Al
direttore - Nel suo pezzo "Perché l`inglese è una lingua-fiume che
allaga (e rende fertile) il mondo, Erica Scroppo elogia sperticatamente la lingua di Shakespeare attribuendole poteri creativi
che purtroppo ha solo a casa propria. Prima di addentrarmi in qualche
esempio di come, per l'appunto, l`uso della lingua inglese nell'ambito del lessico politico contribuisce a creare percezioni lontane dalla
realtà, vorrei sollevare un dubbio di tipo etimologico e poi uno più
prettamente linguistico.
Contrariamente a quanto affermato dalla
Scroppo, l'aggettivo awesome appare per l'appunto in epoca elisabettiana e, proprio come altre espressioni vetero-anglistiche,
vive con rinnovata forza dell'inglese americano in quegli "americanismi spesso orrendi". Sicuramente c'è un`iperbolico
svilimento dell'aggettivazione, ma l'etimo viene dalla fine del '500.
La seconda è che l`inglese sia fruibile specie a livello elementare!
Ora, se è vero che i sei punti elencati dalla Scroppo sono elementi
che caratterizzano l'inglese, per quanto riguarda la mia esperienza di
pratica di quella lingua, essa non è per niente fruibile a
livello elementare, anzi! Essendo una lingua basata su espressioni idiomatiche con sfumature intraducibili, solo chi la padroneggia
appieno può esser in condizione di comunicare concetti complessi o di
ordinare un tè o un "latte" da Starbucks con la certezza di ricevere il
prodotto desiderato. L'inglese è una lingua difficilissima da
padroneggiare perché implica uno sforzo mnemonico enorme: va saputa
tutta a memoria, non si può star lì a costruire una frase sulla base
di regole grammaticali. E' il suo bello!
Ma veniamo al problema centrale, diciamo politico, del perché l`inglese non renda fertile il
mondo ma contribuisce, purtroppo e suo malgrado, a generare grandi
inganni. In Italia da anni, diciamo dall'avvento di questa fantomatica Seconda Repubblica, è invalsa la pratica di includere nel lessico
politico termini anglofoni se non anglofili. Ebbene questi, lungi dal
rappresentare o promuovere la realtà a cui fanno riferimento,
abbagliano l'ignaro cittadino. Sveliamo qualche arcano. Il premier è
il capo del governo di un paese dove la figura del capo di stato è
puramente cerimoniale e non partecipa minimament alla vita politica
del paese. Il premier non concerta le proprie decisioni con gli altri
ministri e non si deve confrontare col voto di fiducia per vedere le
proprie decisioni diventare legge. Certo si fa prima a dire premier
che presidente del Consiglio dei ministri, ma cosa può essere il
risparmio di un paio di parole di fronte alla ripetizione della
nozione che la nostra Repubblica è, e resta, una Repubblica
parlamentare, contrariamente a chi da anni ce la vende come ormai
diventata "Seconda" se non addirittura "Terza"?
Dopo il premier, è
arrivata la politica cosiddetta bi-partisan, sempre pronunciata "bipartizan" piuttosto che "baipartisan". A parte il fatto che in
Italia, indipendentemente dal sistema elettorale non si è mai scesi sotto la decina di partiti presenti in Parlamento, ma se proprio
dovessimo classificare certe decisioni prese all'unisono dai maggiori
partiti italiani, si dovrebbe parlare di partito unico, specie in
merito alle (contro) riforme e/o alla spesa pubblica, piuttosto che di
due soggetti politici alternativi che si coalizzano in momenti
cruciali nell'interesse del paese.
Per far vedere che il governo rispetta il Parlamento in dialogo con deputati e senatori, e non lo
frequenta solo ed esclusivamente per estorcere voti di fiducia a
raffica, qualche anno fa è stato inventato il Question time. A
differenza delle sedute della Camera dei Comuni di Londra però, dove
il premier, quello vero, viene messo sulla graticola dai parlamentari,
alla Camera dei deputati (in Senato non esiste) il tutto si risolve
con una fiacca lettura di domande e risposte su questioni spesso
marginali senza che ne segua il benché minimo dibattito politico.
Sempre restando in Parlamento, quando si preparano interrogazioni o
interpellanze piuttosto che ordini del giorno o mozioni, i documenti
vanno mandati al drafting. Allo stesso tempo, il o la presidente della
seduta inaugura o conclude i lavori, o interviene su questioni
regolamentari, leggendo uno speech. In questo florilegio di inglesorum
le autorità garanti create negli ultimi 15-20 anni son sempre citate
in quanto Authorities. Si tratta di entità create sulla base, almeno
così fu pensato, del modello anglosassone di controllo indipendente di questioni di ordine generale e interesse pubblico. A parte che
l'equivalente negli Usa spesso si chiama Commission, in Italia tanto è
l'amore per l'indipendenza del controllore che un numero fisso di
"commissari" delle Authorities viene eletto dal Parlamento senza che,
al contempo, siano stati fissati chiari criteri relativi alle
competenze degli eletti o al fine di evitare possibili conflitti di
interesse. E infatti nelle Authorities italiane si trovano dermatologi
alla privacy - sì privacy ci mancherebbe! -, ex-parlamentari un po'
dappertutto ed ex funzionari di uno dei soggetti del duopolio
televisivo a garantire l'imparzialità e la legalità delle
telecomunicazioni. Qui temo che gli americani in effetti griderebbero
un sarcastico awesome!
Poi certo ci sono i partnerS, le issueS, fino
ad arrivare ai competitorS, tutti rigorosamente con la esse del plurale finale - che in italiano non è prevista. Poi c'è il board, il
check-in, lo speaker, il briefing, la panel discussion e alle volte c`è anche il discussant (ma solo se l'evento è organizzato da Marta
Dassù). E poi c'è il tablet, lo smartphone e siamo pieni di fidelity
card. Non possiamo dimenticare che ormai l'omosessuale non è tale se
non è gay, e che tutti insieme i problemi di identità di genere e
orientamento sessuale vanno definiti coll`acronimo LGBT (lesbian, gay,
bisexual, transexual) e che c'è chi fa coming-out e chi invece outing.
Siccome poi in virtù della massificazione dei consumi e delle
abitudini siamo tutti diventati orgogliosamente anticonformisti è
stato inventato lo slow food contro il fast food di McDonald - questo
invece sempre rigorosamente pronunciato senza la "esse" finale - e si
passano le ore in un posto che si chiama Eataly (che la metà dei
clienti chiama "ittitali"). Naturalmente per questi signori è sempre
tutto OK, anche se son cresciuti ascoltando Ligabue e Jovanotti
piuttosto che i Beatles o i Rolling Stones. Infine, tanto è l'amore
per la lingua di Shakespeare che non vedono l'ora di chiamare per nome
il buon Snowden storpiandolo in Iduard quando invece dalla seconda
lezione di inglese delle elementari ti insegnano l`eccezione della
pronuncia di Eduard, proprio come quella di Elliot.
Insomma se, come
sostiene la Scroppo, la lingua dovesse esser lo specchio del popolo
che l'ha espressa - affermazione che da convinto individualista anche nella linguistica rifiuto ritenendo che l'idioletto batta sempre il
dialetto - il mero scimmiottare qualcosa che non si conosce potrà conferire al mondo molto poco degli usi e costumi del popolo da cui codesta
madre lingua proviene. Niente contro gli imprestiti lessicali o
contaminazioni semantiche purché tutto ciò non divenga un assegno in
bianco per finanziare la distruzione della nostra madre lingua. Anche
perché "mammoni" in inglese non esiste...
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