4.20.2011

Dibattito sulla giornata della memoria armena

Sulla Giornata del ricordo del genocidio armeno


ASCIUTTI (PdL). Domando di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà


ASCIUTTI (PdL). Signor Presidente, onorevoli colleghi, il 24 aprile ricorre l'anniversario dell'olocausto del popolo armeno, perché fu in questo giorno del lontano 1915 che le autorità ottomane decisero l'arresto dell'intera intellighenzia armena (giornalisti, intellettuali, scrittori, persino parlamentari), per poi proseguire con deportazioni di massa della popolazione ed estenuanti marce della morte nel deserto, senza né cibo né acqua, mentre l'esercito turco massacrava il resto della popolazione civile armena presente in tutto il territorio.


Ed è per questi motivi che il 24 aprile di ogni anno, in ogni città, paese o villaggio, gli armeni celebrano il Giorno della memoria con una messa, per accostare il ricordo di questi massacri al sentimento del perdono. Se la memoria è, dunque, anzitutto conoscenza, cerchiamo di fare un piccolo sforzo di memoria storica.
La storia come memoria dell'umanità, come processo di eventi che rischiano l'oblio, ma che la storia stessa combatte contro il tempo, contrapponendo alla furia degli anni e del silenzio il ricordo e la memoria delle vicende in transito o di quelle già trascorse: è questo il filo conduttore e la grande lezione che dobbiamo ricavare dagli scenari feroci e sanguinari di genocidi umani come quelli compiuti ai danni di popolazioni innocenti.
«Il grande male»: è con queste parole che gli armeni ricordano la data del loro olocausto, una delle pagine più aberranti e, al tempo stesso, più dimenticate della storia. Che cosa accadde tra il 1915 ed il 1916? Per quale ragione in poco più di 12 mesi un popolo, che da più di 2000 anni abitava quella terra, venne annientato fino a rischiare di non lasciare alcuna traccia.
Com'è noto, non fu una strage determinata da eventi naturali o da casualità storiche, bensì l'epilogo di uno sterminio, di un massacro pianificato e posto in essere da un preciso gruppo di potere per determinate ragioni storiche, politiche ed ideologiche e, soprattutto, con l'intento ben preciso di eliminare la presenza fisica di una Nazione - il popolo armeno - e la rimozione della sua cultura. (Brusìo). Visto che stiamo parlando di un genocidio, inviterei i miei colleghi a dedicare un'attenzione di due minuti, non chiedo di più.
Gli armeni, come le altre minoranze presenti in territorio turco, vennero chiamati alle armi a causa della guerra in atto, ma subito dopo un decreto del gennaio 1915 ne aveva stabilito il loro disarmo. I militari armeni vennero costituiti in battaglioni del genio: vennero isolati a gruppi di 100, deportati e massacrati. Di 350.000 soldati armeni, nessuno si salverà.


Il Trattato di Sèvres del 1920 che sancì l'esistenza di uno Stato armeno indipendente e di un Kurdistan autonomo sembrò riaccendere una nuova speranza per il futuro; così non fu. Mustafà Kemal riprese in mano il vessillo del nazionalismo turco e continuò nell'opera di eliminazione della popolazione armena, iniziata dai precedenti regimi politici.
In seguito all'incendio di Smirne, che può essere considerata l'ultima tappa di questo processo di liquidazione, la comunità internazionale si rese scelleratamente complice di questo genocìdio: la Conferenza di Losanna del 1923 annullò gli accordi firmati a Sèvres, le nozioni di "armeno" e di "Armenia" furono eliminate; fu così avallata la pulizia etnica magistralmente operata dai turchi.


Ecco perché nel ricordare oggi l'olocausto del popolo armeno forse capiamo meglio cosa significa fare memoria di un evento come questo. Di fronte a quello che fu il primo genocidio del Novecento, un crimine negato e dimenticato, ricordarlo costituisce innanzitutto una necessità morale: non come un fatto trascorso in un passato ormai lontano, ma come un evento che ci interpella in modo forte e ci chiama a una memoria viva e condivisa. Memoria viva, perché nutrita dall'ansia di conoscere quello che successe e perché porta con sé un desiderio di scoperta non solo della tragedia di questo popolo ma della sua ricchissima storia e cultura. Memoria condivisa, perché consente a ciascuno di noi di sentirsi chiamato a conoscere e a far sapere, al di là delle appartenenze e delle ideologie, il dramma che si è consumato in quei terribili anni di guerra nei confronti del popolo armeno.
In un contesto come quello attuale, nuovamente dilaniato da conflitti bellici internazionali, è una grande testimonianza d'amore, una vera e propria lezione di storia farsi testimoni della tragedia di un popolo, poiché significa decidere di raccogliere e dar voce al silenzio delle vittime dei genocidi di ieri e di oggi, per impedire che altri genocidi possano proliferare domani. È volgere lo sguardo non altrove, ma dentro la storia, per farsi portatori di una coscienza civile di condanna senza appello di tragedie umane che non dovranno mai più ripetersi. Perché, signor Presidente, un genocidio senza nessuna condanna include e racchiude sempre in sé un grande pericolo: il rischio cioè di diventare una forte suggestione per nuove atrocità future. (Applausi).
PERDUCA (PD). Domando di parlare.


