10.12.2019

Due cose due in risposta del solito editoriale di Polito sulle droghe



Se ci sono dei colpevoli silenzi sulle droghe, e sicuramente ci sono, non son tanto quelli degli intellettuali o scrittori engagé, come lamenta Antonio Polito, ma quelli dei governi. E senza la stratificata complessità dei dati che descrivono il fenomeno droghe, le citazioni colte rischiano di far sviare il discorso. Un discorso che da sempre è pregiudizialmente e acriticamente contro le sostanze stupefacenti.
Le relazioni per il Parlamento che il Dipartimento Politiche Antidroga pubblica, seppur spesso in grave ritardo, non vengono lette da chi le commissiona né dai destinatari; la Conferenza nazionale sulle droghe, prevista per legge ogni tre anni, non viene convocata dal 2009; i numeri sulle morti per overdose, i raid nelle scuole o le tonnellate di droghe sequestrate, vengono sempre presentati con aumenti percentuali e mai nei loro numeri effettivi, per non parlare della vulgata della cannabis come droga di ingresso nel mercato delle sostanze pesanti smentita da decine di studi italiani e internazionali.
Le sostanze psicoattive accompagnano l'esperienza umana in tutto il mondo da almeno 4000 anni - tra l'altro niente è più culturalmente e vanto del Made in Italy che una sostanza "da sballo" come il vino - ma nel 2019 c'è ancora chi le dipinge come un rifugio autodistruttivo al vuoto interiore. E poco importa se questi riempimenti ci hanno dato i misteri eleusini, Baudelaire, i Beatles, i Rolling Stones o Jimi Hendrix, l'edonismo individualista è comunque da condannare - e non si sa se più perché edonismo o più perché individualista.
Ferma restando la necessità di legalizzare prima di liberalizzare, occorre che il fenomeno "droghe" venga affrontato in modo tale che sia il legislatore a coordinare e gestire i contributi favorendo un dibattito pubblico che non sia circoscritto alle "famiglie anti-droga" o le "comunità di recupero" perché, a oggi, da loro non è arrivata altra soluzione che non fosse il "just say no".

9.11.2019

il mio 9/11

I miei amici mi avevano organizzato un bachelor party sulla barca a vela nella baia di New York. Partenza al tramonto dal molo 17, insalata di riso, pasta fredda, pizza e fichi, birra e prosecco e un paio d'ore di navigazione tra Governor's Island and Battery Park.
Mangiate, risate, ricordi (con un paio avevamo concorso a far incriminare Milosevic due anni prima), chiacchiere, progetti e foto. Una di gruppo con sullo sfondo le Torri Gemelle. Era l'8 settembre 2001, il matrimonio era fissato il sabato successivo.
Pannella a luglio m'aveva detto che dovevo spostare le nozze perché quel finesettimana si sposava anche Alessio Falconio e lui aveva già confermato. Non gli garbò quando gli dissi che la mia (non) cerimonia sarebbe stata a City Hall a Manhattan e non erano previsti inviti al di fuori dei più stretti famigliari.
Martedì 11 settembre col cielo terso come solo a New York riesce ad essere quando c'è vento alla fine dell'estate ero arrivato in ufficio prima del solito. Non c'era nessuno altro. Poco dopo le 9 telefona John per sapere se Giorgia fosse arrivata perché da Brooklyn vedeva una colonna di fumo nero che partiva da Lower Manhattan.
Cerco online. Niente. Busso all'ANSA due porte più in giù nel corridoio e mentre entro il secondo aereo si schianta nella torre che non fumava. Iniziano ad arrivare notizie di un attacco a Washington mentre un altro aereo partito da Boston e diretto a sud è scomparso dai radar. La TV funzione sempre meno, i telefoni e internet per niente. L'unico modo di comunicare colla famiglia e Torre Argentina è la chat di yahoo. Sono in diretta con Carmen, nel frattempo Giorgia è arrivata e anche Elio. Prima di prendere la linea con Radio Radicale passa più di un'ora.
Il management dell'edificio ordina di evacuare. Le Nazioni unite sono considerate possibile obiettivo e noi siamo troppo vicini al Palazzo di Vetro. Al piano sotto c'è la missione saudita all'ONU sopra quella degli Emirati e del Bahrein. Ci sentiamo al sicuro e restiamo nell'attesa di non si sa cosa.
A New York si convive con le sirene e i taxi; vedere ambulanze e pompieri che sfrecciano è nella norma, ma oggi, al posto delle macchinacce gialle, ci sono mezzi grigioverdi. Manhattan è sigillata, non ci son mezzi di trasporto pubblici. Solo soccorsi e pedoni. Chi cammina da sud a nord è coperto di cenere, tutti sono sconvolti e non sanno dove guardare o come comportarsi. Dal crollo delle torri Manhattan è divisa in due, si può andare a sotto la 14esima solo se si dimostra che ci si vive. Si cerca di mettersi in contatto cogli amici che vivono o lavorano nella parte meridionale dell'isola. Tutti stanno bene. Mentre le radio americane parlano di, forse, 5000 morti, i media italiani decuplicano il numero delle vittime.
Chiuso l'ufficio nel pomeriggio c'incamminiamo verso casa mia a Irving Plaza, vicino al confine. Strada facendo si vedono persone piangere, camminare senza meta. Malgrado le sirene e i blindati e gli elicotteri c'è un silenzio irreale.
Sulla 18esima all'angolo colla quinta, una televisione con l'antenna appoggiata su quattro cassette della frutta racconta a nastro quel che succede. Nessuno si capacita di esser stato vittima di terroristi. Arrivano notizie sulla dinamica dell'attacco, sulle negligenze, gli atti di eroismo, i suicidi per salvarsi, i nomi dei responsabili. New York rallenta e si guarda in faccia, si riconosce vulnerabile si aiuta come e dove può.
Quella notte stessa dei razzi attaccano Kabul - possibile che Bush abbia già lanciato la vendetta? Si tratta di divisioni dell'alleanza del nord che, loro si, volevano vendicare la morte del capo Ahmad Shah Massoud assassinato il 9 settembre da kamikaze di al qaeda fintisi giornalisti.
La notte passa guardando la TV. Al mattino mi metto in coda per donare il sangue all'ospedale più vicino; dopo mezzora di attesa veniamo mandati via perché ne hanno troppo rispetto alla necessità. Hanno fatto il pieno per oltre 6 mesi. Thank you for coming anyway.
La gentileza e la solidarietà riempiono l'aria pesissima e tesissima. Veglie per la pace si tengono al confine colla zona sigillata a Union Square, la gente ri dà appuntamento per parlare e piangere in ogni parco o parchetto. Impariamo una nuova parola "ground zero".
Nell'aria c'e' ancora il pulviscolo. Arrivano i primi racconti strazianti, la città è tappezzata di foto di persone unaccounted for. Tutti sperano, molti pregano. Nessuno tornerà.
New York resta chiusa per un paio di settimane. Pian piano la vita ricomincia. Lo stress da trauma è dappertutto. Pare d'esser in un film ancora di più del solito. Un film che per metà finisce all'americana - patriottismo e solidarietà - per metà è solo l'inizio di un serial intitolato "the war on terror".
A tempo di record il Congresso a Washington adotta il patriot act - anche perché erano mesi che ci stavano comunque lavorando - l'offensiva diplomatica degli USA alle Nazioni unite convince il mondo ad attaccare l'Afghanistan che nasconde i mandanti dell'attacco all'America. In poche settimane i talebani sono scacciati da Kabul, ma le sofisticate armi americane niente possono contro le montagne e le grotte del khorasan. Osama bin Laden e la sua "base" sfuggirono per anni. Non paghi d'aver ridotto in fuggiaschi gli studenti guerrieri e i loro alleati "arabi", Bush Jr. e i suoi attaccano l'Iraq perché in possesso di "armi di distruzione di massa" e perché "protegge al qaeda".
Da quel marzo 2003 buona parte del Medio Oriente non è più la stessa e gli islamisti radicali, per quanto fenomeno minoritario, diventano la prima notizia in tutto il mondo per anni. Una campagna reclutamento globale senza precedenti.
Per oltre 10 anni le amministrazioni Bush e Obama spendono triliardi di dollari per potenziare un sistema che "a casa" chiede di sacrificare le nostre libertà e privacy per la sicurezza nazionale, "all'estero" impone ordine e disciplina manu militari indipendentemente dai "danni collaterali".
Il mio matrimonio si tenne due mesi dopo gli attacchi ed è finito a due dall'uccisione di Osama. In quel 2011, dal Marocco alla Siria, passando per Tunisia, Libia, Egitto e Bahrein i giovani arabi si ribellarono contro i loro regimi per chiedere libertà, giustizia e democrazia. L'Occidente fu colto in contropiede perché con quei governi era da sempre in affari e recentemente aveva rilanciato le partnership per la stabilità necessaria a vincere la guerra al terrore. I pacifisti si vergognarono di scendere in piazza perché quei regimi erano alleati storici del socialismo reale e tutti, almeno a chiacchiere, si proclamavano anti-americani e anti-capitalisti.
Nella baia cubana di Guantanamo c'è una prigione a cielo aperto. Per anni gli USA hanno praticato trattamenti disumani e degradanti su persone spesso sequestrate in connivenza coi servizi segreti di paesi alleati. I responsabili di queste extraordinary rendition son addirittura stati graziati.
Negli ultimi 18 anni quasi il 90% degli attentati terroristici con vittime ha avuto luogo in paesi del sud del mondo. In Europa c'è chi pensa che occorra difendersi dall'invasione del nostro continente e dall'islamizzazione della nostra società.
La vittima più grande degli attacchi dell'11 di settembre è lo stato di diritto. A poco vale che al posto delle Torri Gemelle, dopo anni di cause e diatribe commerciali, sia stata eretta una Liberty Tower.
Il libro più toccante nel profondo su quei giorni è questo qui sotto. Lo segnalo anche perché ho avuto la fortuna di conoscere l'autore nel 1992.

https://www.goodreads.com/book/show/614547.Days_of_Awe

5.31.2019

Cannabis Light: until Parliament relaunches legalisation the law needs to be reconciled with Science

Cannabis Light: until Parliament relaunches legalisation the law needs to be reconciled with Science  

Statement by Marco Perduca, who coordinates the activities of Legalizziamo.it on behalf of the Luca Coscioni Association: “while we wait for the motivations of the decision of the united sections of the Court of Cassation, we cannot help but notice that judges once more establish, generically and arbitrarily, the concept of “drugging efficacy” without consulting the scientific community. We have been repeating this for (at least) 40 years, since the first civil disobediences of Marco Pannella: every organism reacts differently to the ingestion of different substances, whether potentially toxic or not.

