PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Perduca. Ne ha facoltà.
PERDUCA (PD). Signora Presidente, mi collego alla fase conclusiva dell'intervento del senatore Pedica notando però che non necessariamente essendo all'interno del Collegio dei Questori o della Segreteria della Presidenza si riesce a realizzare quanto auspicato dal Gruppo Italia dei Valori, ovvero rendere trasparente ciò che in effetti, purtroppo, trasparente non è.
La settimana scorsa è stato pubblicato un rapporto dal titolo «Camere aperte» ad opera di qualche organizzazione che, grazie a ricerche fatte su Internet, ha pubblicato dati sulle presenze e le attività dei parlamentari. Nella premessa c'era scritto che ogni informazione contenuta in quel documento doveva fare un po' i conti con l'impossibilità di recuperare alcuni dati e che quindi anche l'aggregazione di ciò che era stato recuperato su Internet era sicuramente non completa, non so se si possa dire fallace. La questione è stata anche fortunatamente affrontata l'altro giorno qui in Senato e abbiamo comunicato ai responsabili di quelle organizzazioni le critiche che sono emerse (molte delle quali erano puntuali e entravano nel merito), in primis sottolineando come quantità e qualità non necessariamente si equivalgano. D'altra parte, essendo lo studio di Cittadinanzattiva e Openpolis.it basato sulla partecipazione diretta anche di chi è oggetto di questo rapporto, credo che le critiche che sono state mosse verranno tenute in conto.
Certo è che l'anno scorso avevo avanzato alcuni rilievi dal punto di vista non dico della trasparenza, almeno relativamente a ciò che sto per affrontare, ma se non altro della reperibilità di tutta una serie di dati dal punto di vista tecnico e tecnologico. Ebbene, non essendo questi pubblicati con formati standard universali, quindi facilmente raggruppabili, aggregabili, elaborabili e valutabili dai motori di ricerca che esistono, si complica il lavoro di chi vuole mantenere un occhio attento in un contesto in cui - i risultati del referendum hanno in minima parte riaperto il dibattito sul modo con cui si eleggono i rappresentanti dei cittadini al Parlamento - l'elettorato attivo non può scegliere l'elettorato passivo, perché questo viene nominato dai capi di partito, piazzato in una lista bloccata, in circoscrizioni che interessano milioni di persone e non invece in collegi che ne raggruppano poche migliaia.
Non essendoci questo controllo diretto tra elettore ed eletto, si auspica che possa esservi almeno trasparenza dell'operato del nominato mandato in Parlamento (che sia alla Camera o al Senato), in occasione di tutta una serie di provvedimenti, non solo relativamente alla presenza in Aula o al comportamento adottato al momento del voto in merito ai vari decreti, disegni di legge e mozioni posti alla nostra attenzione, ma anche a tutto ciò che attiene alle attività connesse alla presentazione di disegni di legge e di interrogazioni parlamentari e a tutto il resto. Mi riferisco alla presentazione di emendamenti relativi ai vari provvedimenti e agli interventi svolti in Aula, in fase sia di discussione sia di conclusione dei lavori. Infatti, abbiamo fatto scalare alla fine della seduta la possibilità di affrontare questioni all'ordine del giorno, come spesso è accaduto, con riferimento, ad esempio, alla Commissione di vigilanza RAI, alla presenza di un dittatore nel nostro Senato o al rapporto con cui abbiamo più o meno saputo chi c'è e chi non c'è, chi e quanto partecipa ai nostri lavori e insomma fa pienamente parte dell'attività politica (mi riferisco a «Camere aperte»), ma anche a tutto ciò che attiene all'attività forse più specialistica che interessa i lavori delle nostre Commissioni.
Ora, però, si crea un problema: possiamo continuare a presentare ordini del giorno (e lo abbiamo fatto ancora una volta). Tra l'altro, due di quelli che la delegazione radicale nel Gruppo del PD ha presentano rielaborano ciò che avevamo presentato lo scorso anno, perché purtroppo non è stato dato pieno seguito alle raccomandazioni ivi contenute. La necessità di fornire questo nostro Senato, anche dal punto di vista tecnico e tecnologico, di tutta una serie di marchingegni e meccanismi che possano far recuperare la quantità e la qualità del nostro lavoro si scontra con un Regolamento in cui, in buona parte, si impone una sorta di censura. I lavori della nostre Commissioni non sono conoscibili, perché non è possibile che siano aperti in fase di dibattito su determinati provvedimenti, neanche se viene presa una decisione a maggioranza della Commissione stessa.
