9.11.2019

il mio 9/11

I miei amici mi avevano organizzato un bachelor party sulla barca a vela nella baia di New York. Partenza al tramonto dal molo 17, insalata di riso, pasta fredda, pizza e fichi, birra e prosecco e un paio d'ore di navigazione tra Governor's Island and Battery Park.
Mangiate, risate, ricordi (con un paio avevamo concorso a far incriminare Milosevic due anni prima), chiacchiere, progetti e foto. Una di gruppo con sullo sfondo le Torri Gemelle. Era l'8 settembre 2001, il matrimonio era fissato il sabato successivo.
Pannella a luglio m'aveva detto che dovevo spostare le nozze perché quel finesettimana si sposava anche Alessio Falconio e lui aveva già confermato. Non gli garbò quando gli dissi che la mia (non) cerimonia sarebbe stata a City Hall a Manhattan e non erano previsti inviti al di fuori dei più stretti famigliari.
Martedì 11 settembre col cielo terso come solo a New York riesce ad essere quando c'è vento alla fine dell'estate ero arrivato in ufficio prima del solito. Non c'era nessuno altro. Poco dopo le 9 telefona John per sapere se Giorgia fosse arrivata perché da Brooklyn vedeva una colonna di fumo nero che partiva da Lower Manhattan.
Cerco online. Niente. Busso all'ANSA due porte più in giù nel corridoio e mentre entro il secondo aereo si schianta nella torre che non fumava. Iniziano ad arrivare notizie di un attacco a Washington mentre un altro aereo partito da Boston e diretto a sud è scomparso dai radar. La TV funzione sempre meno, i telefoni e internet per niente. L'unico modo di comunicare colla famiglia e Torre Argentina è la chat di yahoo. Sono in diretta con Carmen, nel frattempo Giorgia è arrivata e anche Elio. Prima di prendere la linea con Radio Radicale passa più di un'ora.
Il management dell'edificio ordina di evacuare. Le Nazioni unite sono considerate possibile obiettivo e noi siamo troppo vicini al Palazzo di Vetro. Al piano sotto c'è la missione saudita all'ONU sopra quella degli Emirati e del Bahrein. Ci sentiamo al sicuro e restiamo nell'attesa di non si sa cosa.
A New York si convive con le sirene e i taxi; vedere ambulanze e pompieri che sfrecciano è nella norma, ma oggi, al posto delle macchinacce gialle, ci sono mezzi grigioverdi. Manhattan è sigillata, non ci son mezzi di trasporto pubblici. Solo soccorsi e pedoni. Chi cammina da sud a nord è coperto di cenere, tutti sono sconvolti e non sanno dove guardare o come comportarsi. Dal crollo delle torri Manhattan è divisa in due, si può andare a sotto la 14esima solo se si dimostra che ci si vive. Si cerca di mettersi in contatto cogli amici che vivono o lavorano nella parte meridionale dell'isola. Tutti stanno bene. Mentre le radio americane parlano di, forse, 5000 morti, i media italiani decuplicano il numero delle vittime.
Chiuso l'ufficio nel pomeriggio c'incamminiamo verso casa mia a Irving Plaza, vicino al confine. Strada facendo si vedono persone piangere, camminare senza meta. Malgrado le sirene e i blindati e gli elicotteri c'è un silenzio irreale.
Sulla 18esima all'angolo colla quinta, una televisione con l'antenna appoggiata su quattro cassette della frutta racconta a nastro quel che succede. Nessuno si capacita di esser stato vittima di terroristi. Arrivano notizie sulla dinamica dell'attacco, sulle negligenze, gli atti di eroismo, i suicidi per salvarsi, i nomi dei responsabili. New York rallenta e si guarda in faccia, si riconosce vulnerabile si aiuta come e dove può.
Quella notte stessa dei razzi attaccano Kabul - possibile che Bush abbia già lanciato la vendetta? Si tratta di divisioni dell'alleanza del nord che, loro si, volevano vendicare la morte del capo Ahmad Shah Massoud assassinato il 9 settembre da kamikaze di al qaeda fintisi giornalisti.
La notte passa guardando la TV. Al mattino mi metto in coda per donare il sangue all'ospedale più vicino; dopo mezzora di attesa veniamo mandati via perché ne hanno troppo rispetto alla necessità. Hanno fatto il pieno per oltre 6 mesi. Thank you for coming anyway.
La gentileza e la solidarietà riempiono l'aria pesissima e tesissima. Veglie per la pace si tengono al confine colla zona sigillata a Union Square, la gente ri dà appuntamento per parlare e piangere in ogni parco o parchetto. Impariamo una nuova parola "ground zero".
Nell'aria c'e' ancora il pulviscolo. Arrivano i primi racconti strazianti, la città è tappezzata di foto di persone unaccounted for. Tutti sperano, molti pregano. Nessuno tornerà.
New York resta chiusa per un paio di settimane. Pian piano la vita ricomincia. Lo stress da trauma è dappertutto. Pare d'esser in un film ancora di più del solito. Un film che per metà finisce all'americana - patriottismo e solidarietà - per metà è solo l'inizio di un serial intitolato "the war on terror".
A tempo di record il Congresso a Washington adotta il patriot act - anche perché erano mesi che ci stavano comunque lavorando - l'offensiva diplomatica degli USA alle Nazioni unite convince il mondo ad attaccare l'Afghanistan che nasconde i mandanti dell'attacco all'America. In poche settimane i talebani sono scacciati da Kabul, ma le sofisticate armi americane niente possono contro le montagne e le grotte del khorasan. Osama bin Laden e la sua "base" sfuggirono per anni. Non paghi d'aver ridotto in fuggiaschi gli studenti guerrieri e i loro alleati "arabi", Bush Jr. e i suoi attaccano l'Iraq perché in possesso di "armi di distruzione di massa" e perché "protegge al qaeda".
Da quel marzo 2003 buona parte del Medio Oriente non è più la stessa e gli islamisti radicali, per quanto fenomeno minoritario, diventano la prima notizia in tutto il mondo per anni. Una campagna reclutamento globale senza precedenti.
Per oltre 10 anni le amministrazioni Bush e Obama spendono triliardi di dollari per potenziare un sistema che "a casa" chiede di sacrificare le nostre libertà e privacy per la sicurezza nazionale, "all'estero" impone ordine e disciplina manu militari indipendentemente dai "danni collaterali".
Il mio matrimonio si tenne due mesi dopo gli attacchi ed è finito a due dall'uccisione di Osama. In quel 2011, dal Marocco alla Siria, passando per Tunisia, Libia, Egitto e Bahrein i giovani arabi si ribellarono contro i loro regimi per chiedere libertà, giustizia e democrazia. L'Occidente fu colto in contropiede perché con quei governi era da sempre in affari e recentemente aveva rilanciato le partnership per la stabilità necessaria a vincere la guerra al terrore. I pacifisti si vergognarono di scendere in piazza perché quei regimi erano alleati storici del socialismo reale e tutti, almeno a chiacchiere, si proclamavano anti-americani e anti-capitalisti.
Nella baia cubana di Guantanamo c'è una prigione a cielo aperto. Per anni gli USA hanno praticato trattamenti disumani e degradanti su persone spesso sequestrate in connivenza coi servizi segreti di paesi alleati. I responsabili di queste extraordinary rendition son addirittura stati graziati.
Negli ultimi 18 anni quasi il 90% degli attentati terroristici con vittime ha avuto luogo in paesi del sud del mondo. In Europa c'è chi pensa che occorra difendersi dall'invasione del nostro continente e dall'islamizzazione della nostra società.
La vittima più grande degli attacchi dell'11 di settembre è lo stato di diritto. A poco vale che al posto delle Torri Gemelle, dopo anni di cause e diatribe commerciali, sia stata eretta una Liberty Tower.
Il libro più toccante nel profondo su quei giorni è questo qui sotto. Lo segnalo anche perché ho avuto la fortuna di conoscere l'autore nel 1992.

https://www.goodreads.com/book/show/614547.Days_of_Awe

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