For 500 years the scientific community has been telling us that it is “the dose that makes the poison” while, for a couple of decades, we have known that the therapeutic use of the active principles of cannabis is recognised and used  in many countries. In January this year, the World Health Organisation has asked the United Nations to review the scheduling of cannabis both for its possible therapeutic use and in light of its progressive decriminalisation of personal use and consumption all over the world. When talking about health we must always keep in mind what science says".

"The united sections were asked to to harmonize a series of rulings made over the last two years, specifying that, at the end of the day, it will be the competent judges asked to adjudicate a specific dispute to have the last word. Keeping in mind the problems that this constant legal uncertainty will create to a growing productive and commercial sector, the heart of the questions remains - as it has always been - the criminalisation of the freedom to choose, which is a result of the prohibitions imposed to the production, sale, purchase, possession and use of plants arbitrarily considered dangerous for “public health” while they have only become so after the adoption of illiberal laws and public policies. If in Parliament there is still someone who considers that legalisation is feasible then the time has come to mobilise”. 

Here an appeal launched by the Associazione Luca Coscioni that urges Parliament to legalise cannabis

1.02.2019

Occorre essere conseguenti colle proprie opinioni - mio contributo al primo congresso di Più Europa

Dopo anni di progressivo scollamento tra le decisioni politiche e lo spirito e la lettera dei propri documenti fondativi e trattati che negli anni ne hanno regolato il funzionamento, l’Unione europea e i suoi Stati Membri sono arrivati a un momento critico in cui, senza il pieno recupero della propria legalità costituzionale, l'UE non riuscirà più a imporsi per quel modello di pace, sicurezza e benessere per cui ha vinto un premio Nobel e attratto milioni di persone.

Non è più possibile procedere con cambiamenti settoriali o decisioni di piccolo cabotaggio, occorre “non lasciare indietro nessuno” a partire dalla legalità internazionale.


Inclusione, tutele di ogni tipo e per chiunque, nonché pari opportunità possono esser possibili se e solo se lo Stato di Diritto vive, se si difendono quei meccanismi previsti dai trattati e dal diritto internazionale e se li si attiva sistematicamente per far sì che i diritti civili, politici, economici, sociali e culturali di chi vive in Europa e di chi ha rapporti coll’Unione europea siano rispettati sempre, comunque e dovunque.


Il progresso della scienza, l’avanzamento della tecnologia stanno modificando in modo strutturale il modo in cui viviamo, interagiamo, lavoriamo ed esistiamo creando le condizioni per mutamenti bio-tecnologici permanenti per la specie umana. Solo regole chiare, condivise, frutto della massima e trasparente cooperazione internazionale che coinvolgano tutti i portatori d'interessi - a partire dalla comunità scientifica - potranno consentire il governo di fenomeni che, altrimenti, genereranno ulteriori fattori di discriminazione, povertà e sofferenze se non veri e propri conflitti. Anche armati. 


Per affrontare tutto questo occorre che Più Europa pensi globalmente - in termini tematici e geografici - e si attrezzi per agire altrettanto globalmente a partire dal continente europeo. Ricercare interlocuzioni politiche con quante più conoscenze, competenze e militanze delle libertà possibili per favorire opportunità di dialogo e confronto su obiettivi specifici cercando di raffinare le proprie proposte riformatrici sulla base di esigenze e sensibilità fattuali oltre che ideali 
deve divenire IL modus operandi che caratterizzi e distingua Più Europa.

Vivere la democrazia al proprio interno, grazie alla massima conoscibilità dei propri obiettivi e processi decisionali, è ingrediente fondamentale per potersi candidare a perseguire gli obiettivi necessari e urgenti della difesa e promozione dei diritti umani e dell’affermazione della democrazia liberale. 


Solo una piena assunzione di responsabilità e impegni  - e una quotidiana pratica di quello che si vorrebbe che accadesse - potranno far crescere un progetto capace di contribuire significativamente al progresso e sviluppo umano oggi limitato o impedito da leggi e politiche proibizioniste e reazionarie.

La mera enunciazione di valori e principi liberali classici non basta più. Occorre essere conseguenti alle proprie opinioni.


