3.03.2011

Sulla Siria

(2551) Ratifica ed esecuzione dell'Accordo di cooperazione culturale tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo della Repubblica Araba Siriana fatto a Roma l'11 settembre 2008 (Approvato dalla Camera dei deputati) (Relazione orale) (ore 9,50)

PERDUCA (PD). Signora Presidente, intervengo principalmente per illustrare l'ordine del giorno G1, da me presentato insieme alla senatrice Poretti.

È stato ricordato che questo accordo va ad aggiornare quanto stipulato 40 anni fa, addirittura due anni prima della guerra dello Yom Kippur. Questo è un mondo completamente diverso ma, purtroppo, non è necessariamente diverso il regime che governa la Siria che, ricordiamolo, è una Repubblica che si definisce araba e già in questa sua aggettivazione, in qualche modo, mette in evidenza alcuni problemi che poi sono stati articolati con il passare del tempo.

Tali problemi si stratificano con il passare degli anni, ma partono già dagli anni Sessanta, quando è stata imposta una sorta di legge marziale o, comunque, una serie di leggi emergenziali che pongono sotto tutela qualsiasi tipo di libertà.

Ora, essendo il nostro un trattato che vuole ampliare e rafforzare la collaborazione culturale, credo occorra porre una serie di paletti e comunque sicuramente evidenziare alcune caratteristiche di questo regime. È sicuramente fondamentale aiutare Paesi che fanno del loro meglio (e va detto che la Siria, malgrado la popolazione non goda necessariamente, né di libertà, né di pieni diritti economici e sociali, sicuramente non è tra i Paesi più poveri al mondo) per preservare un patrimonio culturale che appartiene a tutta l'umanità poiché conserva parti importanti di culture non soltanto mediorientali ma anche fondative della nostra comunità euromediterranea in senso ampio.

L'Accordo, che devo dire in esordio è fatto molto meglio di tanti altri che abbiamo ratificato in passato, non per ultimo perché all'articolo 16 prevede le modalità per denunciare lo stesso, cosa che invece, per esempio, non è avvenuta con l'Accordo bilaterale Italia-Libia, parla di cooperazione culturale e, oltre al settore archeologico e artistico, auspica il rafforzamento della collaborazione tra le università e tra gli archivi nazionali dei due Paesi e addirittura arriva ad auspicare un rafforzamento della collaborazione in materia di audiovisivi, quindi documentari e film e lo scambio culturale tra le televisioni nazionali.

Ora, la Siria è un Paese che, dicevamo, ha una legge emergenziale del 1963 che va a toccare con grande violenza e sistematicità la libertà di espressione, tant'è vero che sono stati incarcerati giornalisti che hanno azzardato una minima critica nei confronti del Governo, non soltanto attraverso i media tradizionali ma anche attraverso i blog. Hanno subito grandi censure giornalisti che quindi non necessariamente si trovavano sul territorio nazionale e che hanno avuto da ridire non soltanto sugli atteggiamenti politici siriani a livello nazionale ma anche sul coinvolgimento della Siria negli affari regionali.

Due sono i Paesi che vengono a mente quando si parla della presenza siriana in quella parte del mondo: da una parte c'è sicuramente l'occupazione, anche militare, della Siria nei confronti del Libano, cessata qualche anno fa e non perché sia stato liberamente scelto da Damasco di ritirarsi ma perché, a seguito dell'omicidio del Premier libanese e degli interventi e delle insistenze della comunità internazionale (Francia, Regno Unito e Stati Uniti in primis) e poi dell'apertura delle indagini per la ricerca dei responsabili dell'omicidio di Rafik Hariri, la Siria ha deciso di diminuire (perché credo non si possa oggi certificare la totale assenza di militari siriani dal Libano) la propria presenza nel Paese vicino.

