Discussione e approvazione del disegno di legge:
(1652) Conversione in legge del decreto-legge 15 giugno 2009, n. 61, recante disposizioni urgenti in materia di contrasto alla pirateria (Approvato dalla Camera dei deputati) (ore 9,40)
È iscritto a parlare il senatore Perduca che, nel corso del suo intervento, illustrerà anche l'ordine del giorno G2. Ne ha facoltà.
PERDUCA (PD). Signor Presidente, mi sono iscritto a parlare non tanto, naturalmente, perché sia contrario alla ratifica del decreto oggi in discussione ma perché, come è emerso ieri durante il dibattito relativo al modello di difesa, ritengo che quest'anno non ci sarà un vero e proprio approfondimento di ciò che attiene alla partecipazione italiana alle missioni internazionali. Dovremo invece ratificare, con una sorta di decreto omnibus, un "mille proroghe", con la formula prendere o lasciare, tutto ciò che magari avremmo sostenuto ma che allo stesso tempo avremmo voluto approfondire. Quest'anno non sarà possibile tenere un dibattito relativamente alle missioni italiane all'estero ma, per l'appunto, è stata sfilata dal pacchetto la nostra partecipazione alla missione Atalanta.
La missione Atalanta nasce su stimolo delle Nazioni Unite perché si è ritenuto necessario combattere questo fenomeno. Nella risoluzione adottata l'anno scorso a New York, però, si limita, se non altro nel dettato di quel documento, la presenza di una forza internazionale a scorta, difesa e protezione delle imbarcazioni del programma alimentare mondiale, quindi qualcosa di leggermente diverso relativamente alla lotta alla pirateria.
Nella relazione che accompagna il disegno di legge che ci accingiamo a ratificare si nota che negli ultimi anni si è verificato un aumento di questo fenomeno ma non viene fornito l'ammontare effettivo di tale aumento né tantomeno viene svolto un ragionamento in termini più generali circa il fenomeno. Certo si dice che la prateria è come altri mestieri, uno dei più antichi del mondo, ed è riconosciuta come un'attività contro l'umanità, contro ogni uomo, motivo per il quale deve essere perseguita con la massima decisione e fermezza grazie anche al diritto consuetudinario e alla richiamata convenzione della baia di Montego. Comunque, in effetti, il fenomeno non viene quantificato. Io credo che si faccia anche - ahinoi! - l'economia del volume commerciale del trasporto di qualsiasi tipo di beni, ma in particolare dei due terzi del petrolio prodotto in medio Oriente, sia nella penisola arabica che altrove, a sud del mare del Caspio. Non ci viene detto, in termini assoluti, quale sia il volume di questo traffico e nemmeno quale sia il volume di traffico che è stato vittima di pirateria.
Un giornale che credo non si sia mai risparmiato nella promozione della mano ferma, il "The Wall Street Journal", quando l'anno scorso si era al picco di attacchi contro imbarcazioni che trasportavano sia petrolio che - caso clamoroso - addirittura una trentina di carri armati sovietici destinati al Kenya, dove la situazione politica generale aveva portato a grandi manifestazioni di massa a seguito di elezioni più o meno libere, più o meno democratiche (si tratta quindi di qualcosa che magari sfugge a chi si interessa di diritti umani, ma che è emerso in seguito al sequestro delle navi da parte dei pirati), sviluppò una statistica, dalla quale risultò che le navi sequestrate dai pirati ammontavano a circa l'1,5-2 per cento di tutto il traffico che passa nel mar Rosso, nel golfo Persico e poi nel golfo di Aden.
A fronte di questo 1-2 per cento di volume effettivamente intercettato ma non distrutto, anzi spesso restituito a seguito del pagamento di riscatti o di iniziative di diplomazia muscolosa che non necessariamente hanno implicato l'utilizzo di danari, abbiamo deciso di portare la questione davanti al Consiglio di Sicurezza, affinché venisse adottata una risoluzione dal massimo organo esecutivo della comunità internazionale, con cui si chiede agli Stati interessati di partecipare al contrasto della pirateria, inviando fregate e comunque dispiegando la propria forza di terra, di cielo e di mare (credo che si debba proprio dire, perché non si tratta soltanto di navi) in quella parte del mondo.
In nessuno dei passaggi relativi a questo esercizio, ci si è posti il problema da parte europea di cogliere l'occasione, come ho cercato di dire ieri in relazione al dibattito sul modello nazionale di difesa, per tentare di organizzare una presenza sotto la bandiera dell'Unione europea, cioè di coordinare un comando sul Corno d'Africa, magari in forma di esperimento. Considerato che il numero di cargo che corrono questo rischio è probabilmente maggiore all'1 per cento e che, proprio perché si tratta di pirati molto selvaggi, per non dire selvatici, soltanto l'1-2 per cento viene interessato dai loro attacchi, si sarebbe potuto tentare di coordinarsi sotto la bandiera con le 12 stelle e invece si è deciso di non farlo.
