1.21.2010

Ripresa della discussione dei disegni di legge nn. 1771, 66, 287, 305 e 477 (ore 10,33)

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Perduca, il quale nel corso del suo intervento illustrerà anche gli ordini del giorno G102 e G103. Ne ha facoltà.

PERDUCA (PD). Signor Presidente, in effetti oggi inizia la discussione generale su un importantissimo provvedimento che - come è stato già ricordato dal relatore e dalla senatrice Bassoli - se adottato, riuscirà finalmente - dico finalmente perché fino a 2-3 anni fa l'Italia, nella classifica stilata a livello internazionale in relazione alle cure palliative, seguiva addirittura la Namibia - a farci acquistare una posizione degna di uno Stato fondatore dell'Unione Europea.

Riteniamo che si tratti di questioni (e su questo incentro il mio intervento in discussione generale lamentando però il limitato tempo che ci è stato concesso nella giornata di ieri relativamente alla preparazione dei documenti, non dico soltanto dal punto di vista emendativo ma anche da quello dell'indirizzo generale, dalle ore 15,30 alle ore 21, o poco più, in una giornata in cui si doveva affrontare in Aula una situazione molto delicata come quella della giustizia italiana, che quindi non ha consentito a me ed alla senatrice Poretti di affrontare tutte le problematiche di tale provvedimento) che hanno tanto a che fare con l'amministrazione nazionale quanto, ahinoi, e poi cercherò di entrare nel dettaglio, con un'architettura internazionale che da 49 anni regolamenta la presenza nel mondo, nel tentativo di controllarla, delle piante, e dei loro derivati, che possono produrre sostanze sicuramente tossiche (le cosiddette droghe e le sostanze stupefacenti) e, allo stesso tempo, medicine e per l'appunto tutti i derivati che possono essere e in parte sono già utilizzati nella cura del dolore.

Nel 1961 la comunità internazionale adottava la Convenzione delle Nazioni Unite per il controllo delle sostanze psicotrope dove però in maniera arbitraria si elaboravano quattro tabelle che mettevano sotto strettissimo controllo tanto le piante quanto i derivati. Ne deriva quindi che la canapa indiana, il papavero e la foglia di cocaina sono trattate alla stregua dei loro derivati sia che si tratti di derivati fortemente tossici sia che si tratti di derivati da cui si può produrre anche medicine. Ne consegue che tale architettura, che poi con gli anni è stata ulteriormente rafforzata con altre due convenzioni, nel 1971 e nel 1988, che hanno ulteriormente ristretto l'ambito in questione, è stata poi declinata a livello nazionale con l'incorporazione di queste norme nei vari Stati che hanno ratificato i documenti.

L'Italia - ahinoi! - alla fine degli anni Ottanta adottò la famigerata legge Jervolino-Vassalli, una delle più proibizioniste del mondo, e che però, allo stesso tempo, unico caso al mondo, nel 1993, grazie ad un referendum dei radicali, fu fortemente emendata per porre rimedio ad un regime che non soltanto andava, fortemente secondo noi, a ledere la libertà di scelta degli individui ma, allo stesso tempo, poneva anche molti limiti a tutta una serie di riduzioni del danno. In quel caso non si parlava di cure palliative ma di tossicomania, termine che il proibizionismo ha sempre portato con sé.

Le Nazioni Unite, dopo aver adottato questi tre documenti, hanno creato anche un'agenzia specifica, che ha sede Vienna e che l'Italia negli ultimi 25 anni ha sempre diretto con varie personalità (oggi c'è l'economista Enrico Maria Costa), che cerca, da una parte, di farsi garante delle convenzioni e, dall'altra, insieme alla Giunta internazionale per le sostanze stupefacenti, di regolamentare quanto è possibile all'interno delle convinzioni, e cioè una produzione e delle piante e delle sostanze raffinate per fini medici e scientifici. Qui rientrano chiaramente sostanze come la morfina, la codeina ed i derivati della canapa indiana e della foglia di cocaina.