7.06.2018

il mio augurio per Più (e meglio) Europa con (o senza) Emma Bonino - post (pluri) parentetico

Dalla prossima settimana inizia il cammino che porterà entro gennaio 2019 al congresso fondativo di Più Europa. Forza Europa, Centro Democratico e Radicali italiani hanno nominato i loro cinque rappresentanti e avanzato i nomi dei candidati a coordinatore. Questo gruppo dovrà lavorare alla versione definitiva dello statuto che potrebbe prevedere anche l'apertura ad altri soggetti organizzati da affiancare all'adesione individuale. 

Dal 13 luglio sarà possibile iscriversi direttamente con 50 euro e creare club tematici o territoriali. Le informazioni sul come farlo verranno condivise a breve. 

Total disclosure: Radicali Italiani mi aveva chiesto di far parte della sua cinquina, ho declinato perché ritengo di non avere sufficiente tempo a disposizione per impegnarmi come dovrei vista l'importanza del compito prefisso - nelle prossime settimane si capirà anche a cosa saranno dedicate le mie giornate. Avevo suggerito qualcuno, prima che mi fosse chiesta la disponibilità, ma la candidatura non è andata a buon fine. Peccato.

Il valore aggiunto della partecipazione personale diretta contribuisce sicuramente a qualificare il prodotto collettivo, e gli apporti singolari sono molto importanti in politica, ma agire sotto un costante carico di lavoro eccessivo (il tempo passa per tutti e sono anni che vado avanti così) influisce negativamente sulla qualità generale dell'elaborato. Per certi cert cose occorrono atmosfere esteriori e interiori, specie se si vuole guardare avanti, in alto o oltre.

Ecco, io spero sinceramente (non è una clausola di stile altrimenti avrei detto "auspico"), che nei prossimi mesi si venga raggiunti da parole chiare e proposte concrete per guardare avanti, in alto o oltre tutto quello che (non) abbiamo visto fino ad oggi arrivare dalla lista elettorale +E relativamente al progetto politico +E, ma anche, se non soprattuto, relativamente all'Europa. 

Le due cose non posson essere separate anzi! Necessitano di riforme in parallelo.

L'europeismo non è una categoria della politica. E' una semplificazione o caratterizzazione di un sentimento che (sicuramente e latentemente) alberga nelle menti e nei cuori di chi vive in Europa senza (spesso) rendersi conto o apprezzare appieno (in buonissima fede, s'intende) della fortuna che gli è capitata alla nascita. 

Lungi dall'essere l'"arte" di alcunché, la politica si nutre di conoscenza (in primis storica), fa tesoro delle esperienze (positive e negative) e delle evidenze (scientifiche e socio-culturali) per governare territori, persone e fenomeni coinvolgendoli direttamente e indirettamente nel suo operare. 

Se queste premesse fossero valide, e l'intenzione fosse quella di guardare avanti, in alto o oltre, occorre una Più Europa molto diversa da quella che (non) abbiamo conosciuto fin qui e, forse ancora di più, un'Europa significativamente diversa da quella che abbiamo (non) conosciuto - o voluto far conoscere - e sentito raccontare da "europeisti" e "anti-europeisti" in questi (tanti) anni. 

Più che più Europa, ci vuole più attenzione a quello che siamo, come progetto politico e entità istituzionale, e, quasi paradossalmente, ci vuole ancor più attenzione a quello che lasciamo fuori dalle preoccupazioni, proposte e istituzioni e consessi interni. 

Molte di queste esclusioni devono fare i conti con un dato di conoscenza, non meramente o esclusivamente statistico, dei fenomeni e devono tener di conto di quello che occorre come risposta. Semplificando all'osso: le esclusioni riguardano i nuovi "VIP" (vecchi, ignoranti e poveri di tutti i colori) e le "vere" élite, quelle che rappresentano eccellenze intellettuali e creative.

La prima riforma necessaria a +E, come all'UE, è quindi pretendere la pratica della prospettiva rivoluzionante della cessione di sovranità. Non fideisticamente, ma perché il nuovo non può essere la sommatoria del vecchio. Quando si uniscono "diversi" (amici o nemici oggi poco importa) l'unione dev'esser qualcosa che affonda le radici in un passato comunque - che può esser a favore di qualcosa o contro qualcuno (sempre meglio la prima) e tendere verso un futuro di segno diverso. Magari per approssimazioni successive, ma qualcosa di "altro da sé" (questo naturalmente non vuol dire mutilarsi di pensiero o azione).

Nessuno dei contraenti deve poter vantare posizioni dominanti, men che meno abusarne. Quanto sta accadendo in questi giorni di in seno al Consiglio europeo deve fungere da lezione. Non che qui e ora si possa incidere nelle dinamiche inter-governative dei 28 Stati membri dell'UE, ma le scelte individuali e collettive vanno denunciate politicamente e, sia che si tratti di modifiche di leggi a livello nazionale che decisioni a livello multilaterale, occorre attivare direttamente o indirettamente tutti i meccanismi previsti dall'architettura legale dell'Unione per bloccarle e chiedere che si rispetti la legalità nazionali o continentale. 