L'altra grande alleanza storica che credo preoccupi tutti coloro i quali hanno a cuore, oltre la stabilità anche la pace e la libertà del Medioriente, è quella con il regime di Teheran, che da sempre utilizza la Siria per allungare i propri tentacoli verso il Mediterraneo e che sta anche "invadendo" dal punto di vista economico, oltre quindi che culturale, un Paese a maggioranza sunnita ma governato da una minoranza sciita. Amnesty International ci ricorda, per esempio, che il modo con cui viene amministrata la giustizia è totalmente al di fuori dei canoni internazionali, perché viene praticata la tortura per una serie di crimini tra i quali, ripeto, c'è anche la libertà di espressione.

Ci sono grossissimi problemi per quanto riguarda le minoranze, per esempio, quella curda, ma altrettanti problemi riguardano la minoranza palestinese che è rifugiata nel Paese della Siria; le donne stesse non hanno gli stessi diritti che vengono riconosciuti agli uomini.

I profughi che fuggono dall'Iraq o dall'Iran, anche se si tratta di arabi (per esempio, gli ahwazi che fuggono dalle persecuzioni iraniani e che il Senato della Repubblica italiana ha potuto audire nel maggio scorso presso la Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani), godono di un trattamento che va ben oltre quello che anche noi, alle volte, riserviamo ai cosiddetti immigrati clandestini e sono a forte rischio di deportazioni o respingimento.

Sono poi previste, ahinoi (e questo credo che debba essere sempre ricordato quando si parla di rapporti tra l'Italia, Paese noto al mondo per aver promosso grazie anche al Partito Radicale e all'associazione «Nessuno Tocchi Caino» una moratoria delle esecuzioni capitali, ed altri Paesi), condanne a morte per una serie varia di crimini (in proposito faccio presente che a pagina 3 c'è un refuso poiché la Siria applica la pena non di «mille» ma di «morte»), anche per il traffico di droga per il cui possesso è addirittura previsto l'ergastolo.
L'età minima per l'imposizione della pena di morte è fissata in 18 anni; l'età massima non è definita dalla legge ma non si sono mai verificati casi di condannati a morte oltre i 60 anni.
In due occasioni, nel dicembre 2008 e nel dicembre 2010, però la Siria, che appunto continua ad applicare la pena di morte, ha votato contro la proposta di risoluzione italiana a favore della sospensione delle esecuzioni capitali in tutto il mondo.

Stante la premessa in cui è scritto che «considerata la necessità di perseguire relazioni diplomatiche e commerciali anche con regimi che si discostano dalla pratica della democrazia e sui quali la comunità internazionale ha assunto deliberazioni formali di netta denuncia della sistematica violazione dei diritti fondamentali» (in proposito, ricordo che il Parlamento europeo ha bloccato, e continua a mantenere bloccato, l'accordo quadro con la Siria proprio per problemi inerenti i diritti umani), il Senato ritiene che vadano subordinate «tali relazioni agli obblighi internazionali derivanti all'Italia dall'aver ratificato tutti gli strumenti internazionali sui diritti umani». Un principio questo che credo debba rimanere guida della nostra politica internazionale.

Si chiede quindi al Governo di assumere un impegno «a sostenere ogni accenno di annunciato impegno in riforme politiche ed economiche, e a favorire l'affermarsi di tale posizione anche a livello europeo, al fine di migliorare la propria credibilità verso l'integrazione regionale e internazionale, con particolare attenzione anche alle voci di chi, istituzionalmente, non partecipa al processo decisionale preclusogli da un regime non democratico; a promuovere e favorire ogni azione, a livello europeo ed internazionale, tesa ad assicurare che la Siria disponga una moratoria delle esecuzioni capitali e avvii una profonda revisione del codice penale, rendendo più accessibile, oltre che da entità ufficiali delle Nazioni Unite anche da parte di soggetti indipendenti, il sistema di amministrazione della giustizia; a monitorare i ricorrenti episodi di discriminazioni subite dalle minoranze etniche e religiose sia autoctone sia che risultino presenti, per ragioni diverse, in Siria, e conseguentemente ad attivarsi al fine di favorire il rispetto delle prerogative tradizionali e culturali di tali minoranze oltre ai diritti fondamentali universalmente riconosciuti, nonché i casi di denegata giustizia raccolti da numerose organizzazioni internazionali sui diritti umani».

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