PRESIDENTE. Pregherei i senatori che sono sempre con le spalle alla Presidenza di stare come normalmente si sta in un'Aula parlamentare. Ho mandato quattro volte gli assistenti parlamentari ad avvertirvi perché anche per la Presidenza è umiliante dover richiamare sempre i senatori. Vedo però che anche l'intervento degli assistenti parlamentari non è sufficiente. E' necessario qualche suggerimento.
PERDUCA (PD). Chiamiamo le Guardie svizzere!
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Perduca. Ne ha facoltà.
PERDUCA (PD). Signor Presidente, oggi abbiamo di fronte una situazione drammatica, paradossalmente meno drammatica di un'altra situazione che abbiamo avuto di fronte all'inizio del 2008 e nei confronti della quale ci siamo comportati in maniera radicalmente diversa. Mi riferisco alla Libia. Noi della Birmania siamo a conoscenza da interviste di persone (tra l'altro enumerate in modo dettagliato con citazioni particolari dal senatore Musso), mentre non una sola parola esce dalla Libia, con la quale abbiamo firmato un Trattato di cooperazione e sviluppo dando 5 miliardi di euro per i prossimi 20 anni. È un passo avanti questo dibattito? Sicuramente sì.
Allo stesso tempo, però, non possiamo aspettare di vedere Paesi sotto regimi antidemocratici avere la fortuna o la ventura di un premio Nobel per interessarci in maniera diversa, andando alla radice dei problemi. La mozione del Partito Democratico, infatti, nella sua premessa dice ottimamente: «i diritti umani fondamentali - come riconosciuti dalla nostra Carta costituzionale, sanciti dalle Dichiarazioni delle Nazioni Unite e richiamati nel Trattato per la Costituzione dell'Europa - rappresentano l'orizzonte comune dei popoli di tutto il mondo e devono costituire un riferimento costante per la politica internazionale e, in particolare, per l'iniziativa dei governi democratici nei confronti dei Paesi in cui tali diritti sono disconosciuti e conculcati». Se questo dovesse essere il nostro faro affermiamo, in virtù del fatto che questa luce ogni tanto gira, che tre mesi fa ci siamo orientati veramente verso il buio.
Detto questo, ci sono almeno tre questioni che non sono state ancora sollevate.
La prima, ripresa anche nella premessa della mozione del Partito Democratico, riguarda i diritti delle donne birmane. Sappiamo che esistono vere e proprie tratte di donne nei Paesi circostanti, soprattutto laddove sta iniziando, malgrado la grande attenzione della comunità internazionale, la costruzione di strade che attraverseranno altri Paesi antidemocratici, come il Laos, il Vietnam, la Cina, dove si stanno deportando prostitute per far trascorrere ore notturne tranquille a chi costruisce e ai primi camionisti che passano.
Poi ci sono due questioni che riguardano delle italiane, piuttosto che l'Italia, ma di conseguenza anche l'Italia.
La prima è la certificazione annuale che l'Agenzia delle Nazioni Unite per la droga e il crimine dà della Birmania come un Paese dove non esiste produzione di oppio. Mi chiedo chi è disponibile a credere che, in un Paese dove non si può entrare e dove vi sono foreste sterminate, a oggi si sia cancellata la produzione di papavero per fare oppio. Questo è quanto il vice segretario generale dell'ONU, Antonio Maria Costa, replica tutti gli anni e, come se non bastasse, si mostra fotografato con i rappresentanti della giunta militare in un contesto in cui stringe la mano e si complimenta per le politiche che i componenti della stessa adottano per continuare a eradicare l'oppio birmano, cancellando, tra l'altro, la presenza di popoli indigeni in buona parte di questo Paese, i quali continuano ad essere perseguitati, buon ultimo quello dei Karen, menzionato anche nella mozione del Partito Democratico.
La terza questione - fortunatamente è presente in Aula il sottosegretario Scotti - concerne il ruolo dell'Italia non soltanto perché, come sancito nella mozione, nel rispetto del diritto internazionale, è o dovrebbe essere il faro della propria iniziativa internazionale, ma perché l'Italia ha dato l'inviato speciale dell'Unione europea per la Birmania. Credo sia particolarmente preoccupante che un rappresentante di 27 Paesi in un anno e mezzo-due non sia riuscito - voglio limitarmi a questo commento - ad entrare in quel Paese. L'Italia da quando vi è stato il maremoto non è riuscita a presenziare a nessuna delle udienze - che si concluderanno il 12 giugno prossimo - del processo ad Aung San Suu Kyi; credo comunque che l'Italia stia dimostrando con questo dibattito sulla violazione dei diritti umani che finalmente si sviluppa in Senato un ulteriore senso di responsabilità. L'Italia non deve solo fare pressione perché tutti facciano altrettanto, ma anche assumersi le sue responsabilità, avendo l'inviato speciale dell'Unione europea, nei confronti di quel Paese. (Applausi dal Gruppo PD).
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