9.03.2013

sul @ilfoglio di oggi "Altro che lingua facile, l'inglesorum ci rende confusi (anche in politica)"

Al direttore - Nel suo pezzo "Perché l`inglese  è una lingua-fiume che allaga (e rende  fertile) il mondo, Erica Scroppo elogia sperticatamente la lingua di Shakespeare attribuendole poteri creativi che purtroppo ha solo a casa propria. Prima di addentrarmi in qualche esempio di come, per l'appunto, l`uso della lingua inglese nell'ambito del lessico politico contribuisce a creare percezioni lontane dalla realtà, vorrei sollevare un dubbio di tipo etimologico e poi uno più prettamente linguistico. 

Contrariamente a quanto affermato dalla Scroppo, l'aggettivo awesome appare per l'appunto in epoca elisabettiana e, proprio come altre espressioni vetero-anglistiche, vive con rinnovata forza dell'inglese americano in quegli "americanismi spesso orrendi". Sicuramente c'è un`iperbolico svilimento dell'aggettivazione, ma l'etimo viene dalla fine del '500. La seconda è che l`inglese sia fruibile specie a livello elementare! Ora, se è vero che i sei punti elencati dalla Scroppo sono elementi che caratterizzano l'inglese, per quanto riguarda la mia esperienza di pratica di quella lingua, essa non è per niente fruibile a livello elementare, anzi! Essendo una lingua basata su espressioni idiomatiche con sfumature intraducibili, solo chi la padroneggia appieno può esser in condizione di comunicare concetti complessi o di ordinare un tè o un "latte" da Starbucks con la certezza di ricevere il prodotto desiderato. L'inglese è una lingua difficilissima da padroneggiare perché implica uno sforzo mnemonico enorme: va saputa tutta a memoria, non si può star lì a costruire una frase sulla base di regole grammaticali. E' il suo bello! 

Ma veniamo al problema centrale, diciamo politico, del perché l`inglese non renda fertile il mondo ma contribuisce, purtroppo e suo malgrado, a generare grandi inganni. In Italia da anni, diciamo dall'avvento di questa fantomatica Seconda Repubblica, è invalsa la pratica di includere nel lessico politico termini anglofoni se non anglofili. Ebbene questi, lungi dal rappresentare o promuovere la realtà a cui fanno riferimento, abbagliano l'ignaro cittadino. Sveliamo qualche arcano. Il premier è il capo del governo di un paese dove la figura del capo di stato è puramente  cerimoniale e non partecipa minimament  alla vita politica del paese. Il premier non concerta le proprie decisioni con gli altri ministri e non si deve confrontare col voto di fiducia per vedere le proprie decisioni diventare legge. Certo si fa prima a dire premier che presidente del Consiglio dei ministri, ma cosa può essere il risparmio di un paio di parole di fronte alla ripetizione della nozione che la nostra Repubblica è, e resta, una Repubblica parlamentare, contrariamente a chi da anni ce la vende come ormai diventata "Seconda" se non addirittura "Terza"?

Dopo il premier, è arrivata la politica cosiddetta bi-partisan, sempre pronunciata "bipartizan" piuttosto che "baipartisan". A parte il fatto che in Italia, indipendentemente dal sistema elettorale non si è mai scesi sotto la decina di partiti presenti in Parlamento, ma se proprio dovessimo classificare certe decisioni prese all'unisono dai maggiori partiti italiani, si dovrebbe parlare di partito unico, specie in merito alle (contro) riforme e/o alla spesa pubblica, piuttosto che di due soggetti politici alternativi che si coalizzano in momenti cruciali nell'interesse del paese. 

Per far vedere che il governo rispetta il Parlamento in dialogo con deputati e senatori, e non lo frequenta solo ed  esclusivamente per estorcere voti di fiducia a raffica, qualche anno fa è stato inventato il Question time. A differenza delle sedute della Camera dei Comuni di Londra però, dove il premier, quello vero, viene messo sulla graticola dai parlamentari, alla Camera dei deputati (in Senato non esiste) il tutto si risolve con una fiacca lettura di domande e risposte su questioni spesso marginali senza che ne segua il benché minimo dibattito  politico. 

Sempre restando in Parlamento, quando si preparano interrogazioni o interpellanze piuttosto che ordini del giorno  o mozioni, i documenti vanno mandati al drafting. Allo stesso tempo, il o la presidente della seduta inaugura o conclude i lavori, o interviene su questioni regolamentari, leggendo uno speech. In questo florilegio di inglesorum le autorità garanti create negli ultimi 15-20 anni son sempre citate in quanto Authorities. Si tratta di entità create sulla base, almeno così fu pensato, del modello anglosassone di controllo indipendente di questioni di ordine generale e interesse  pubblico. A parte che l'equivalente negli Usa spesso si chiama Commission, in Italia tanto è l'amore per l'indipendenza del controllore che un numero fisso di "commissari" delle Authorities viene eletto dal Parlamento senza che, al contempo, siano stati fissati chiari criteri relativi alle competenze degli eletti o al fine di evitare possibili conflitti di interesse. E infatti nelle Authorities italiane si trovano dermatologi alla  privacy - sì privacy ci mancherebbe! -, ex-parlamentari un po' dappertutto ed ex funzionari di uno dei soggetti del duopolio televisivo a garantire l'imparzialità e la legalità delle telecomunicazioni. Qui temo che  gli americani in effetti griderebbero un sarcastico awesome

Poi certo ci sono i partnerS,  le issueS, fino ad arrivare ai competitorS, tutti rigorosamente con la esse del plurale finale - che in italiano non è prevista. Poi c'è il board, il check-in, lo speaker, il briefing, la panel discussion e alle volte c`è anche il discussant (ma solo se l'evento è organizzato da Marta Dassù). E poi c'è il  tablet, lo smartphone e siamo pieni di fidelity card. Non possiamo dimenticare che ormai l'omosessuale non è tale se non è gay,  e che tutti insieme i problemi di identità di genere e orientamento sessuale vanno definiti coll`acronimo LGBT (lesbian, gay, bisexual,  transexual) e che c'è chi fa coming-out  e chi invece outing.

Siccome poi in virtù della massificazione dei consumi e delle abitudini siamo tutti diventati orgogliosamente anticonformisti è stato inventato lo slow food contro il fast food di McDonald - questo invece sempre rigorosamente  pronunciato senza la "esse" finale  - e si passano le ore in un posto che si  chiama Eataly (che la metà dei clienti chiama  "ittitali"). Naturalmente per questi signori è sempre tutto OK, anche se son cresciuti ascoltando Ligabue e Jovanotti piuttosto che i Beatles o i Rolling Stones. Infine, tanto è l'amore per la lingua di Shakespeare che non vedono l'ora di chiamare per nome il buon Snowden storpiandolo in Iduard quando invece dalla seconda lezione di inglese delle elementari ti insegnano l`eccezione della pronuncia di Eduard, proprio come quella di Elliot. 

Insomma se, come sostiene la Scroppo, la lingua dovesse esser lo specchio del popolo che l'ha espressa - affermazione che da convinto individualista anche nella linguistica rifiuto ritenendo che l'idioletto batta sempre il dialetto - il mero scimmiottare qualcosa che non si conosce potrà conferire al mondo molto poco degli usi e  costumi del popolo da cui codesta madre lingua proviene. Niente contro gli imprestiti lessicali o contaminazioni semantiche purché tutto ciò non divenga un assegno in bianco per finanziare la distruzione della nostra madre lingua. Anche perché "mammoni" in  inglese non esiste... 

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