Nel 1960 (se dovessimo rimanere a uno degli analgesici più potenti, cioè la morfina) il papavero veniva prodotto in due Stati: la Turchia e l'India. Al momento in cui si decise di regolamentare la presenza di queste piante nel mondo si fece la fotografia e si disse che l'80 per cento della produzione mondiale di questa pianta doveva comunque rimanere possibile in questi due Stati e che le quote eccedenti potevano essere distribuite in giro per il mondo. Si fecero avanti l'Australia (forse non tutti sanno che l'isola della Tasmania è il più grande produttore di papavero che poi viene utilizzato per l'oppio) e anche, in Europa, alcuni Paesi dell'ex blocco del Patto di Varsavia, come l'Ungheria o la ex Cecoslovacchia (il papavero fa parte della loro cultura alimentare locale; anche in Spagna e in Francia è consentito produrre il papavero per farne poi morfina e codeina).

Stiamo parlando però del 1961 (ricordo la Baia dei porci; da poco, poi, si era entrati nello spazio) e su quei dati - la cui elaborazione, ahimé, era chiaramente relativa alla disponibilità di dati che poteva essere condivisa in un mondo diviso dalla Guerra fredda - si è tarato un sistema che, a livello centrale, la Giunta internazionale per il controllo delle sostanze narcotiche da Vienna cercava di governare, o quantomeno di far rientrare all'interno dell'architettura legale nata con la Convenzione del 1961.

Quindi stime, molto spesso stime di stime, perché sappiamo che nel 1961 - ma anche oggi - un terzo dei Paesi facenti parte delle Nazioni Unite non possono essere considerati, non dico democrazie, ma Stati efficienti dal punto di vista amministrativo. Pertanto, i dati forniti dal Ministero della salute al Presidente del Consiglio e inviati quindi alle Nazioni Unite sono, se non fallaci, molto spesso inesistenti: Paesi come l'Arabia Saudita, ad esempio, non forniscono alcun tipo di dato alle Nazioni Unite, e lo stesso dicasi per tutta l'Africa subsahariana. Allo stesso tempo, credo che sia impossibile ritenere che in quei Paesi non esista il dolore o, addirittura, che non esistano quelle poche sostanze che possono essere utilizzate per la cura dello stesso.

Quest'architettura, che la Giunta internazionale per il controllo delle sostanze narcotiche (INCB) cerca di gestire, stabilisce le quantità che legalmente possono essere prodotte nel mondo, sulla base dei dati che vengono forniti dagli Stati a Vienna.

Tale meccanismo è definito di domanda legale, alla quale deve corrispondere necessariamente un'offerta legale di quantità pressoché simili, salvo delle piccole eccedenze che possono essere stoccate in luoghi che sono molto più vicini a delle basi militari, che non a dei veri e propri magazzini: stiamo parlando infatti di sostanze che, se deviate in alcuni contesti e ulteriormente raffinate, possono sicuramente diventare sostanze tossiche anche letali, come per esempio l'eroina.

Se tutti i Paesi del mondo, attraverso un processo legislativo come quello che entro le prossime settimane speriamo di portare a conclusione, dovessero andare nella direzione di rendere molto più facile la prescrizione di analgesici derivanti dalle sostanze catalogate nelle tabelle della Convenzione ONU del 1961 sulle sostanze psicotrope, è chiaro che la domanda reale di analgesici derivati da queste sostanze creerebbe esponenzialmente, a fronte però della domanda legale, quella cioè che viene quantificata dalla Giunta sulla base dei dati forniti, che vengono elaborati e trasferiti poi a Vienna.

Credo che tutto questo debba essere tenuto in conto, non perché siano dei ragionamenti astrusi, ma perché un domani che l'Italia dal 150° posto - qual era l'ultima volta che ho controllato le classifiche relative alla disponibilità di cure palliative nel mondo - dovesse salire al 10°, al 15° o al 20°, vorrebbe dire che la nostra domanda reale e quindi, conseguentemente - visto e considerato che abbiamo un'amministrazione pubblica che funziona - la domanda legale di oppiacei, per esempio (ma anche di derivati dalla canapa e un domani, chissà, anche di derivati dalla foglia di coca, perché questo non è che un primo passo verso una direzione che può rendere sempre più possibili e diffuse queste sostanze nel nostro Paese) decuplicherebbe, magari centuplicherebbe, perché in effetti oggi, ahinoi, si soffrono ancora le pene dell'inferno quando si sta male, non potendosi avere accesso alla morfina, che è invece consentito negli Stati Uniti d'America.

Cosa farà l'Italia a quel punto? A me non pare di aver scorto in questo provvedimento - ma magari misure in tal senso potranno essere adottate successivamente - una modifica della legge che regolamenta la possibilità per l'Italia di approvvigionarsi di una quantità di morfina, attraverso il meccanismo internazionale, che va ben oltre la soglia posta alla legge attuale.

