In un caldo dicembre cambogiano di otto anni fa, con Marco Pannella
fummo bloccati al gate del volo per Saigon della Vietnam Airlines, il
ministero degli interni vietnamita riteneva che due elementi
notoriamente contro-rivoluzionari come noi sarebbero stati ad alto
rischio attacchi da parte del popolo.
Per quanto con visto sul
passaporto di servizio, ci attendeva per il 24 dicembre il presidente
dell'assemblea nazionale ad Hanoi, non ci fu consentito l'imbarco e a
niente valsero le rimostranze di Pannella - forse per l'unica volta in
vita sua. In realtà dovevamo andare a visitare il venerabile Thich
Quang Do da anni ai domiciliari nella sua pagoda a Ho Chi Min City
perché leader fuori legge della lotta buddista Nonviolenta per un Vietnam
democratico.
Negli anni m'è capitato di
accompagnare Marco Pannella in missioni in Europa, Asia e Africa e,
dovunque e con chiunque fossimo, era come se stessimo in una riunione di
quelle nella "saletta" - la "situation room" del Partito Radicale - dove
anche l'ultimo arrivato aveva la possibilità di dir la sua e trovare in
Pannella un orecchio attento. Pannella parlava con tutti e, forse ancor
di più, ascoltava tutti e riusciva a cogliere uno sprazzo, spesso
critico, anche nell'ultimo arrivato. L'unica differenza è il tutto
avveniva in lingue che Pannella non parlava.
Che fossero le
udienze col Dalai Lama, o le tre ore col premier cambogiano Hun Sen,
per arrivare alle decine di militanti dei diritti umani che negli anni
si son iscritti al Partito Radicale, tibetani, ceceni, uyguri,
montagnards, hmong, khmer krom, sind, baluci, assiri, haredin fino a
meno estravaganti kosovari o qualche Lord britannico, mi son trovato a
tradurre pannella in inglese - una volta per due ore dal francese col
direttore dell'Open Society Institute Aryeh Neier.
Difficile per alcuni
da seguire in italiano, Pannella, quasi miracolosamente, era
traducibilissimo nella lingua di Shakespeare. Bastava solo seguirlo
attentissimamente, con la stessa attenzione che occorreva quando dettava
lettere o comunicati stampa. Di aneddoti da raccontare ce ne sarebbero
- ce ne saranno - a migliaia, ma ai suoi interlocutori Pannella non
pareva un estravante eccentrico, la sua fama lo precedeva a Washington
come a Nouakchott a Parigi come a Niamey a Londra come a Tirana.
Ed era,
resterà, la fama di qualcuno che viveva di e per la politica, spesso
nutrendosi di null'altro che non fosse la speranza che rappresentata.
Tradurre la speranza è stato per me un onore più ancora che un onere.
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