Lo
avevano annunciato e son stati di parola, decine di migliaia di cinesi
residenti a Hong Kong stanno occupando i luoghi simbolo della loro città
con lo slogan #occupycentral per chiedere di poter eleggere
direttamente, e senza veti o filtri, i propri rappresentanti politici.
Durante il finesettimana la polizia ha tentato di disperdere la folla,
principalmente composta da studenti, con il risultato di mobilitare
altre migliaia di persone a favore del rispetto degli obblighi della
Repubblica popolare cinese sia verso i propri cittadini che il Regno
unito che 17 anni fa ritornò la colonia a Pechino.
Negli ultimi quattro, anni troppo spesso le democrazie occidentali hanno assistito da lontano, e con prudente diplomatico distacco, a manifestazioni di protesta di giovani tunisini, siriani, bareniti, egiziani, libici e ucraini, salvo poi trovarsi obbligati a dover affrontare scenari di restaurazione o caos. A Hong Kong, se possibile, è stato fatto anche di peggio quando banche, istituzioni finanziarie e anche la camera di commercio italiana, hanno fatto pubblici appelli all'obbedienza ai desiderata di Pechino.
I residenti di Hong Kong non voglion esser invasi dalla democrazia, non vogliono esser difesi dall'estero, non vogliono importare modelli a loro estranei, vogliono poter praticare quello che, ormai anche in dottrina, è considerato un diritto codificato: poter partecipare liberamente alla scelta dei propri governanti. E lo fanno, come i loro antenati di Tienammen, con la nonviolenza politica di chi è inerme ma non inerte.
Nei prossimi giorni occorrerà che i democratici, i liberali e i federalisti di tutto il mondo manifestino la loro vicinanza politica, e magari anche fisica, a chi si batte per l'affermazione delle libertà civili a Hong Kong e perché, finalmente, la democrazia possa parlare cinese.
Negli ultimi quattro, anni troppo spesso le democrazie occidentali hanno assistito da lontano, e con prudente diplomatico distacco, a manifestazioni di protesta di giovani tunisini, siriani, bareniti, egiziani, libici e ucraini, salvo poi trovarsi obbligati a dover affrontare scenari di restaurazione o caos. A Hong Kong, se possibile, è stato fatto anche di peggio quando banche, istituzioni finanziarie e anche la camera di commercio italiana, hanno fatto pubblici appelli all'obbedienza ai desiderata di Pechino.
I residenti di Hong Kong non voglion esser invasi dalla democrazia, non vogliono esser difesi dall'estero, non vogliono importare modelli a loro estranei, vogliono poter praticare quello che, ormai anche in dottrina, è considerato un diritto codificato: poter partecipare liberamente alla scelta dei propri governanti. E lo fanno, come i loro antenati di Tienammen, con la nonviolenza politica di chi è inerme ma non inerte.
Nei prossimi giorni occorrerà che i democratici, i liberali e i federalisti di tutto il mondo manifestino la loro vicinanza politica, e magari anche fisica, a chi si batte per l'affermazione delle libertà civili a Hong Kong e perché, finalmente, la democrazia possa parlare cinese.
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