PRESIDENTE. Ne ha facoltà.


PERDUCA (PD). Signor Presidente, abbiamo ascoltato qualcosa che emerge un giorno all'anno, tutti gli anni, da parte di chi, non necessariamente il senatore Asciutti che lo ha articolato, quotidianamente non si interessa di genocidi, però ci viene a dire che il silenzio sul genocidio più ricordato da oltre cent'anni equivale ad avere silenzi per i futuri genocidi. Questa è un'opera teatrale, una ridicolizzazione di tutti coloro i quali si battono contro gli stermini ed i crimini contro l'umanità per assicurare alla giustizia chi ancora oggi ammazza i propri cittadini.


Tutti gli anni viene chiesto di ricordare qualcosa all'interno delle Aule legislative, in Italia e nel resto del mondo, nonché al Parlamento europeo, senza mai però interpellare una delle due parti coinvolte, cioè la Turchia, e magari avviare un processo di ricostruzione storica interpellando chi quotidianamente studia questi avvenimenti. Quindi, abbiamo una dichiarazione politicamente ancorata ad una lettura di fatti avvenuti quasi cento anni fa che mai ricorda quanto accaduto negli ultimi 18-20, mesi e cioè che finalmente Turchia e Armenia hanno avviato un trattato bilaterale che affronta la questione nei termini in cui dovrebbe essere affrontata, cioè storica, da una parte, e politica, dall'altra, e che al proprio interno contiene un articolo relativamente a tutto ciò che è stato parzialmente ricordato dal senatore Asciutti. Il senatore Asciutti ha dimenticato di ricordare come proprio i soggetti citati (addirittura si è sentito parlare di Kemal Atatürk come uno dei responsabili del definitivo sterminio del popolo armeno) hanno invece deciso, di loro sponte, contro tutti gli atteggiamenti rigidi che la comunità europea ha sempre manifestato nei confronti della Turchia, di aprire un dialogo con l'Armenia.
Ammesso e sicuramente non concesso che tutto quello che ha detto il senatore Asciutti corrisponda alla verità storica dei fatti, quando ci si erge a paladini della memoria di un genocidio occorre sempre ricordare tutta la storia: dal giorno in cui quello che si sta ricordando ha avuto inizio fino a quanto sta avvenendo nel giorno in cui si parla.
Se l'intervento del senatore Asciutti non fosse stato minimamente contestualizzato si sarebbe potuto quasi pensare che ancora oggi gli armeni e i curdi siano sterminati dal nazionalismo ottomano; così ho sentito rammentare. (Commenti del senatore Asciutti). Così si potrebbe tranquillamente trarre la conclusione dall'intervento del senatore Asciutti.
Oggi, fortunatamente, tutto ciò non è; esiste una democrazia laica in Turchia, esiste una democrazia molto fragile in Armenia, esiste - ahimè - un atteggiamento rigido, come quello cui abbiamo assistito poco fa in quest'Aula, che appartiene ai Governi dei 27 Stati membri dell'Unione europea (forse, quello italiano meno rigido degli altri) che insiste nel contrapporre queste due realtà, che invece dovrebbero essere incluse pienamente nell'Unione europea. (Applausi dal Gruppo PD).



PRESIDENTE. Colleghi, ho fatto una forzatura, intanto perché il rappresentante del Governo non è ancora presente, ma anche per la rilevanza dell'argomento trattato. Naturalmente, ciò non significa modificare la regola, che credo invece debba essere ferma, secondo cui importanti momenti di ricordo, come quello che il senatore Asciutti ha rammentato, devono essere comunicati e valutati nella Conferenza dei Capigruppo in modo che possano coinvolgere l'insieme dei Gruppi.
L'ho fatto per un motivo che esula da quello contingente che, sinceramente, ho considerato secondario. Secondo me, come io personalmente avevo chiesto alla Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani, sarebbe giusto, dato che la Camera dei deputati l'ha fatto alcuni anni fa, che il Senato della Repubblica prevedesse un momento in cui riflettere sulla vicenda degli armeni, non per aprire un dibattito, come diceva ora il senatore Perduca. Non si tratta di aprire discussioni sulla Turchia o altro. Sono personalmente convinto che la Turchia debba entrare a far parte dell'Unione europea, non meno di quanto credo ne sia convinto il senatore Perduca, ma sono altrettanto convinto che le stragi sono stragi. Si chiamano stragi chiunque le abbia determinate ed effettuate (Applausi dal Gruppo PD e del senatore Bornacin): ricordarle non deve essere una vendetta per il futuro, ma un momento con cui tutti facciamo i conti perché non si ripetano e perché non ci siano più violazioni dei diritti umani.
Tale riconoscimento ha fatto sì che certi Paesi (penso, ad esempio, alla Germania che riconoscendo cosa è stato l'Olocausto da questo punto di vista è stata esemplare) siano diventati protagonisti coerenti della vita democratica non solo del loro Paese, ma dell'Europa e del mondo.
Siccome quest'anno il giorno 24 coincide con la festività della Pasqua, non c'era altro modo per ricordarlo. Tuttavia, mi auguro che, per il futuro, il Senato decida di fare una riflessione anche su questo tema, così come lo abbiamo fatto su altre importanti questioni. Non ci deve essere il silenzio neppure su questo.






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