4.12.2012

Intervento sulla Birmania

Discussione della mozione n. 545 (testo 2) sulle riforme democratiche in Birmania (Procedimento abbreviato, ai sensi dell'articolo 157, comma 3, del Regolamento) (ore 10,40)


PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Perduca. Ne ha facoltà.
PERDUCA (PD). Signor Presidente, nel 2002, nell'ambito di una riunione organizzata dal Partito Radicale presso il Parlamento europeo, attraverso un collegamento telefonico, Aung San Suu Kyi chiedeva ai presenti - erano naturalmente presenti la nostra presidente Emma Bonino e Marco Pannella, ma vi erano anche invitati provenienti da tutto il Sud Est asiatico - di usare le loro libertà per far avanzare le libertà di chi in quel momento - dieci anni fa, ma purtroppo per il Sud Est asiatico possiamo andare indietro almeno di mezzo secolo - non poteva avere neanche la possibilità di pronunciarle in pubblico.
Oggi, forse, dovremo riflettere anche su come noi abbiamo usato le nostre libertà per far avanzare le libertà altrui. Non sempre credo ci siamo riusciti.
Concordo totalmente con quanto ha detto poco fa il senatore Di Giovan Paolo relativamente all'uso intelligente delle sanzioni. Egli si è riferito non solo alle sanzioni economiche e politiche, ma anche a quelle sanzioni che mettono pressione su una serie di regimi i quali non soltanto opprimono i propri popoli ma, con il loro modo di governare, specie se siti in zone strategiche - la Birmania lo è, confinando con il Bangladesh, l'India, la Cina, il Laos, la Birmania e il Golfo del Bengala ed anche la Siria, come diceva giustamente Di Giovan Paolo, proprio perché piazzata nel bel mezzo del Medio Oriente - finiscono in qualche modo per paralizzare altre iniziative di promozione dei diritti umani, libertà e democrazia in realtà ben più ampie.
Come abbiamo usato noi le nostre libertà, per esempio nei confronti della Birmania? Ricordo che a metà degli anni Novanta, gli eurodeputati radicali, come anche stamane è stato ricordato, riuscirono a far condizionare quanto più possibile l'aiuto, bilaterale o multilaterale, nei confronti dei Paesi che non avevano un regime democratico sia al progresso di riforme per il rispetto dei diritti umani che a riforme più strutturali e istituzionali per la creazione di strutture e infrastrutture democratiche.
A metà degli anni Novanta, per l'appunto, gli eurodeputati radicali Olivier Dupuis e Marco Pannella - Emma Bonino all'epoca era da poco stata nominata Commissario europeo - riuscirono, con una loro iniziativa, a bloccare gli aiuti, pensate un po', verso due Paesi il cui contesto, da allora, è rimasto sotto strettissima osservazione. Questi due Paesi erano la Birmania e la Siria. Si chiedeva il blocco, il congelamento degli aiuti alla Birmania non soltanto per la vicenda di San Suu Kyi, ma anche per il modo in cui i vari gruppi etnici e le decine di popoli indigeni del Paese non solo continuavano ad essere esclusi dal processo diciamo sociale - perché di civile e democratico sicuramente non si poteva già parlare - ma venivano anche perseguitati in virtù della loro appartenenza al proprio popolo.
La Birmania, inoltre, negli anni Settanta, gli anni della guerra nel Vietnam, era nota anche per essere divenuta, nel giro di pochi mesi, la maggiore produttrice di oppio per eroina del mondo. Proprio a metà degli anni Novanta, grazie ad una sciagurata decisione del governo Prodi, fu mandato a dirigere l'Agenzia di Vienna per le droghe un senatore eletto nella mia Regione di nome Pino Arlacchi che oggi - ahinoi - è responsabile per il Parlamento europeo dei rapporti con l'Afghanistan. Pino Arlacchi decise di tessere una serie di rapporti politici strettissimi con la Giunta militare birmana e vendette al pubblico, pagante perché l'Italia all'epoca era uno dei maggiori finanziatori di quell'Agenzia mentre oggi, per una serie di motivi che non affronterò, non lo è più come purtroppo non lo è più di molte altre Agenzie internazionali, la nozione che era stata cancellata la produzione di semi di papavero in Birmania, salvo poi scoprire, dopo due anni, che si era tutta spostata "poco più in là", in parte a sud verso il Laos e in parte, e oggi nella stragrande maggioranza dei casi, in Afghanistan. Ebbene, abbiamo usato le nostre libertà non soltanto per mandare Arlacchi, che non aveva né titoli né competenze e sicuramente pessime idee, a Vienna, ma non abbiamo fatto nulla per bloccare, a livello apicale delle Nazioni Unite, questo programma di cancellazione dell'oppio in Birmania.