Pur essendo tutti e tre i soci fondatori di +E promanazioni di storie e tradizioni politiche italiane riformatrici e liberali (e progressivamente moderate), essi non possono vantare esclusività di rappresentanza liberale, democristiana o radicale. E' un limite, ma anche un sollievo e forse uno stimolo. Minore il bagaglio più agevole il viaggio, più agile il processo decisionale maggiore la velocità di adeguamento alle necessità che si vogliono affrontare politicamente. 

"Cedere la sovranità" è paradigmaticamente (ma non paradossalmente) il contrario di "metterci la faccia" (una delle espressioni più abusate e volgari degli ultimi tempi). Per quanto la lista elettorale avesse scritto sul simbolo, e molto opportunamente, a chiare lettere il nome di Emma Bonino, occorre progressivamente de-nominalizzare il progetto politico (anche perché a oggi Emma Bonino si è caratterizzata su altri temi e in modi che non hanno previsto la condivisione di idee preventivamente alla presa di decisioni) e riempirlo di politica. Il federalismo (non esclusivamente europeo) è una declinazione politica del sentimento comune dell'europeismo. Ma il federalismo è anche un modello di decentramento del poter decisionale tanto verso l'alto quanto verso il basso, sia che si tratti di diritti civili e politici, sia che si parli di quelli economici e sociali - per non parlare delle questioni economico-finanziarie.

La prima politica, che non necessariamente è cosa politica (anche se ormai si è talmente "fatti dalle cose" - e sempre più velocemente - che tocca ragionare in questi termini) è quella di impostare in modo seri, mi verrebbe da dire classico, la comunicazione. Un'impostazione che chiaramente non può esser architettata per supplire alla politica. 

Al posto delle belle illustrazioni, video, loghi, frizze lazzi e social media manager o slogan accattivanti, occorre pesare le parole e usarle quando necessario, senza cedere alle tentazioni velociste del momento (una 500 non ingaggia una Ferrari). Avvicinandosi le ferie estive del Parlamento la qualità del dibattito pubblica tenderà ad abbassarsi, se non a scomparire, e quindi saremo costretti a confrontarci con toni "balneari", ma sarà necessario, se sarà necessario, rispondere coi fatti o con proposte scandalose perché attaccate alla realtà. 

Affermare le cose per come stanno e non per come si pensa l'uditorio si aspetti che certi argomenti vengano trattati. Smascherare tanto il messaggio che il medium utilizzato, denunciando l'alleanza di superficialismi e banalità (del male) che ormai prende per buono qualsiasi stronzata venga detta o scritta su i mezzi di condivisione di massa e ripetuta viralmente e acriticamente. Assumersi la responsabilità di far applicare leggi esistenti (anche) in materia di informazione. Senza il pane della conoscenza si avranno solo "menu turistici". Ricorrere ai classici della politica comprensibile, quella che non "ci mette la faccia" ma quella che "dà corpo".

Agitare spauracchi di "fascismi", "sovranismi", "populismi" aiuta a far bella figura perché in contrapposizione coi cattivi e sicuramente concorre a galvanizzare la propria base, ma anche a lavare la coscienza (a buon mercato), ma non incide di una virgola nella mezzora successiva - né sopratutto sedurrà qualcuno convincendolo a seguirci sul motivo del contendere. 

Salvini chiude i porti alle navi delle ONG non italiane che hanno bisogno di rifornirsi di viveri, medicinali e carburante? Dopo aver dato dei "fascisti" a Salvini e Toninelli occorre organizzare una supplenza militante di rispetto di un'interpretazione progressista del diritto internazionale e organizzare un soccorso civile di aiuto a chi aiuta. In inglese si dice put your money where your mouth is. Questo va fatto: essere conseguenti a quel che si dice. 

Occorre distinguerci da amici e avversare per fare le cose che si dicono. Poi verranno i giorni delle alleanze, delle unioni, dei rassemblement, e delle liste elettorali, nel fare i primi agognati passi bisogna caratterizzarsi non per un'identità ma per delle proposte che, viste le tradizioni di riferimento dei soggetti costituenti di +E non potranno che essere sinceramente di libertà, ma non a chiacchiere.

A questa Più Europa mi unirò volentieri da militante, mentre un'Europa che si rispetti la difenderò quotidianamente. 

Di "sogni", "spes contra spem", doppioni, bufale, millantati crediti o copie sbiadite ne abbiamo già sentite e viste abbastanza. Perseverare è diabolico (anche se non si crede in satana! ;-).

Grazie per esser arrivati fin qui.





6.09.2018

ci vuole più Europa in Più Europa, ovvero lasciate stare i bilancini dello statuto, Dio Bonino!

ci vuole più Europa in Più Europa, ovvero lasciate stare i bilancini dello statuto, Dio Bonino!

Non rinvenendo motivi sufficienti per non rompere i coglioni, dedicherò, buon ultimo, qualche riga allo "stato dell'arte" di Più Europa.

Mi scuso de antemano, ma deluderò quelli che (a tratti par di capire molti) si aspettano critiche feroci a questo o quello. Conosco poco quel che in effetti sta accadendo all'interno dell'assemblea dei soggetti costituenti e del comitato dei saggi, quindi non intendo avventurarmi in ricostruzioni per sentito dire.