Se noi oggi parliamo di "x" e l'anno prossimo dovessimo parlare di "x2" o "x3", non so se l'Italia legalmente riuscirebbe facilmente ad approvvigionarsi di queste sostanze senza mettere mano alla legge nazionale che le consente di comprare più morfina rispetto a quella prevista per l'anno in corso in una percentuale del 10 per cento, così mi pare dica la legge. Comunque, si troverebbe sicuramente sbilanciata all'interno dell'Unione Europea e all'interno delle Nazioni Unite in questo boom di domanda di sostanze oppiacee.

Tutto questo deve essere preso in considerazione e mai però è emerso nel dibattito che è stato fatto in Commissione in maniera un po' affrettata, visto e considerato che ieri è stato concluso alle ore 15,30 e abbiamo avuto cinque ore scarse per preparare i documenti.

È un peccato che non sia in Aula il sottosegretario Mantica perché questo ha a che fare con la nostra presenza all'interno dell'Ufficio delle Nazioni Unite per il controllo della droga e la prevenzione del crimine di Vienna e avrà a che fare magari, se l'Italia riterrà di prendere in considerazione questi nostri suggerimenti nelle cinque pagine di ordine del giorno che ho preparato insieme alla senatrice Poretti, con la 53a sessione della Commissione droghe di Vienna che si terrà a metà marzo. È lì che la questione va sollevata dicendo che quanto era stato fotografato nel 1961, 1971 e 1988 dalle Convenzioni internazionali oggi non vale più per tanti motivi e non perché si vogliono legalizzare le droghe, anche se noi, antiproibizionisti radicali, le vogliamo legalizzare per regolamentarle, ma questo è un altro tipo di problema, ma perché si ritiene che la quantità di piante e loro derivati prodotti per uso medico e scientifico debba essere aumentata.

In Italia, per consentire questa presenza legale e regolamentata, abbiamo cambiato nei mesi di gennaio e febbraio la nostra legge e, quindi, da domani l'Italia vuole avere una quantità di sostanze per la cura del dolore pari a quella degli Stati Uniti. Questo va a sconvolgere gli equilibri a livello internazionale.

Non è che noi abbiamo una risposta dal punto di vista tecnico, ma abbiamo una proposta dal punto di vista politico che abbiamo già fatto negli anni scorsi a livello formale e che nella XV legislatura fu fatta propria dal Governo Prodi per essere portata alle Nazioni Unite. Posto appunto che però va sollevato il problema della modifica di questo meccanismo che bilancia le quote legali di produzione, di acquisto e distribuzione dei derivati delle sostanze contenute nelle convenzioni delle Nazioni Unite, occorre andare a trovare nel mondo chi possa fornirle qualora tutti gli altri 26 Stati dell'Unione Europea dovessero adottare una legislazione simile alla nostra.

In effetti, i Paese nordici già l'hanno adottata e lì, ora, è più facile essere curati con morfina e codeina, ad esempio. In alcuni Stati, inoltre, si iniziano ad utilizzare i derivati della canapa indiana e noi abbiamo presentato anche degli emendamenti in questo senso. Negli Stati Uniti ci sono 14 Stati su 50 che ormai hanno legalizzato la marijuana come medicina. Si sta quindi creando un movimento non di opinione pubblica o politica, ma di buon senso che riconoscendo queste piante e i loro derivati come medicine dice di utilizzarle come tali perché fanno del bene e addirittura cancellano il dolore.

Noi riteniamo in maniera non provocatoria che per il governo di un fenomeno che ha, se non altro, due aspetti (uno è quello delle cure palliative e l'altro è quello geopolitico e geostrategico), proprio in vista della Conferenza che si terrà a Londra il 28 gennaio sull'Afghanistan, l'Italia di concerto con gli altri partner europei debba assumersi la responsabilità di proporre la possibilità di trasferire nel mercato legale tutto l'oppio che viene prodotto in Afghanistan perché altrimenti si è certi, checché ne dicano gli ex zar antidroga come l'europarlamentare dell'Italia dei Valori Pino Arlacchi e qualcuno che è stato sospeso dalle Nazioni Unite per la sua mala condotta o anche l'attuale direttore dell'ufficio di Vienna, dottor Costa che ritiene che la situazione sia sotto controllo, che questo altro oppio verrà trasferito dai laboratori che sono presenti in Afghanistan e nei Paesi limitrofi dove viene trasformato in eroina per essere poi sicuramente venduto nelle ex repubbliche sovietiche e in Europa. Si compri, quindi, si stocchi e si elabori quel derivato del papavero in morfina e codeina e tutti gli altri analgesici e oppiacei.

