1.04.2014

sul @ilfoglio_it sulla teosofia del 'dudeism' in risposta a Mariarosa Mancuso

Al Direttore - Oltre a fare a tutti gli auguri per il 2014, volevo segnalare a Mariarosa Mancuso il seminale saggio del 2004 "Dude" di Scott F. Kiesling dell'Università di Pittsburgh dove, molto seriosamente, si arriva alla conclusione che non sia necessariamente il 'cazzeggio' ciò che alla fin fine caratterizzi i dude e che, forse, l'evangelizzazione sia il perfetto contrario del significato intrinseco di chi viva 'à la dude'.

Infatti, se è vero che dal 1998 grazie al Grande Lebowsky dei fratelli Cohen il mondo intero è stato investito dalla potenza espressiva del termine 'dude' - nonché dalle problematiche caratteristiche esistenziali di chi se ne (auto) fregia - è altrettanto vero che un attento lettore delle strisce di Doonesbury aveva già potuto confrontarsi con certi stereotipi (archetipi?) fin dall'inizio degli
anni '70.


Se quindi esiste una teosofia del 'dudeism', e temo che si sia arrivati anche a questo, essa implica il susseguirsi del rispetto (to abide) a una regola non scritta che è, per l'appunto, il mero uso del sintagma nominale 'dude'. Tutto qui. Non è quindi un vivere cazzeggiando ma, come direbbe un anti-dude nostrano, un "prenderla così", cioè 'take it easy', che è forse la miglior arte dal pleistocene.


Avete condotto una discussione divertente e allusiva ma esoterica. Pochi ne hanno capito qualcosa di sensato. Io non sono del novero. So che una volta nel Colorado, quando ancora non c'era l'erba libera, mi prenotai per un soggiorno in un dude ranch, e fu una specie di tonfo, senza conseguenze troppo gravi, taking it easy, nella più disinvolta e banale e giocherellona stupidità infantile. Un western panettone.

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