11.26.2010

Interpellanza sui fratelli Alaei

Svolgimento di interpellanze e di interrogazioni (ore 16,03)

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca lo svolgimento di interpellanze e di interrogazioni.
Sarà svolta per prima l'interpellanza 2-00047 sul caso di due medici detenuti in Iran.
Ha facoltà di parlare il senatore Perduca per illustrare tale interpellanza.

PERDUCA (PD). Signor Presidente, ringrazio il Governo per aver voluto riferire in Aula su questa interpellanza, a distanza di meno di due mesi dalla risposta fornita alla Camera dal sottosegretario Pizza ad analoga interpellanza.

La questione è molto complessa, anche se nei fatti semplice: si tratta dell'arresto di due medici, fratelli, con un'esperienza e una competenza relativamente a tutto ciò che viene chiamato riduzione del danno. Sono di origine iraniana; hanno studiato all'estero e lavoravano per organizzazioni internazionali (in modo particolare, Physicians for human rights e Croce Rossa Internazionale), ma operavano sul territorio iraniano. La vicenda è complicata perché, in effetti, si potrebbe pensare che un Paese come l'Iran, in virtù del fatto che è una Repubblica islamica, abbia, o potrebbe avere, delle politiche particolarmente conservatrici o che sia contrario a un certo tipo di politiche. Invece, paradossalmente, su alcuni comportamenti, come per esempio la promozione del preservativo (stiamo parlando di un campo che non attiene soltanto alle tossicomanie, ma che si amplia anche alla lotta all'AIDS e alla sieropositività), il regime iraniano ha un atteggiamento molto più laico di altri Governi che, sia nella regione che altrove, non sempre utilizzano la promozione dei profilattici per prevenire la diffusione del virus HIV.

Va considerato che l'Iran, trovandosi sulla strada del commercio principale dell'oppio per eroina, che viene prodotto in Afghanistan ed esportato illegalmente verso l'Oriente, presenta una forte criticità, nel senso sia di un'elevata presenza di narcotraffico ma anche - come risulta da alcune stime degli iraniani stessi - di almeno due milioni di cittadini iraniani affetti da rapporto problematico con le sostanze stupefacenti; quindi, vi è una diffusione nazionale molto elevata. Ebbene, esistono in Iran delle politiche orientate a far fronte alle necessità di tutto ciò che attiene al pianeta droga: questo Paese ha sviluppato delle politiche - malgrado rimanga un regime molto conservatore e altrettanto proibizionista - che vanno incontro alle condizioni di salute dei propri cittadini che hanno un problema con le sostanze intossicanti.

Il caso che affrontiamo oggi riguarda questi due fratelli, che hanno studiato all'estero, principalmente negli Stati Uniti, e hanno partecipato alle Commissioni delle Nazioni Unite che trattano di sostanze stupefacenti, e ciò ha complicato la loro situazione ogniqualvolta si sono recati in Iran.
Ho avuto l'opportunità di conoscere uno dei due fratelli, Kamiar, a Vienna durante una riunione della Commissione Droghe nel 2005: egli ha raccontato in quell'occasione di come, contrariamente a quanto spesso si legge sulla stampa occidentale, in Iran si stessero facendo passi avanti nella cura delle tossicomanie e di come - chiaramente con tutti i problemi legati al fatto di viaggiare molto frequentemente partendo dagli Stati Uniti - riuscisse a portare avanti il proprio lavoro.

Purtroppo, l'estate del 2008 ha visto i due fratelli arrestati con delle accuse strane: in primo luogo, per aver reso noto al mondo l'esistenza di problemi di tossicomania, nonostante con le Nazioni Unite il Governo di Teheran si sia più volte lamentato del fatto di non avere sufficiente aiuto alle frontiere con l'Afghanistan per bloccare il flusso di sostanze stupefacenti, e quindi di avere a casa propria il problema dei tossicodipendenti; in secondo luogo, essendo una caratteristica del lavoro di ogni medico quella di parlare del proprio lavoro, nel far ciò si è fatta conoscere alla comunità internazionale l'esistenza di un ambiente di omosessualità abbastanza diffuso, cosa che il regime di Teheran aveva sempre negato. Queste sono le accuse formali.
Conoscendo amici che dall'interno dell'Iran riescono, attraverso alcune organizzazioni non governative, a far uscire notizie che vengono pubblicate soltanto in fārsì (e quindi non sempre riescono a raggiungere le nostre agenzie di stampa), e avendo un po' di dimestichezza con la sfera dei blog che raccontano anche altri tipi di letture, il fatto che i due studenti di medicina si fossero formati negli Stati Uniti ha contribuito a creare anche un'aura di spionaggio del «grande Satana» nei confronti del regime iraniano, ulteriormente aggravando la loro condizione.
Posto tutto questo, negli ultimi due anni sarebbe stato utile riuscire ad avere un contatto diretto con i due o, se non altro, fare in modo che la difesa, seppure all'interno della legge islamica, potesse agire in maniera trasparente e avere accesso ai due detenuti, in modo da riuscire a capire quale fosse il capo d'imputazione e organizzare la difesa nel migliore dei modi.
Nella risposta data dal sottosegretario Pizza alla Camera abbiamo avuto notizia di una serie di azioni che l'Italia in quanto singolo Paese, ma anche in quanto membro dell'Unione europea, ha intrapreso a Teheran per avere delle informazioni circa la sorte dei due fratelli. Non so se ci siano notizie ulteriori relativamente a quanto già fatto, ma a questo punto, pur mantenendo una posizione che potremmo chiamare innocentista nei confronti di queste due persone - non perché ne conosca uno dei due, ma perché sappiamo il tipo di lavoro che hanno svolto, che peraltro non ha mai portato al decesso di alcuno dei pazienti da loro seguiti, né tantomeno al tentativo di fuga o di richiesta d'asilo all'estero di alcuna delle persone da loro trattate - vista anche la ricorrenza della festività del sacrificio avvenuta la settimana scorsa, mi chiedo se non sia necessario nei prossimi giorni lanciare alle autorità un appello di perdono, di clemenza vera e propria riguardo a queste due persone.
Non si è infatti riusciti ad avere notizie circa i capi di imputazione allo stato di processo del processo (chiedo scusa per il gioco di parole) e si privano i cittadini iraniani di una serie di competenze - elaborate sicuramente e rafforzate all'estero - quali quelle dei fratelli Alaei, che, venendo a mancare, in qualche modo hanno un impatto negativo sullo stato di salute generale del Paese.

Mancano più o meno tre mesi alla riunione della Commissione Droghe di Vienna del 2011: offrendo ulteriore aiuto e continuando a manifestare - come fa l'Italia - un'attenzione anche al dialogo diplomatico nei confronti dell'Iran (pur mantenendo ferme, come fa la comunità internazionale, le sanzioni economiche, ancora non politiche, anche se magari in alcuni casi ce ne sarebbe bisogno), c'è però tutto il tempo per tentare un'iniziativa, se non governativa, magari parlamentare (non nella persona di chi parla, perché magari è conosciuto per alcune posizioni e frequentazioni di dissidenza interna della diaspora iraniana), volta alla ricerca di un contatto diretto con i due medici e a un'offerta di ospitalità nel nostro Paese.

In questo modo, si potrebbe dare un segnale di attenzione - non voglio dire amicizia - nei confronti di Teheran e delle proprie preoccupazioni, ma anche avere garanzia del fatto che, in qualche modo (sapendo che Teheran magari si fida più di Roma che di Washington o di Londra), si riescano a mantenere le condizioni psicofisiche di queste due persone (che immagino saranno abbastanza degradate, dopo due anni di detenzione nella Repubblica islamica), restituendole a una vita libera, magari sul suolo europeo, concedendo loro un'ulteriore possibilità di fare il proprio lavoro. Essi, infatti, erano universalmente riconosciuti come medici capaci, competenti, generosi e disponibili anche a portare avanti un lavoro sicuramente ingrato in un contesto ulteriormente ingrato, quale era quello della madrepatria, che loro continuavano ad amare e che, addirittura, in piena libertà, da studenti all'estero, hanno voluto continuare a perseguire come obiettivo, aiutando i loro compatrioti a casa propria.

Se da una parte, quindi, si può giocare la carta della richiesta di perdono, bilaterale o anche a livello multilaterale, in vista della riunione della Commissione Droghe si potrebbe fare questo ulteriore passo, in cui si riconoscano i problemi dell'Iran e si confermi l'attenzione al riguardo. L'Italia, per l'appunto, ha annunciato da poco l'invio di ulteriori 200 istruttori in Afghanistan, e alcuni di questi andranno proprio nella zona al confine con l'Iran, che - ricordiamolo - è la rotta del traffico illegale dell'oppio.

Si cerca così di tenere insieme un atto umanitario, con la ferma presenza volta a controllare qualche cosa che sappiamo essere incontrollabile e - ahimè - incontrollato, proprio perché mantenuto al di fuori della legge, cioè proibito, con la speranza di poterlo controllare. Credo che - forse - possa essere dato un ulteriore aiuto a questi due amici nostri, ma credo anche di tutti coloro che vogliono trovare una soluzione sanitaria al problema della tossicomania.

PRESIDENTE. Il rappresentante del Governo ha facoltà di rispondere all'interpellanza testé svolta.

SCOTTI, sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Signora Presidente, il senatore Perduca ha illustrato in modo puntuale la complessità e, al tempo stesso, l'incomprensibilità del caso dei due fratelli medici.

I fratelli Arash e Kamiar Alaei, entrambi medici specializzati nella prevenzione e nella cura dell'infezione da HIV, sono stati arrestati nel giugno 2008 mentre stavano partendo per partecipare ad una conferenza sull'AIDS in Messico; partecipazione che era stata avallata dalle competenti autorità iraniane.
Come hanno riferito anche alcune ONG impegnate sul tema dei diritti umani in Iran, i fratelli Alaei sono stati sottoposti a carcerazione preventiva senza possibilità di accedere ad un avvocato. Al termine di un processo iniquo, in cui sarebbero state prodotte prove mantenute segrete, nel gennaio 2009 i due sono stati condannati rispettivamente a sei e tre anni di prigione. Le motivazioni utilizzate per la condanna dei due medici, ai sensi dell'articolo 508 del codice penale iraniano, menzionano la collaborazione «con un governo nemico» e «azioni sovversive contro la Repubblica Islamica». Un'istanza di appello, presentata dall'avvocato difensore dei fratelli Alaei, è stata respinta, con il conseguente presumibile passaggio in giudicato delle sentenze (anch'esse rimaste segrete).

Tutto lascia supporre che, con tale dura e immotivata condanna, il regime iraniano abbia voluto mandare un minaccioso avvertimento alle élite riformiste all'interno del Paese, punendo i due medici non tanto per i loro contatti con organizzazioni della società civile statunitense impegnate nella lotta all'AIDS, quanto per aver criticato in pubblico le modifiche alle politiche governative nazionali di contrasto all'HIV introdotte dall'amministrazione ultraconservatrice in carica dal 2005.
Il caso è seguito con grande attenzione dai Governi occidentali e dalle più importanti ONG del settore (da «Amnesty International» a «Medici per i diritti umani»), che hanno attivato campagne mediatiche per la liberazione dei fratelli Alaei. Secondo informazioni trapelate recentemente, Arash e Kamiar - che hanno scontato rispettivamente un terzo e due terzi della pena loro inflitta - sarebbero attualmente detenuti nella stessa cella, in buone condizioni di salute sebbene in uno stato psicologico difficile, anche a seguito della revoca dei loro permessi di lavoro in carcere.

Sul piano bilaterale, abbiamo sottolineato alla controparte iraniana - in ogni occasione d'incontro - la nostra preoccupazione in merito alla situazione dei diritti umani nel Paese. Basti citare il colloquio che il ministro Frattini ha avuto con il suo omologo iraniano a margine dell'Assemblea generale dell'ONU a New York lo scorso 21 settembre e il suo recente incontro con il vice presidente iraniano Baghaei.
Va osservato che sui casi individuali è risultata spesso efficace l'azione condotta sul piano multilaterale. Gli interventi su violazioni dei diritti umani che non riguardino propri cittadini hanno maggiori possibilità di trovare una soluzione positiva quando vengono sostenuti dall'intera Unione europea piuttosto che dai singoli Stati a livello bilaterale. In tale contesto, sin dal 2008, la nostra ambasciata si è fatta promotrice, nell'ambito delle regolari riunioni con i rappresentanti a Teheran degli altri Paesi partner europei, di un'azione di stimolo, affinché il caso dei fratelli Alaei fosse oggetto di specifici interventi a nome dell'Unione europea.

Anche a seguito di tale impulso, l'Unione europea, sia sotto la Presidenza francese che con la successiva Presidenza ceca, ha chiesto il rilascio dei due medici attraverso diversi passi effettuati nei confronti delle autorità iraniane. In particolare, la Presidenza francese ha sollevato il caso con una specifica dichiarazione, mentre la Presidenza ceca ha convocato a Praga l'incaricato di affari iraniano al fine di richiedere la scarcerazione dei due medici.

Il generale deterioramento della situazione interna a seguito della repressione delle proteste post-elettorali verificatasi nell'estate del 2009 è stato all'origine di un gran numero di gravi violazioni dei diritti umani, puntualmente denunciate da tutti gli Stati membri dell'Unione europea. La reazione iraniana è stata purtroppo quella di opporre un atteggiamento di sempre maggiore chiusura al dialogo sui temi dei diritti umani.
Il Governo italiano continua a seguire con preoccupata attenzione il caso dei fratelli Alaei. La nostra ambasciata a Teheran, in contatto con le altre rappresentanze, sostiene l'opportunità di ulteriori passi congiunti dell'Unione europea e dei Paesi like-minded per sollecitare l'immediato rilascio dei due medici, cioè un atto di clemenza, come specificatamente suggerito al termine della sua illustrazione dal senatore Perduca.
Le voglio assicurare, senatore Perduca, che l'Italia cercherà nei prossimi giorni, insieme a tutti i partner europei, di fare un ulteriore e specifico passo in questa direzione.

PERDUCA (PD). Domando di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERDUCA (PD). Signora Presidente, ringrazio il Sottosegretario per avere confermato quello che credo sia un esempio, all'interno delle cancellerie occidentali, di diplomazia efficace per quanto riguarda i rapporti con un Paese difficile come la Repubblica islamica dell'Iran. Mi dichiaro dunque soddisfatto per la risposta, molto più di quanto non avremmo potuto dichiararci qualche mese fa, soprattutto per la sua ultima affermazione.
Ricordiamoci che cosa è riuscita a fare l'Italia proprio durante le manifestazioni del 2009: nottetempo è riuscita a concedere visti per l'espatrio ad una settantina di studenti che erano coinvolti nelle manifestazioni di Teheran e a grave rischio di persecuzione. Siamo soddisfatti della rinnovata disponibilità all'azione multilaterale, che - sono d'accordo - è più efficace di quella bilaterale.

La settimana prossima, il 1° dicembre, si celebra la Giornata mondiale sull'AIDS: forse un ulteriore passo, non dico direttamente, né multilateralmente, ma che potesse favorire l'attivazione di canali di diplomazia parlamentare - visto e considerato che anche in passato vi sono state occasioni in cui il Parlamento italiano è riuscito ad entrare in contatto con il Parlamento iraniano, quando i rapporti tra i Governi non erano necessariamente tra i migliori - potrebbe essere ipotizzato come possibilità ulteriore di pressione o magari di ricerca di soluzione, almeno in questo caso (perché resta ferma da parte del Parlamento tutto la denuncia delle violazioni sistematiche dei diritti umani in Iran).

Abbiamo anche presentato - speriamo che sia presto inserita in calendario - una mozione sul tema della lapidazione e delle violazioni in quel Paese dei diritti delle donne, che vengono trattate da oggetto e lapidate se accusate di adulterio. Credo che l'obiettivo sia quello di restituire la libertà a due innocenti. Quindi, tutto ciò che può essere fatto è sicuramente benvenuto.

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