un contesto in cui sicuramente occorre avviare una lettura che includa questo problema nella ricerca di soluzioni possibili, ma altrettanto sicuramente fare sforzi ben superiori rispetto a quelli che ad oggi sono stati accennati.
Come ha giustamente detto poc'anzi il senatore Cabras, bisogna non soltanto ben titolare i documenti che si vogliono promuovere, ma anche dotarli di un finanziamento altrettanto adeguato.
La Commissione ha elaborato un documento che non soltanto tiene conto di quanto è stato detto dal Consiglio e dalla Commissione ed è successo nel mondo, ma, credo, ha anche dovuto tenere conto delle azioni e delle iniziative che questo Governo ha cercato di portare avanti nei mesi scorsi per far fronte a un contesto che in molti ritengono ancora oggi - ahinoi - essere una sorpresa, mentre chi segue con meno disattenzione le questioni mediorientali si è da sempre posto come una delle possibilità di sviluppo degli eventi.
Il Governo italiano credo continui - e questo gli è stato sempre riconosciuto da tutti, maggioranza, minoranza, opposizione e opposizione dell'opposizione, come per esempio chi vi parla - a mantenere, se non altro a parole, una grande attenzione al partner strategico più importante dell'area euromediterranea, ricordato anche dal senatore Cabras, e cioè la Turchia. Una Turchia che deve essere inclusa a pieno titolo in tutto ciò che è euromediterraneo; una Turchia che può - potrebbe - funzionare come agente politico, ma ancora di più come agente geopolitico nella ricerca di soluzioni di crisi che invece che perpetuare la stabilità che ha portato la sottomissione, spesso anche manu militari, di centinaia di milioni di persone (una stabilità fondata sulla ricerca del bilanciamento, se non altro nel breve-medio periodo, di un contesto che non ha mai conosciuto libertà) favoriscano l'evoluzione di un contesto che invece inizia ad assoggettare gli individui alla legge, piuttosto che ai carri armati (come invece continuiamo a vedere in queste ore in Libia, e credo ancor di più in Siria).
La Turchia quindi - e lo dice espressamente il Documento - deve essere coinvolta dai 27 Stati membri dell'Unione europea ogniqualvolta si prendano decisioni relativamente alle direttive di maggiore importanza in tema di politica estera comunitaria; ma è una Turchia che deve essere coinvolta tanto all'interno della Unione europea quanto all'interno della NATO e quanto, altrettanto sicuramente, all'interno del lavoro che occorre le democrazie riprendano in seno alle Nazioni Unite ogniqualvolta si parla di diritti umani, di promozione della democrazia e, ancor di più, di promozione della prosperità.
La Turchia, ricordiamolo, da almeno una decina d'anni, assieme alla Spagna, ha avviato all'interno dell'ONU la ricerca di un dialogo tra religioni diverse e, per quanto Stato ancora, fortunatamente, prevalentemente laico, può essere uno dei migliori partner nella ricerca di dialogo anche a livello religioso.
Il Governo italiano, però, non credo possa essere portato ad esempio di comportamento relativamente alla prevenzione o gestione di altri tipi di emergenze che si sono verificate negli ultimi due mesi, non soltanto perché all'indomani della prima rivolta di piazza tunisina il ministro Frattini ebbe modo di dire che il modello che dovrebbe valere per il Nord Africa era quello della Libia, cioè di un controllo della popolazione, non soltanto quella nazionale ma soprattutto quella non nazionale, che avrebbe potuto avviare una serie di flussi migratori verso il Nord, ma perché, tanto con il regime di Ben Ali quanto con il regime di Mubarak, l'Italia ha sempre mantenuto un rapporto di equilibrato vicinato per alcune questioni ma, molto probabilmente, di altrettanto coraggioso (detto col senno di poi) sostegno di alcuni tipi di politiche, tanto che l'Italia era andata a finanziare una scuola di giornalismo a Tunisi, in un Paese in cui esisteva la censura e dove venivano messi in carcere blogger nei giorni in cui le Nazioni Unite, nel 2005, organizzavano il summit mondiale sull'informazione. Si tratta di persone che, una volta in carcere, solo grazie alla partecipazione di molte ONG internazionali, ad una parte della società civile tunisina che non voleva sottomettersi alla politica di Ben Ali e grazie anche alla non violenza - vi furono scioperi della fame di giorni e giorni - sono riuscite a far conoscere, alla fine, qual era la vera realtà nel campo della libertà d'informazione tunisina.
Purtroppo, l'Italia ha continuato a finanziare quella scuola di giornalismo, in un Paese in cui non si poteva dire quel che si voleva perché altrimenti Ben Ali e la sua famiglia si sarebbero sentiti offesi e avrebbero reagito mettendo in carcere chi cercava di promuovere tutto quello che poi, invece, da tre settimane, l'Italia in primis ma anche gli altri Paesi europei ritengono essere il futuro necessario per la Tunisia.
L'ultima questione che volevo affrontare, visto che il tempo a mia disposizione è finito, riguarda due raccomandazioni presenti all'interno del Documento relative all'immigrazione, o comunque alla libertà di circolazione degli individui, e/o ancora alla necessità di armonizzare una serie di politiche da una parte e leggi dall'altra che non soltanto parlino di migranti economici ma che finalmente arrivino ad una definizione "europea" di diritto d'asilo, impegni che, tra l'altro, il Governo, nella persona del ministro Frattini, si è assunto in quest'Aula quando a marzo abbiamo discusso le varie risoluzioni sulla situazione libica.
Qui occorre ancora una volta una grande iniziativa, sicuramente italiana (non solo perché siamo i più vicini all'Africa) ma altrettanto sicuramente, come minimo, di tutti i Paesi europei che si affacciano sul Mediterraneo. Infatti, ancora oggi si sentono falsificare i dati, si sentono manipolare le poche informazioni reali circa la qualità di chi fugge, e si lascia alla propaganda, piuttosto che alla certezza normativa, il governo di questo fenomeno, che credo nei prossimi mesi possa diventare ancora più grave, e non fosse soltanto per il fatto che si va incontro alla bella stagione e, quindi, le condizioni del mare consentiranno maggiori sbarchi.
Tra un mese si terrà preciso il nuovo Consiglio europeo. Speriamo che l'Italia possa finalmente mantenere gli impegni che si assume in Parlamento a livello internazionale. Credo sia difficile, infatti, poter continuare anche a collaborare al miglioramento dei Documenti se, alla fine dei conti, non si riescono mai a portare a casa i risultati. (Applausi del senatore Tonini).

No comments: