3.31.2011

contro l'accordo di co-produzione cinematografica Italia-Cina

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Perduca. Ne ha facoltà.

PERDUCA (PD). Signor Presidente, chiedo scusa per questo leggero ritardo, ma tanto questo Trattato quanto il prossimo relativo al Libano sono stati licenziati pochi minuti fa dalla 3a Commissione, non consentendo la presentazione di documenti a corredo del nostro dibattito.

Ho ascoltato l'illustrazione dell'ordine del giorno G100 da parte del senatore Marcenaro e gli chiedo se posso aggiungere la mia firma, perché, se in effetti il Governo dovesse accettare tale ordine del giorno, il Trattato sarebbe di fatto vanificato, visto che l'impegno recita: «a ricorrere agli strumenti di natura diplomatica e giuridica, incluso l'avvio della procedura di rinuncia di cui all'articolo 17 dell'Accordo, qualora vengano riscontrati, nell'attuazione dell'Accordo da parte delle competenti autorità cinesi, comportamenti censori ovvero limitativi della libertà artistica o di espressione».

Stiamo infatti parlando della Repubblica popolare cinese, la quale non soltanto ha disertato la cerimonia per la consegna del premio Nobel, argomento che ci ha interessato (come ricordava poco fa il senatore Marcenaro, i maggiori Gruppi parlamentari hanno presentato delle mozioni per un dibattito urgente), ma addirittura ha escluso Liu Xiaobo dal contatto con i familiari e con il resto del mondo. Che tipo di censura può esercitare il Governo della Repubblica popolare cinese? Dopo questo esempio io ritengo che non ci sarebbe bisogno di aprire un dibattito, ma si dovrebbe rimettere ancora una volta questo Accordo nello scaffale della 3a Commissione del Senato della Repubblica italiana e trattenerlo là.

Ci sono altri argomenti, che in un scambio interculturale sarebbe necessario consegnare alla produzione - o, come si dice nell'Accordo, alla coproduzione -cinematografica: ad esempio la libertà religiosa, su cui molto spesso questo Senato si intrattiene per affermarla addirittura come «diritto dei diritti» dei popoli, è un argomento che rientra spesso anche nella produzione cinematografica. Mi riferisco alla libertà religiosa dei cristiani, cattolici e protestanti, a quella dei buddisti, tibetani e non, dei musulmani uiguri, e financo alla pratica del credo Falun Gong, per non parlare di tutta una serie di interpretazioni del confucianesimo, che non necessariamente siamo tenuti a conoscere.

La Cina, ad oggi, non soltanto non si azzarda a finanziare e coprodurre nulla che abbia a che fare con la libertà della religione, ma ne persegue la professione manu militari, imponendo addirittura la pena di morte ed essendo al primo posto nella classifica che Amnesty International e Nessuno tocchi Caino stilano tutti gli anni, con oltre 5.000 esecuzioni all'anno portate avanti da Pechino. L'Italia è nota nel mondo come la punta di lancia della lotta contro la pena di morte e come il Paese che, all'interno delle Nazioni Unite, si interessa maggiormente delle persecuzioni religiose.

Un Paese in cui quasi tutti i partiti hanno la necessità di affermare il diritto alla vita e i valori della famiglia può non dire nulla sulla politica del figlio unico? Si può non porre la questione dell'imposizione dell'aborto di Stato da parte di Pechino, ormai da trent'anni a questa parte, come possibile oggetto di una coproduzione televisiva? Io credo che siano tutte questioni che si devono porre all'attenzione di un rapporto franco e sano con un Paese, che è sicuramente importante, ma che altrettanto sicuramente non garantisce un diritto umano che sia uno, anche se si tratta di cinesi: il problema viene spesso sollevato per quanto riguarda le minoranze tibetane, uigure, mongole o manciure, ma esso riguarda soprattutto la maggioranza degli han, poiché oltre un miliardo di persone non godono di una libertà individuale che sia una.

L'Accordo è stato brevemente presentato: se qualcuno ha avuto il tempo di leggerlo, può vedere che in più parti si usa il verbo dovere. Per esempio, nell'articolo 2 si dice che i film in coproduzione devono essere approvati dalle competenti autorità dei due Governi. L'autorità competente per il Governo della Repubblica italiana è il Ministero dei beni culturali, mentre l'autorità competente per il Governo della Repubblica cinese è una fantomatica istituzione, che viene chiamata con un nome inglese. Andando avanti nella lettura, il nome di questa istituzione non viene ripetuto, ma si parla ancora una volta delle autorità competenti. Un Paese che ha bloccato l'accesso alla posta di Google, che ha bloccato Facebook, che continua a bloccare Internet ogni volta che c'è la necessità di non far sapere che alcune cose vanno male, dubito che conferisca al Ministero per le attività culturali il potere di coprodurre dei film che hanno a che fare con argomenti particolarmente sensibili.

«I produttori e gli studi cinematografici coinvolti», recita l'articolo 3, «nelle coproduzioni tra i due Paesi devono avere personalità giuridica». Quindi, ancora una volta, devono passare molto probabilmente dal Ministero dell'interno della Repubblica popolare cinese.

All'articolo 5, si dice che «La proporzione del cast tecnico e artistico di ciascuna parte dovrà essere negoziata tra i due produttori, nel rispetto della sceneggiatura, prima che il progetto venga sottoposto all'approvazione delle competenti autorità di entrambe le parti. Anche senza gli apporti tecnici e artistici, le coproduzioni solo finanziarie sono consentite». Ancora una volta, il valore artistico è messo da parte: occorre mantenere le quote.

L'articolo 6 stabilisce che «Le riprese in esterni in un Paese che non partecipa alla coproduzione possono essere autorizzate se la sceneggiatura o l'azione del film lo renda necessario e se i tecnici di una o di entrambe le parti partecipano alle riprese».

L'articolo 8 dice che «Il personale di entrambe le parti impiegato nella coproduzione dovrà rispettare la Costituzione, le leggi e i regolamenti, le culture etniche, il credo religioso e gli usi e costumi locali del Paese in cui hanno luogo le riprese in esterno». Posto che si faccia in Italia, i problemi della non applicazione, anzi, della violazione quotidiana della Costituzione italiana i Radicali li ripetono tutti i giorni, ma se si dovesse andare a fare in Cina, dove in effetti uno dei primi articoli della Costituzione riconosce i gruppi etnici e affida loro dei diritti particolari di autogoverno e si dovesse tenere a mente, però, cosa questo Parlamento molto spesso con delle risoluzioni ha adottato relativamente alla situazione in Tibet, credo che ancora una volta la risposta corale che dovrebbe scaturire è un no a questo tipo di contratti, perché chiaramente sappiamo che i milioni di tibetani in Tibet, le decine di milioni di uiguri nel Turkestan orientale o in cinese Xinjiang, per non parlare dei pochi manciuri e mongoli rimasti, sicuramente non godono di una che sia una autonomia in virtù del loro non essere etnicamente han.

L'articolo 10 è stato più volte ricordato: una volta ultimato un film cofinanziato - quindi, attenzione, una volta ultimato - e prodotto congiuntamente, deve essere un'altra volta esaminato e approvato dalle competenti autorità, che abbiamo detto non essere necessariamente quelle che come proprio obiettivo hanno l'arte, ma possono magari incentrare la loro attenzione sul fatto che non si vada fuori dal seminato.

In ultimo, l'articolo 14 riprende i dubbi relativamente a chi per i cinesi dovrebbe prendere in considerazione l'applicazione di questo Accordo. Recita infatti: «L'organismo responsabile, designato dalle competenti Autorità del Governo della Repubblica Popolare Cinese» (e quindi non si sa quale sia se non questo fantomatico Film Bureau, che non si capisce perché non sia stato tradotto in italiano) «e, per il Governo della Repubblica italiana, il Ministero per i Beni e le Attività Culturali (...) esamineranno» (ancora una volta) «l'applicazione del presente Accordo e si adopereranno per risolvere ogni problema che insorga nell'applicazione stessa».

Gli altri articoli sono stati ricordati, giustamente, ottimamente, dall'ordine del giorno G100 presentato dal senatore Marcenaro.

Per quanto sopra esposto, esprimo il mio orientamento favorevole sull'ordine del giorno del senatore Marcenaro e chiedo di apporvi la firma. Affido alla pratica della predica del rispetto dei diritti umani - ripeto: diritto alla vita, diritto alla libertà religiosa, diritto alla necessità di tenere di conto delle esigenze di gruppi etnici, primi fra tutti i tibetani, a favore dei quali il 10 marzo questo Parlamento da anni, avendo anche il più grosso gruppo interparlamentare di sostegno al popolo guidato dal Dalai Lama, si richiama - e alla coscienza individuale il voto finale su questo documento. Se il Governo - cosa che però non mi pare di poter dire faccia spesso - manterrà gli impegni che si assume con l'ordine del giorno del senatore Marcenaro, le previsioni di questo Accordo, qualora venisse oggi ratificato, non diventeranno mai operative, perché non sarà possibile fare altro che quotidianamente discutere tutta una serie di scelte, a meno che non si voglia fare una serie monografica su quanto è alta la Torre di Pisa o su quanto pende, su quanto sia larga la Piazza Rossa, o eventualmente partecipare - come già, ahinoi, avviene in Patria - alla riscrittura del divino Celeste Impero. Questo è un preoccupantissimo precedente che i colleghi senatori, se hanno prestato attenzione a questo piccolo intervento, si mettono sulla coscienza.

Ci sono 1.300 milioni di persone che non godono di una libertà che sia una. Dare la libertà al Governo di poter ancora una volta silenziare una minima voce che possa sollevare il dubbio che la Costituzione cinese vada bene com'è credo sia una responsabilità molto grave che viene assunta oggi. (Applausi dal Gruppo PD).

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