Al contrario, conosco buona parte dei coinvolti e posso immaginare le dinamiche inter-personali. Detto questo, confermo che, per ora, non vado oltre un superficiale "Senatores boni viri, senatus mala bestia" e un altrettanto automatica annotazione circa la segretezza delle deliberazioni.

Ci sarebbe forse un'altra superficiale annotazione da fare: nessuno dei coinvolti nel processo decisionale di +E (tutti rigorosamente maschietti) fa parte della cosiddetta "generazione Erasmus". Nessuno di coloro che devono proporre un modello organizzativo di un nuovo soggetto che guarda all'Europa e che deve metter insieme tradizioni politiche e far tesoro di saperi non - se non "a" - politici s'ẻ mai trovato in fase formativa a dover vivere in un luogo "straniero" dove le differenze sono un arricchimento in termini di esperienze, competenze, visioni e, naturalmente di accenti linguistici e non.

Doversi confrontare con una Unheimlichkeit pone problemi di Kultur e mette alla prova circa i propri limiti, pregiudizi, forme mentali e chiusure. Tutto sicuramente comprensibili ma, altrettanto sicuramente, superabile. Chi avrebbe mai pensato che Germania e Francia, dopo secoli di guerre, si sarebbero trovati a co-fondare una comunità politica che avrebbe poi incluso anche il loro arci-nemico britannico?

In altri tempi mi sarebbero bastate queste brevi "annotazioni" per chiuderla qui, ma ritenendo che ci sia (ancora) bisogno di (un minimo) di politica e politici che non si adeguino al circostante, proverò ad andare oltre le reazioni epidermiche.

Io penso che ci voglia più Europa in Più Europa.

Non è un contro-slogan, è una proposta di governo di questo stallo che a tre mesi dalle elezioni ha di fatto cancellato dal dibattito pubblico tanto +E quanto le proposte contenute nel suo programma elettorale. Proposte che oggi sarebbero alternative a questo governo che, pare, non saper quali pesci pigliare su molte questioni avendo detto cose che non potevano esser fatte!

Però, hai voglia a svegliarti il giorno delle consultazioni o del voto di fiducia a dire che farai una "opposizione rigorosa" - peraltro senza sapere cosa t'aspetta - queste settimane di silenzio tutto possono lasciar ipotizzare tranne che da +E ci si possa aspettare del "rigore" (a meno che non si alludesse al rigor mortis, just kidding ;-).

Ci siamo ritrovati progressivamente in molti a ritenere che fosse necessario riportare all'interno del dibattito politico i fatti. Quindi?

Non delle Verità ma dei dati di fatto che sono, principalmente, la necessità di rispettare la legalità costituzionale (che è cosa diversa dallo scendere in piazza a 'difendere la Costituzione') e gli obblighi internazionali della Repubblica italiana imposti dall'essere Stato Membro di una serie di organizzazioni internazionali a partire da quella che abbiamo contribuito a fondare una settantina d'anni fa meglio nota oggi colla denominazione di Unione europea.

Ma l'Europa che abbiamo messo nel nostro nome (e che "abbiamo nel cuore", diciamo così) - assieme al nome di chi politicamente e istituzionalmente ha interpretato come nessuno quel concetto e potenziale politico d'Europa: Emma Bonino - non era l'Europa geografica, non era neanche pienamente l'Unione europea, era un progetto politico "ulteriore" in continuo divenire mosso da chi ritiene che la convivenza di milioni di persone possa esser possibile senza danni o discriminazioni se si basa sullo Stato di Diritto.

Uno Stato di Diritto fatto di trattati, accordi, direttive e regolamenti composti, e non imposti, per affermare le libertà individuali e tutelare chi, anche senza rendersene conto, può cadere vittima di interessi particolari, sia che si tratti di leggi e politiche illiberali, di interessi economici di grossi potentati o atteggiamenti anti-scientifici.

E invece, dopo aver detto e ripetuto fino alla nausea tutte queste cose (almeno io così ho impostato la nostra campagna elettorale), dopo aver sguinzagliato in giro per l'Italia e il mondo centinaia di persone senza sapere chi fossero o cosa avrebbero detto né cosa, eventualmente, avrebbero "promesso" e a chi (il che ha sicuramente costituito un valore aggiunto, ma anche molti rischi) si è vissuta male la "sconfitta". Talmente male da paragonarla a un lutto - come se avessimo bisogno di cadere di nuovo (qui parlo ai "radicali") in un lungo processo di "elaborazione"...

Niente è più necessario alla crescita che una sconfitta. Specie se bella sonora e inaspettata. Prima ancora dell'opportunità politica, la saggezza popolare ci insegna che dopo una caduta bisogna rimontare a cavallo.

Purtroppo, invece di far tesoro dei 900.000 voti ricevuti e dell'entusiasmo che aveva salutato l'arrivo di una lista politica che aveva scelto di chiamarsi come il capro espiatorio di tutto quello che non va in Italia (e altrove), si son fatti ergere timori e dubbi sulla genuinità delle intenzioni altrui.