Capisco che la fase finale di un dibattito sia forse quella che maggiormente può interessare gli italiani, ma se un domani si recuperasse un minimo di attenzione positiva nei confronti dei lavori delle istituzioni e, ad esempio, si volessero compiere studi sull'intero dibattito che ha occupato le ore notturne della Commissione sanità in merito a quella pessima legge - che fortunatamente adesso è bloccata - sul testamento biologico, non si saprebbe dove andare a cercare. Avremmo resoconti molto buoni, ma sommari, relativi a ore e ore di dibattito, ma non si conoscerebbe la qualità degli argomenti portati avanti dai senatori che si sono impegnati, alle volte fino all'una di notte, nel tentativo di arginare - lo ribadisco - una pessima legge. Questo vale per quella pessima legge che avrebbe potuto essere migliore, se si fossero conosciuti meglio i vari argomenti portati avanti anche in fase dibattimentale.
Insistiamo quindi a che, dal punto di vista tecnologico, ci si doti di un sistema Internet che possa far pubblicare i dati con formati, aperti e universalmente raggruppabili da questi motori di ricerca. Auspichiamo anche che l'attenzione che viene data ai nostri lavori tramite i canali satellitari e radiofonici (come GR Parlamento e Radio Radicale) possa essere ampliata e inclusa - perché no? - all'interno del sito, visto e considerato che vi possono essere sinergie, alle volte a costo zero, alle volte razionalizzando le spese, di modo da arrivare nel 2009 ad una pubblicizzazione dei lavori del Parlamento anche a livello multimediale. Il sito potrebbe essere ulteriormente arricchito non soltanto con l'immagine fissa che inquadra chi parla, ma anche facendo vedere l'intera Aula, che oggi è pressoché deserta, mentre si parla di centinaia di migliaia di euro dei cittadini: ciò potrebbe anche aiutare a formarsi un'opinione su chi, nominato e non eletto, viene comunque mandato all'interno della Camera e del Senato e decide di non partecipare ai dibattiti neanche come uditore.
Certo, si può ascoltare tranquillamente dalla televisione nel proprio ufficio, ma magari stando presenti si riesce anche a contribuire con pochi minuti, visto che siamo soltanto otto senatori iscritti a parlare in discussione generale, ad un dibattito molto interessante.
L'ordine del giorno - prima di passare a questioni più complesse, per non dire scottanti - che abbiamo voluto presentare come delegazione radicale è relativo a qualcosa che va ben oltre il sito Internet del Senato. Prevede la possibilità di dotare tutti i computer del Parlamento italiano di un software libero che, quindi, non è di proprietà della multinazionale di turno che ce lo concede in licenza d'uso, ma può diventare, grazie a contratti (che non necessariamente saranno gratuiti) di piena proprietà dell'istituzione e può essere utilizzato, modificato e ridisegnato sulle esigenze dei singoli parlamentari, delle Commissioni, dell'Aula, della Presidenza del Senato o del Collegio dei senatori Questori. Insomma, può essere ridisegnato a seconda delle necessità dell'utente o del contesto, senza necessariamente chiedere il permesso e, quindi, avvalersi dell'assistenza tecnologica di chi concede le licenze d'uso, proprio perché è libero, ha un codice trasparente e può essere rielaborato. Ricordiamo nell'ordine del giorno quali sono i princìpi centrali del software libero che ormai non è più una novità, dal momento che esiste da oltre due decenni con applicazioni sempre più numerose, non soltanto per quanto riguarda i server di Internet, ma con sviluppi ulteriori anche di programmi relativi a database, chiedendo che venga fatto uno studio comparativo dei costi che sono stati sostenuti a oggi per le licenze d'uso degli altri software.
I computer che abbiamo a casa o nel nostro ufficio sono tutti esclusivamente Microsoft. Ad esempio, per installare un browser o un navigatore su Internet che è gratuito e va dieci volte più veloce ho dovuto chiedere un permesso. Adesso l'ho installato, ma tutte le volte che ho bisogno di scaricare programmi di aggiornamento, devo chiedere un permesso che naturalmente non mi viene negato, ma mi fa perdere un quarto d'ora per l'operazione, magari anche meno. Insomma, non si è proprietari del proprio computer, e non perché lo si voglia rompere o ci si voglia infilare nel sito del Ministero degli affari esteri per fare i baffi sulla foto del ministro Frattini, ma perché si vuole che funzioni bene. Al contrario, molto spesso abbiamo avuto problemi anche a riascoltare le sedute del Senato, proprio perché il browser Microsoft Explorer non funzionava. Non si riesce a capire perché, di fronte alla conclamata migliore qualità di una serie di programmi gratuiti, ci si debba ostinare a installare quelli a pagamento.
Quindi, si chiede che venga portato avanti questo studio comparativo e nel frattempo chiediamo una moratoria dei contratti che - come ci pare di capire - sta interessando anche alcuni Ministeri: il ministro Brunetta alcuni giorni fa ha risposto a un'interrogazione parlamentare che gli avevamo posto relativamente a questi memorandum con la Microsoft, proprio perché ci si rende conto che vi è un risparmio da parte dell'amministrazione pubblica.
La fase meno dialogica (ma spero non di aspro confronto), relativamente a ciò che voglio porre oggi all'attenzione del nostro dibattito, riguarda le proprietà immobiliari del Senato. L'anno scorso, ad alcuni rilievi fatti, mi fu risposto, prima in forma privata e poi pubblicamente, che ciò che avevo evidenziato era stato risolto: si parlava di un edificio ubicato a Largo Toniolo, nelle immediate vicinanze di Palazzo Madama, che aveva subito una modifica nella destinazione d'uso, non necessariamente nel pieno rispetto delle regole democratiche. Infatti, il Consiglio comunale in quel momento non era affidato agli eletti, ma si trovava in una fase di sospensione, perché il Sindaco si era dimesso per partecipare alle elezioni politiche dell'anno scorso. Quindi, quel palazzo, dove avrebbero potuto esserci - e, in effetti, vi erano - undici appartamenti, dove vi sarà una mansarda e vi sono anche locali utilizzabili come garage per ciclomotori, è stato acquistato in un momento in cui si sapeva che il Parlamento sarebbe andato a diminuire, almeno dal punto di vista del numero dei Gruppi parlamentari. Tuttavia, lì è rimasto. Gira voce - ma chiedo ulteriori smentite o eventualmente conferme - che questo edificio possa essere rivenduto al Demanio e che, quindi, possa non rientrare a far parte delle proprietà immobiliari del Senato, ma non si riesce a capire se ciò corrisponda a verità o che cosa abbia fatto scaturire questa decisione.
Soprattutto non si riesce a capire la posizione del Senato sull'allargamento della nostra istituzione a palazzi adiacenti l'edificio principale. Sicuramente sono necessari nuovi spazi per continuare a lavorare. Vedo colleghi, in particolare del Partito Democratico, sacrificati in stanzette di 3 metri per 2 o poco più, mentre altri edifici sono in prolungato stato di ristrutturazione. Mettiamola così: credo che sei anni di lavori non siano pochi, anche se sicuramente i problemi incontrati sono dovuti alle Belle Arti ed alla grande cura con cui i pezzi da restaurare devono essere maneggiati. Devo pur dire però che la qualità di alcune ristrutturazioni di questo Palazzo mi hanno lasciato particolarmente sorpreso il primo giorno in cui vi sono entrato e credo che la qualità di alcune dotazioni delle Aule delle nostre Commissioni siano più che criticabili.
Tutto ciò non toglie però che non ci si ponga il problema dell'espansione della città della politica a scapito della residenzialità del centro storico deprivato, in alcuni suoi angoli, della possibilità di avere delle famiglie. Tra l'altro, il palazzo di Largo Toniolo era addirittura classificato come edilizia popolare, anche se mega-appartamenti per l'edilizia popolare possono costituire una contraddizione in termini. Ciò non toglie che espellere abitanti da questa parte di Roma sia una contraddizione in termini se effettuata da una istituzione che ne dovrebbe rappresentare gli interessi dal punto di vista dell'applicazione della legge.