Mi avvio alla conclusione del mio intervento sottolineando - per chi fosse ulteriormente curioso di avere dati elaborati non da noi ma dalla Nazioni Unite - che secondo l'Organizzazione mondiale della sanità l'80 per cento degli oppiacei prodotti nel mondo viene utilizzato da dieci Paesi. Pertanto, su poco più di sei miliardi di persone, neanche un decimo ha accesso facile a questo tipo di cure; il resto del mondo patisce. Potrebbe farvi parte anche l'Italia: nel nostro Paese, però, anche prima del provvedimento in esame, con un minimo di sforzo si poteva avere la fortuna di ottenere un'iniezione che calmava il dolore. Si tratta di persone che hanno un tumore, che hanno subìto un incidente o un cataclisma naturale. In ogni caso, vi sono Paesi nei quali questa possibilità non esiste, magari perché non vi è neanche un'amministrazione o uno Stato oppure perché, qualora questo esista, è povero e non può permettersi cure palliative.

Allora, se oggi l'Italia (così come il resto dell'Europa) modifica la legge e si fa promotrice anche nei Paesi con i quali intrattiene rapporti di aiuto e cooperazione allo sviluppo di modifiche legislative o addirittura di aiuti umanitari, in virtù del nostro tradizionale impegno nei Paesi poveri, specialmente nel settore della sanità, è chiaro che il sistema non regge più. Dunque, se ci si fa promotori delle terapie del dolore, credo che nello stesso tempo ci si debba assumere la responsabilità delle modifiche legislative.

Nell'ordine del giorno G103, che viene illustrato oggi ma che probabilmente verrà discusso la prossima settimana, chiediamo che tutto ciò venga preso in qualche modo in considerazione. Vi risparmio tutte le premesse e mi limito a leggere quello che chiediamo al Governo. Tra l'altro, considerato che negli ultimi giorni il mondo è - ahinoi - bombardato dalle drammatiche e tragiche notizie provenienti da Haiti, l'Italia, che promette alle Nazioni Unite di sostenere alcune iniziative ma non sempre mantiene la parola data, dovrebbe attivarsi, a parte l'invio delle portaerei, anche con contributi alle agenzie delle Nazioni Unite che si occupano di questo. Ne esiste una, in particolare, che si chiama United nations central emergency response fund.

Chiediamo, dunque, al Governo che mantenga gli impegni assunti relativamente al contributo per quell'agenzia, alla quale peraltro vanno a finire le richieste di analgesici. Chiediamo inoltre, che il Governo prenda in considerazione in termini strategici le raccomandazioni avanzate dal Parlamento europeo nell'ottobre 2007 circa la possibilità di lanciare progetti pilota di coltivazione di papavero per la produzione di analgesici (in particolare in Afghanistan); persegua politiche che, tenendo conto del contesto nazionale afgano, non avviino l'estirpazione forzata delle culture per non contribuire a creare ulteriori situazioni di conflitto con la popolazione civile, in particolare con le migliaia di contadini che lavorano nel settore della produzione di papavero (si tratta del 16 per cento della popolazione afgana); iscriva finalmente all'ordine del giorno della 53ª sessione della Commissione ONU sulle droghe dell'8-12 marzo prossimi la necessità di rivedere in sede multilaterale il meccanismo che alloca le quote di produzione legale del papavero per oppiacei ipotizzando l'inclusione dell'Afghanistan tra i Paesi che oggi coprono la cosiddetta domanda legale internazionale.

Questi temi purtroppo non sono rientrati perché il dibattito è stato svolto prevalentemente in Commissione igiene e sanità nelle settimane scorse, ma - a nostro avviso - dovrebbero essere posti al centro dell'iniziativa politica, non solo nazionale, ma anche multilaterale dell'Italia. Infatti, un'esplosione di domanda reale, e quindi legale, a livello nazionale inciderebbe sugli equilibri internazionali. (Applausi dei senatori Poretti e Saia).

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