4.24.2009

Sul 94° anniversario dell'eccidio armeno

Sul 94° anniversario dell'eccidio armeno

SOLIANI (PD). Domando di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SOLIANI (PD). Signor Presidente, prendo la parola per ricordare alla Presidenza e all'Aula, alla vigilia del 24 aprile, che domani è celebrata in tutto il mondo la giornata (si tratta del 94° anniversario) del genocidio armeno. Lo ricordo anche a nome dell'Intergruppo parlamentare di amicizia Italia-Armenia, recentemente costituitosi, che vede presenti i parlamentari di tutti i Gruppi politici di Camera e Senato.

Domani mattina le comunità armene di Roma ricorderanno la grande sofferenza storica non solo del popolo armeno, ma dell'intera area europea e per le comunità armene della diaspora nel mondo. Questo momento verrà ricordato domani mattina alle 11, nella chiesa degli armeni in via Giulia a Roma,

Volevo ricordare questo evento al Parlamento italiano perché la coscienza del genocidio - che oggi continua a dividere, ma vede anche momenti di ricerca comune tra i popoli coinvolti nella vicenda - possa avere attenzione e sostegno per un mondo pacificato anche attraverso la vicenda del popolo armeno, per quanto riguarda l'Europa, ma anche il nostro Paese e l'intera comunità internazionale. (Applausi dal Gruppo PD).

PRESIDENTE. La ringrazio, senatrice Soliani. La Presidenza si associa al suo richiamo e alle valutazioni non solo sulla giornata di domani, che ricorda la sofferenza tremenda che ha subito questo popolo, ma anche per il dovere che abbiamo, perché un futuro di pace e di convivenza non si costruisce dimenticando le tragedie del passato: si costruisce se tali tragedie vengono assunte da tutti come riferimento, perché non si ripetano.

Quindi, nessuno dei presenti sulla scena di quell'area è responsabile per quel genocidio; diverrebbe responsabile se quel genocidio non venisse assunto come esistito, come condanna comune e come impegno a guardare oltre.

Da questo punto di vista, la pacificazione che c'è stata in Europa rispetto al nazismo si è basata proprio su questo: non dimenticare un'atrocità e saper guardare oltre.

L'episodio che mi è rimasto sempre in mente - Mitterrand e Kohl che si danno la mano di fronte al cimitero nelle Ardenne - è uno dei momenti su cui dobbiamo e dovremmo costruire anche questa memoria rispetto al genocidio in Armenia.

PERDUCA (PD). Domando di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERDUCA (PD). Signor Presidente, in quanto cittadino turco-cipriota, riconoscendo l'importanza dell'avvenimento, ritengo che anche l'uso politicamente corretto dei termini forse potrebbe aiutare ciò che in effetti è in atto grazie all'attuale Presidente turco, cioè un riavvicinamento ed una «re-inclusione».

Insistere quindi sul termine genocidio per quanto riguarda questo avvenimento può essere tanto importante da una parte quanto molto importante, ma in senso avverso, dall'altra. Siamo tutti d'accordo che c'è stato un eccidio e che sicuramente tale vicenda è stata strumentalizzata da ambo le parti; affiderei però alla letteratura scientifica, agli intellettuali e agli storici, come lei diceva, signor Presidente, il compito di far emergere la verità dei fatti. Allo stesso tempo, la nostra responsabilità politica è di guardare oltre, come ancora una volta lei ha detto.

A questo proposito, l'occasione sarebbe quella di evitare di utilizzare tale avvenimento come ulteriore paletto posto di fronte all'ingresso della Turchia nell'Unione europea, perché, allora sì, è certo che non si andrebbe nella direzione auspicata da tutti quanti.

PRESIDENTE. Sulla sua conclusione sono del tutto d'accordo, senatore Perduca. Sono stato onorato di rappresentare il Senato, su incarico del presidente Schifani, nell'incontro dei Presidenti dei Parlamenti europei a Parigi. Sono intervenuto sulla relazione circa le strategie dell'Europa da qui al 2030 e un punto del mio intervento ha riguardato proprio il fatto che, rispettando le condizioni (che valgono per tutti) necessarie perché uno Stato possa entrare a far parte dell'Unione europea, è importante che la Turchia vi entri, perché con un atto solo si sconfiggerebbe ogni presupposto e ogni rischio di guerre di civiltà.

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