5.01.2012

Giusto, amnistia e non solo

pubblicato su Europa il 26 aprile

Nel loro pezzo del 25 aprile, “Amnistia, ma non solo”, Francesco Ferrante e Roberto Della Seta hanno ricordato nel dettaglio i numeri dello stato di patente illegalità costituzionale delle carceri italiane, un’illegalità denunciata pressoché quotidianamente dalla Corte europea dei diritti umani alla quale si aggiunge quella relativa alla irragionevole lunghezza dei processi e, recentemente, anche il mancato adeguamento normativo alle sentenze della Corte stessa.


Le carceri fuorilegge, dove si violano i diritti umani delle persone ristrette – sempre tenendo a mente che il 40% dei detenuti non ha una sentenza definitiva – sono quindi il prodotto del mancato rispetto degli obblighi internazionali che la repubblica italiana ha di fronte ai trattati internazionali ratificati negli ultimi 50 anni.

Il governo Monti era partito bene mostrando interesse al tema, ma tutte le misure adottate e proposte hanno avuto, e avranno, secondo dati del ministero della giustizia resi noti su richiesta di Rita Bernardini alla camera, un impatto intorno allo 0,5%, altro che “salva carceri”.

L’amnistia è quindi sicuramente la prima necessaria e urgente riforma strutturale che potrebbe ridurre, oltre che il sovraffollamento carcerario, i procedimenti penali di quasi il 90% liberando risorse umane e finanziarie per avviare un minimo rientro nella legalità violata. Ricordiamoci però che un’amnistia, che si configura sempre più come di classe, già oggi esiste: quella delle oltre 120mila prescrizioni che ogni anno cancellano il lavoro dei pm consegnando alla pericolosa libertà possibili delinquenti. Chissà perché poi, salvo interessarsi esclusivamente delle prescrizioni che interessano Berlusconi, non ci si interroga mai sulla mancata crescita del tasso di criminalità a seguito di tutte queste persone che sfuggono alla giustizia.

Altri dati confermano in toto la crisi in atto: infatti, su circa tre milioni di delitti denunciati, quasi due terzi riguardano i furti, gli autori restano ignoti nel 97,4% dei casi. Per gli altri reati non va meglio: omicidi, rapine, estorsioni e sequestri di persona a scopo di estorsione restano impuniti per l’80%. Ferrante e Della Seta affrontano inoltre la relazione tra le leggi Fini-Giovanardi, tra l’altro mai sconfessata dal primo, con l’inasprimento del 2009 della Bossi- Fini, anch’essa mai sconfessata, colla ex-Cirielli che ha drammatiche conseguenze sui recidivi, ma non chiudono il cerchio del vero combinato disposto esplosivo che è quello che intreccia quelle leggi criminogene coll’obbligatorietà dell’azione penale – altro nodo da sciogliere della trama della pessima qualità dell’amministrazione della giustizia italiana.

Inoltre, possibile che l’indipendenza della magistratura in Italia debba poggiare, non solo sulla mancanza di una responsabilità chiara dei magistrati sulla quale in queste ore stiamo discutendo in parlamento, ma anche sulla mancanza della separazione delle carriere? È possibile, giusto per restare all’interno del pianeta carcere, che un magistrato di sorveglianza si possa trovare a dover decidere di benefici per qualcuno che ha fatto arrestare qualche anno prima? Un sistema che può consentire, anzi prevedere, ciò difficilmente può esser considerato imparziale. infine, al di là dell’imparzialità e qualità professionale dei magistrati, che qui non ci interessa affrontare, devono esser sicuramente affrontati prima delle prossime elezioni tempi e modi del loro passaggio alla politica ponendo paletti chiari e certi al fine di evitare conflitti di interessi se non poteri ricattatori o intimidatori.

Non solo quindi amnistia, ma è del tutto evidente che essa resta la prima riforma strutturale necessaria per rispondere a quanto affermato dal presidente della repubblica nel suo magistrale intervento al convegno organizzato dal Partito Radicale al senato nel luglio 2011. La prepotente urgenza lamentata da Napolitano allora interessa non solo, o comunque non tanto, le carceri, ma l’amministrazione della giustizia in Italia.

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