Oggi che festeggiamo l'elezione di San Suu Kyi e di altri 43 membri del suo partito al Parlamento birmano forse potrebbe essere opportuno invitare in Italia San Suu Kyi e una delegazione della Lega Nazionale per la Democrazia birmana per poterla finalmente conoscere di persona dato che l'abbiamo sentita per telefono in una occasione e abbiamo anche letto alcuni suoi appelli disperati anche se, come diceva nel presentare la mozione la senatrice Soliani, sempre concentrati sulla ricerca della possibilità di raggiungere un obiettivo, cioè quello di far trionfare la verità. La verità, 23 anni fa, era che in Birmania si erano tenute le elezioni e che San Suu Kyi le aveva vinte democraticamente con il suo partito, una verità che lei ha perseguito, come molti di noi del Partito Radicale continuiamo a fare, attraverso la non violenza e una verità che è condivisa anche da molti colleghi senatori e deputati che continuano ad essere iscritti, e per questi li ringraziamo, al Partito Radicale non violento transnazionale e transpartito.
Dunque il problema dell'allora massima produzione di oppio in Birmania che ci fu detto essere controllato non soltanto con l'aiuto delle Nazioni Unite ma anche con le politiche stringenti della Giunta militare, potrebbe tornare ad essere tale.
Dobbiamo quindi essere pronti ad affrontarlo non come abbiamo fatto negli ultimi cinquant'anni, cioè non soltanto fallendo ma facendo aumentare e la produzione, e la distribuzione e vendita dell'oppio e quindi dell'eroina nel mondo, ma con nuove tecniche, che possano finalmente prendere in considerazione, di concerto al progresso delle riforme democratiche in quel Paese, la possibilità di trasformare in qualcosa che possa essere chiamato "industrializzazione dell'oppio" per fini medico scientifici: l'80 per cento del mondo - e stiamo parlando di più di 5,5 miliardi di persone - non sa cosa sia un analgesico; l'80 per cento degli analgesici del mondo viene consumato dal 20 per cento del mondo. Rendetevi conto di quanto mercato legale, anche gratuito perché fortunatamente non ci sono brevetti sulla produzione dell'oppio e quindi anche dell'eroina per fini terapeutici, potrebbe essere a disposizione di un Paese che sicuramente è ricco di materie prime (e per questo Cina e India mai hanno voluto imporre le loro sanzioni a quel Paese, che si tratti di legname piuttosto che di rubini, e sicuramente perché era un Paese attraverso il quale molti traffici da Cina e India passavano).
Occorre essere pronti a trovare una soluzione di tipo diverso, che non sia il proibizionismo manu militari che oggi ha caratterizzato le politiche "antidroga" in quel Paese.
L'altra questione che credo occorra prendere in considerazione, e cui ha già accennato la senatrice Soliani poc'anzi, è quella delle etnie. Non soltanto ci sono i birmani in Birmania, ma anche laotiani, vietnamiti, indiani e cinesi, e ci sono anche dei sottogruppi di veri e propri popoli indigeni che, confrontati con una giunta militare, hanno preso le armi per decenni utilizzando anche bambini (ci sono stati e sono noti anche film molto toccanti relativamente alla sorte dei piccoli militari Karen, che nella giungla si opponevano alla giunta militare).
Occorre tenere in considerazione, anche perché alle Nazioni Unite negli ultimi 25 anni si sono fatti notevoli passi avanti in questa direzione, i diritti dei popoli indigeni e quindi, secondo me, potrebbe essere apportata una piccola modifica alla mozione, includendo le etnie e anche i popoli indigeni nella seconda parte, in cui si chiedono impegni al nostro Governo che, devo dire, proprio perché in Italia esistono almeno una dozzina di gruppi che hanno questo status speciale riconosciuto, sui popoli indigeni ha sempre mantenuto una posizione di grande avanguardia all'interno delle Nazioni Unite.
Dobbiamo anche porci il problema - e con questo concludo, signor Presidente - di una transizione verso il nuovo contesto. In Europa ci sono state giunte militari, nel sud America ci sono state giunte militari e anche altrove, per certi aspetti, ci sono stati regimi antidemocratici che proprio motu sono diventati qualcosa di diverso - penso in particolare al Sudafrica - e hanno lanciato un processo di riconciliazione basato sulla verità, la verità delle responsabilità. Ebbene, noi dall'Europa credo dovremmo assumerci le responsabilità del modo con cui ci siamo posti nei confronti di quel Paese, ma dubito si possa arrivare ad una piena riconciliazione in Birmania se non ci sarà anche all'interno, col passare del tempo naturalmente, visto e considerato che si è appena avuta questa possibilità di un'opposizione democratica eletta in quel Parlamento, ad un processo di ricerca della verità. (Applausi dal Gruppo PD e dei senatori Pardi e Amato).

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