Già crescita. Malgrado la parziale sconfitta elettorale (dopotutto quattro persone son state elette!), nei giorni immediatamente successivi al voto, in tantissimi hanno continuato a credere che fosse importante organizzarsi, rafforzarsi, espandersi, addirittura transnazionalizzarsi! Ma a tutte queste sollecitazioni, tutte avanzate educatamente, non è stato risposto e, quando ce n'è stata l'occasione, si sono anteposte risposte burocratico-organizzative alla visione politica.

Questo comportamento è sovrapponibile a quello dell'Europa che rintracciamo tutti i giorni nelle parole dei nostri avversari politici che indicano l'Europa come la "nemica del popolo". Tu hai un problema e nessuno ti risponde e se ti risponde non ti soddisfa perché spesso scansa il cuore della domanda.

Poi certo scava scava ti accorgi che il problema non è necessariamente quello, ma spesso la prima impressione è quella che forma un'opinione difficilmente poi modificabile. Qui la prima impressione è stata quella di non disturbare il manovratore che sapeva come comporre gli interessi dei vari partecipanti per non annacquare questo o indebolire quello o non mandare alle ortiche un nome molto evocativo.

Ma come si può pensare di catalizzare l'attenzione e l'entusiasmo di qualcuno avanzando problemi della scrittura di uno statuto, sicuramente importante, al progetto politico che è la vera essenza del motivo per cui ci siamo incontrati?

Un movimento, specie se nel 2018 e specie se guarda a un'organizzazione politica che è anche un'istituzione sovranazionale, non può non muoversi perché non ha uno statuto!

Chissene frega se c'è un coordinatore o due; chissene frega se i saggi son 3 o 5+5+5; chissene frega se uno si può iscrivere o no e chissene frega se vanno creati vari livelli di adesione politica individuali o organizzati! L'Europa non è nata a tavolino, è nata da esigenze, la prima di mettere intorno a un tavolo acerrimi nemici!!!

Passi che i "costituenti" di +E non sono della "generazione Erasmus", ma possibile che dopo anni di politica militante dentro e fuori i Palazzi non si sia realizzato che nel 2018 ci possiamo (finalmente) prendere il lusso di mandare agli ammassi decenni di disastrose organizzazioni "partitiche" e trovare un minimo compromesso da "società liquida" per partire?

Abbiamo i punti del programma elettorale (magari occorre raffinarli se non articolarli in quesiti referendari in modo da coglier spunti per discutere pubblicamente con amici e nemici) abbiamo un simbolo elettorale oggi conosciuto e comunque evocatore, limitiamone l'uso alle elezioni nazionali o europee e iniziamo a girare l'Italia non per creare "correnti" per vincere il congresso, ma per consolidare la disponibilità di chi concorda con quei punti e conosce persone che possano convergere su quel che c'è piuttosto che creare muretti o muraglie su quel che non c'è?

La storia dei partiti politici, e non solo italiani, ci insegna che prima di arrivare a una forma "definitiva" di organizzazione ci son volute molte false partenze, fallimenti, fusioni, strappi o scissioni. E comunque, siamo veramente sicuri di volere, nel 2018 e con questi chiari di luna interni ed esterni, fondare un "partito" o "soggetto politico"?

Non sarebbe forse più "europeo" partire con qualcosa tipo la CECA, per poi arrivare alle CEE e infine all'UE, tenendo presente che siamo comunque e al contempo membri dell'ONU e della NATO?

Fortunatamente è stata messa una data di scadenza a questo supplizio, ehm processo costituente. Da qui a là occorre che chi è al volante di +E metta da parte i bilancini dello statuto, eviti di schiantare contro il muro della burocrazia un progetto politico ancora promettente e lasci andar avanti, anche in modo sgangherato e non radicale (anche perché oggidì nessuno dovrebbe più potersi azzardare a rivendicare quella storia) chi pensa di aver qualcosa da dire e proporre in linea coi motivi per cui ci si è incontrati.

Specie ora che c'è un governo che sta dimostrando come sia impossibile esser conseguenti alle proposte demagogiche fatte in campagna elettorale ci vorrebbe un'opposizione non "rigorosa" ma europea nel merito e nel metodo!

Occorre un progetto politico che non sia "europeista" (che detto tra noi in termini politici non vuol dire un beneamato) perché dice di esserlo, occorre piuttosto esser conseguenti a tutta la poetica e retorica che ha caratterizzato la campagna elettorale (tranne l'IMU of course ;-).

Eravamo contro le cose che predicano Salvini, Di Maio, Orban, Kaczynski e Trump? Bene, non facciamogli il verso!

Mi casa es su casa, baby!