Si è anche accelerato un processo di inclusione, all'interno di questo tipo di iniziative, della marina russa e anche della marina cinese, con una sorta di distrazione a proposito delle pratiche che questi due Paesi utilizzano per tutto ciò che attiene alla lotta alla criminalità, al terrorismo e alla pirateria. Sappiamo che, in base al diritto consuetudinario e per il fatto che si ritengono i pirati nemici di chiunque, è lecito utilizzare qualsiasi tipo di mezzo per debellare la pirateria, ma allo stesso tempo sappiamo che, negli ultimi quarant'anni, sono stati adottati strumenti di protezione e promozione dei diritti umani anche nei confronti dei più colpevoli. Penso ad esempio a chi si è macchiato del crimine di genocidio, probabilmente il più odioso che sia mai stato codificato. Come dicevo, dunque, non ci si è posti il problema del tipo di reazione che la marina cinese o russa potrebbero avere nei confronti dei pirati.
L'altra questione che non si è voluto prendere in considerazione, posto che nessuno mette in dubbio la buona fede di questo esercizio, è che ci si va ad interessare di un Paese, la Somalia, che all'inizio degli anni Novanta è stato sospeso dall'essere membro delle Nazioni Unite, in virtù del fatto di non avere un Governo presente, non dico liberamente e democraticamente eletto, che potesse vantare il controllo di tutto il territorio riconosciuto secondo il diritto internazionale come Somalia.
Questo non è stato fatto per tutta una serie di motivi. Innanzitutto, negli anni scorsi, grazie all'insistenza dell'amministrazione Bush, si è ritenuto che il Corno d'Africa fosse una delle zone in cui Al Qaeda stava iniziando a prendere sempre più piede in un'area strategicamente molto importante perché non soltanto da lì passano tutti i traffici di beni e prodotti provenienti dal Sud-Est asiatico e i due terzi del petrolio che poi viene distribuito nei mercati occidentali, ma anche perché, se consideriamo quest'area dal punto di vista della sua collocazione all'interno del continente africano, è anche vicina ad altre zone in cui sono ancora in corso dei conflitti; mi riferisco al Congo, all'Uganda, al Darfur e, purtroppo, anche ad una parte del Ruanda che confina con il Congo e che continua ad essere armata malgrado la presenza delle Nazioni Unite e l'attività dei vari tribunali e corti penali internazionali o internazionalizzate che da anni esercitano la propria giurisdizione in quegli ambiti. Si è quindi cercata la soluzione militare rispetto a quella che avrebbe potuto iniziare ad essere una soluzione politica.
Sappiamo che quando si discute la ratifica di un disegno di legge si può incidere con degli emendamenti e - si spera - con alcuni argomenti con i quali si contribuisce al dibattito. Non credo però sia questo il caso di presentare prima degli emendamenti e poi di intervenire per dieci minuti, che peraltro sto per esaurire. Ho quindi deciso di presentare a questo disegno di legge l'ordine del giorno G2 che riprende ciò che avevo tentato di sollecitare l'anno scorso quando, per la prima volta, fu inclusa la partecipazione italiana alle missioni internazionali in tale ambito e, nello specifico, alla missione "Atalanta". Riprendendo i contenuti dell'ordine del giorno, ricordo che una parte del territorio della Somalia, quella settentrionale, è rappresentata dal Somaliland che, contrariamente al resto del Paese, è riuscito a mantenere un minimo di presenza e di lavoro di istituzioni nazionali ed un minimo di presenza e di godimento di diritti civili e politici, con tutte le problematicità che può avere un Paese non soltanto circondato dal nulla dal punto di vista politico-istituzionale ma anche fortemente povero. Tale zona, quindi, contrariamente a quanto ho cercato di affermare in precedenza, e cioè che a questo tipo di problemi bisognerebbe rispondere politicamente ancor prima che militarmente, avrebbe potuto essere utilizzata come base di partenza per alcune navi della flotta internazionale.
Chiedo pertanto al Governo di prendere in considerazione la possibilità di sondare i partner europei più attivi nella lotta alla pirateria, come Germania e Francia, che hanno già stabilito dei contatti con le autorità - definiamole anche in questo modo - del Somaliland, e a prendere in considerazione forme di collaborazione con il Somaliland nel contrasto efficace alla pirateria e nella ricerca della stabilizzazione della Somalia, non escludendo l'attenzione all'esercizio democratico praticato in quella zona. Ricordo, infatti, che nel mese di novembre il Somaliland eleggerà un presidente ed io credo che, magari inviando una delegazione informale di parlamentari, si possano unire i due aspetti della lotta alla pirateria da una parte e del recupero della stabilizzazione di un Paese come la Somalia dall'altra, attraverso la promozione di quel minimo di democrazia e di Stato di diritto che i somalilandesi sono riusciti a mantenere negli anni. (Applausi dal Gruppo PD).
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