Ci sono poi - mi collego a quanto denunciato dal senatore Pedica - una serie di documenti che, proprio come i nostri interventi, devono essere ricercati. Se siamo tutti d'accordo - spero che ciò non avvenga solo il giorno in cui esce uno studio di un'organizzazione indipendente - sulla necessità di rendere questo Palazzo di vetro, nel senso della trasparenza totale, allora questo deve valere sia per quel che si dice e si fa sia per la nostra amministrazione.
Il nostro bilancio deve essere - e questo lo avevamo già chiesto lo scorso anno - non soltanto pubblicato con largo anticipo - e mi ricordo le critiche mosse dal senatore Paravia che non so se quest'anno vorrà tornarci sopra - ma andrebbe pubblicato su Internet il giorno in cui viene reso noto ai senatori stessi, possibilmente con un ampio lasso temporale di modo che sia noi - che comunque abbiamo anche altre cose da seguire, ma questa ci deve interessare tanto quanto la nostra attività parlamentare - sia i cittadini che pagano le tasse sappiano che cosa avviene dei loro danari e possano eventualmente, visto e considerato che hanno dei sinceri interessi e non sono tutti dediti a reazioni smodate nei confronti della cosiddetta casta, avere la possibilità di ulteriormente approfondire, eventualmente attraverso procedimenti che possiamo concordare insieme o che potrebbero essere delle vere e proprie auditing trasparenti e pubbliche che restituiscono un minimo di dignità alle nostre istituzioni per andarle a toccare anche il cuore di tenebra, quali sono i bilanci della nostra amministrazione interna.
Quindi seguirò in Aula il resto del dibattito e soprattutto cosa verrà replicato più avanti, ma credo che in queste condizioni sia difficile strappare un voto favorevole ad un meccanismo che, anche sulla base delle critiche portate avanti l'estate scorsa, non mi pare sia necessariamente migliorato.
Ci sono poi una serie di dettagli che mancano. Stiamo parlando delle locazioni. Ricordo che l'anno scorso citai una manifestazione cui partecipai a Largo Toniolo, organizzata dall'allora consigliere del I municipio, Mario Staderini, un radicale eletto con la «Rosa nel Pugno», su 5 milioni di euro di locazioni che non si capiva bene a quali palazzi facessero riferimento.
Se fosse possibile, proprio in virtù della necessaria trasparenza, occorrerebbe anche riuscire a capire chi siano i proprietari degli immobili locati e la durata dei contratti stessi, anche perché, ripeto, relativamente ad un paio di edifici si è venuto a sapere, sempre attraverso notizie che sono trapelate sui giornali, di compravendite avvenute attraverso società che al momento della vendita dell'edificio al Senato sono state sciolte. Siccome a pensare male probabilmente - io non ci credo - si fa peccato e comunque ogni tanto ci si avvicina di più alla verità di quanto non si possa fare magari con anni e anni di ricerche, credo che tutto ciò sia dovuto non soltanto a noi parlamentari ma anche agli italiani.
Grazie alle leggi elettorali che avete adottato, buon'ultima quella per il Parlamento europeo, a fronte di una riduzione dei Gruppi parlamentari da 15 a 5 (e, se fosse passato il referendum, a due o tre) il problema è divenuto poi il seguente: qual è la necessità di mantenere una volontà politica di disporre di queste cubature, che andavano forse bene quando c'era un altro tipo di presenza parlamentare?, Perché non iniziare piuttosto, non soltanto a dismettere, ma eventualmente a stabilire, di concerto con l'amministrazione locale, un ritorno, un rientro dolce, di alcuni di questi immobili alla loro destinazione originaria? Perché espellere i cittadini, romani o non romani, dal cuore di Roma per fare posto a noi? Se dovessimo andare a sommare le ore di dibattito che hanno occupato questo Senato nelle ultime tre settimane non credo che arriveremmo ad eguagliare un turno quotidiano di una qualsiasi impresa pubblica o privata. Quindi, a seguito di una riduzione ulteriore non soltanto del numero dei Gruppi parlamentari ma anche del lavoro del Parlamento, perché ormai non siamo più un Parlamento ma un votificio, non si capisce perché si debba invece andare a occupare il cuore di Roma. (Applausi della senatrice Negri e del senatore Pedica).
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