6.08.2018

ci vuole un sottosegretario alla droga

Par di capire che anche questo governo, come del resto da molti anni a questa parte, non abbia intenzione di nominare un sottosegretario con delega alle "droghe". MALE!
Si dirà "meglio così, te l'immagini cosa farebbe 'sto governo con la lega come socio?"
Tanto per cominciare occorre ricordarci che le peggiori leggi in Europa in materia di droga sono italiane e frutto nel 1990 di una democristiana di sinistra, Rosa Russo Jervolino e un socialista Giuliano Vassalli e nel 2006 di un ex-fascista Gianfranco Fini e un ex-democristiano di destra Carlo Giovanardi - quindi, almeno qui, il danno non è stato ancora fatto; seconda di poi nascondere la polvere sotto il tappeto non ha mai aiutato a prender in considerazione i problemi. Certo c'è sempre il rischio di svegliare cani che dormono, ma il sonno, anche dell'irragionevole peggiore proibizionismo, genera comunque mostri. E si può combattere solo un nemico che c'è, altrimenti è una (lodevolissima per carità) lotta contro i mulini a vento.
Ora la dico grossa:
"in Italia non c'è un problema di droga",
anzi fatemela dire ancora più grossa:
"in Italia non c'è un problema di proibizionismo sulle droghe per come lo si conosceva".
Anche per le "droghe" in Italia tutto viene affidato all'ignoranza e all'indifferenza! Infatti, secondo le cifre che vengono certificate dal governo e osservatorii internazionali, un paese dove il 10% della popolazione incontra le "sostanze stupefacenti" con una certa frequenza, sarebbe un paese non solo in ginocchio ma diviso rinchiuso in comunità di recupero, pronti soccorso, aule di tribunale o in carcere. E invece...
E invece no. E invece, anche a fronte di un prepotente ritorno dell'eroina e altre sostanze poco conosciute nella loro composizione, e a un sensibile aumento di arresti per 'droga' abbiamo imparato a convivere coll'illegalità generando meccanismi di auto-difesa dallo stato, dalla criminalità e dai danni del rapporto problematico colle sostanze.
Non solo, secondo il calcolo delle probabilità, tutte queste persone che consumano e/o detengono e/o coltivano e/o vendono o comprano tutte queste tonnellate di roba tossica e illegale dovrebbero finire in carcere, anche per poco, in numeri molti più consistenti dei 18.000 che oggi son in galera per "reati di droga". Certo 18000 persone in galera per non aver (nella stragrande maggioranza dei casi) fatto del male a nessuno sono un'enormità, ma rappresentano lo 0,003% della popolazione...
Quindi perché, anche il peggiore governo tra i governi democratici (cosa che ci tengo a ripetere questo non è, almeno per il momento), dovrebbe dedicare un responsabile politico alla "droga"? Proprio perché non è un emergenza ma perché è diventato un fenomeno economico, sociale e culturale strutturale. Possibile disinteressarsene affidando a sprovveduti burocrati la gestione di tutto ciò?
Questi sei milioni di persone infatti, oltre che distrarsi, rilassarsi, sballarsi o auto-curarsi, fanno muovere qualcosa intorno ai 14 miliardi di euro l'anno, distraggono milioni di ore lavoro alla pubblica amministrazione - dalla strada alla galera passando per prefetture, tribunali, ospedali, unità di strada, assistenti sociali eccetera - e concorrono a sottrarre alle casse dello Stato fior di quattrini in tasse imposte eccetera.
Ma se anche tutto questo non fosse sufficiente a suggerire la nomina di un sottosegretario, ci sarebbe da rispettare una legge dello stato che impone l'organizzazione di una conferenza nazionale sulle droghe ogni tre anni, l'ultima è stata convocata nel 2009 - fate quindi i conti voi da quanto tutti se ne sbattono.
Mi pareva d'aver capito che il governo del cambiamento volesse agire all'interno della Costituzione, bene, questa bellissima Costituzione, oltre a elencare tutta una serie di principi fondamentali (probabilmente tutti violati dalle leggi in materia di droga), prevede che le istituzioni rispettino le leggi.
Dal dicembre 2016 l'Italia ha legalizzato anche la canapa industriale consentendone anche la produzione per uso cosiddetto ludico purché il THC che uno si fuma non superi lo 0,2% (ancora mi sfugge come si possa controllare tutto ciò ma insomma cosa fatta capo ha). Tutte le leggi hanno sempre bisogno di un periodo di rodaggio prima di entrare effettivamente in forza, ebbene questa (ri)legalizzazione ha messo in moto un'industria che nei primi 12 mesi ha fatto fatturare, a piccole imprese, quasi 45 milioni di euro.
La legge è passata col consenso di tutte le forze politiche.
Last but not least, a marzo del 2019 (quando magari torneremo al voto) alle Nazioni unite di Vienna si terrà un segmento ministeriale della Commissione Droghe che dovrà far il punto sulle politiche internazionali di controllo degli stupefacenti. Ad aprile del 2016 (e non solo perché ci misi lo zampino) l'Italia dette un segnale di rottura col passato e disse cose di buon senso, salvo disinteressarsene poco dopo (non solo mancava anche allora il sottosegretario alle droghe, ma il ministro della giustizia era uno tra i meno assertivi che si possano ricordare purtroppo).
Insomma, son più gli argomenti a favore che quelli contro a una presenza di un responsabile che nel Governo s'interessi politicamente di droga. Magari anche per cambiar nome al Dipartimento che oggi si interessa, pare, solo di politiche anti.