1.23.2013

Afghanistan, Iraq e Mali, addio alle armi della politica?


Coll'eccezione delle iniziative per l'abolizione della pena di morte e contro le mutilazioni genitali femminili, da una quindicina di anni il fiore all'occhiello della politica estera italiana è rappresentato dalla partecipazione alle missioni militari internazionali. La politica italiana, con qualche rara e sincera eccezione, e le solite opportunistiche voci, si schiera sempre compatta a sostegno della presenza dei "nostri ragazzi" dovunque mondo. Altrettanta attenzione non viene però dedicata alle analisi su ciò che tale fiore all'occhiello concorre a cancellare: la ricerca di soluzioni, o scelte, politiche alternative che possano fornire risposte strutturali alle presunte emergenze che vanno affrontate necessariamente e urgentemente cogli interventi militari.

Almeno tre sono i "teatri" emblema di questo modo di procedere: Afghanistan, Iraq e Mali. Nei tre contesti la politica avrebbe potuto, se non evitare un intervento militare, almeno concorrere a creare le condizioni generali per cui, in seno alle organizzazioni internazionali deputate alle decisioni relative al mantenimento della pace e della sicurezza mondiali, si sarebbero potute gettare le basi per favorire contesti da ricostruire e consegnare allo Stato di Diritto.

Immaginiamo un Afghanistan dove, dopo l'occupazione sovietica, piuttosto che abbandonare i contatti e il sostegno ai mujaidin, i paesi occidentali, USA in primis, si impegnano in prima persona a convertire la produzione dell'oppio (coltura non indigena importata solo per l'autofinanziamento della resistenza all'armata rossa) in una monocoltura legale per farne morfina e codeina per quell'80% dell'umanità che non conosce analgesici (dati dell'OMS). Eppure ile truppe che dopo la liberazione dallo straniero investono per ricostruire e favorire lo sviluppo dovrebbe esser uno scenario noto agli europei, no?

Immaginiamo un Iraq dove, dopo la benedizione del consiglio di sicurezza del gennaio 1991, le forze internazionali arrivano a Bagdad e catturano Saddam Hussein e i suoi per giudicarli con un tribunale ad hoc; oppure immaginiamo che nel gennaio di 12 anni dopo non si boicotti l'esilio dello stesso rais iracheno sostenendo, col suo avallo, alcuni stati arabi.

Immaginiamo infine un Mali dove, all'indomani della decolonizzazione, piuttosto che imporre ragionamenti ottocenteschi incentrati sulla sovranità nazionale assoluta, si concede ai Tuareg, in accordo col Niger, l'Algeria e la Mauritania (tutte zone di presenza francese) una zona dove poter vivere praticando le proprie tradizioni nel rispetto dei diritti umani storicamente acquisiti dalla comunità internazionale. Oppure immaginiamo un'Africa dove, come per esempio in Libia, Tunisia, Egitto, per anni gli occidentali, non praticano la ragion di stato, sacrificando i propri obblighi costituzionali e negando i principi della Carta dell'Onu, ma firmano contratti tenendo presente i diritti dei cittadini dei paesi da cui estraggono petrolio, gas e altre materie prime. Immaginiamo infine un Mali in cui, subito dopo un colpo di stato militare, piuttosto che concordare colle richieste del generale che l'ha provocato si impone la necessità di un ritorno alla legalità costituzionale investendo nella ricostruzione o rafforzamento delle istituzioni civili secondo i manuali onusiani dello state building e si coordina a New York o a Bruxelles un'iniziativa che, nel rispetto delle norme della Corte Penale internazionale, capisce chi siano in veri nemici della "stabilità" e chi gli alleati politici da coinvolgere senza, ma anche con, le armi.

Immaginiamo infine un paese dove chi dice queste cose, tipo Marco Pannella e Emma Bonino, son silenziati quotidianamente anche quando, unici, parlano di queste cose, un paese invece dove per affermare la necessità della depenalizzazione della diffamazione a mezzo stampo in virtù della libertà di parola si mobilita la maggior parte delle penne pensanti del nostro paese. Ecco immaginato tutto questo dal punto di vista politico generale. E' forse un caso quindi che nel prossimo Parlamento non ci saranno i Radicali, e quindi tutto questo continuerà a non esser affrontato?

Buona campagna elettorale a tutti.

No comments: