In situazioni come quella di Mastrogiacomo, che tra l'altro possono sempre capitare a tutti coloro i quali hanno la ventura di infilarsi in zone dove si combatte, oltre alla prudenza che dovrebbe caretterizzare le proprie mosse, c'è sempre bisogno di fare tutto il possibile per non intralciare il lavoro di coloro i quali operano per salvare la vita dei rapiti. Però, spesso in vicende come queste, ci sono molte cose poco, o forse troppo chiare.
Niente mi toglie dalla testa che i talebani, in quanto tali, non esistano, ma che essi siano animanti dalla società dello spettacolo (e della guerra) che non perde occasione di ricordarci che da un paio di anni si stanno rafforzando, che al momento dello scioglimento delle nevi lanceranno l'offensiva di primavera, che stanno vincendo la battaglia per le menti e i cuori di molte zone del sud dell'Afghanistan e che continuano a godere del sostegno del Pakistan, eccetera eccetera. Se tutto ciò corrispondesse alla realtà nel campo, perché il bisogno di un colpo di teatro? e di questo colpo in modo particolare?
La regia è di qualcuno che conosce bene i suoi "polli" e che sa dosare bene gli ingredienti dell'intreccio. La scelta della vittima, un giornalista proveniente da un paese, ritenuto buono (anche a pagare riscatti) dove il Governo ha rischiato di cadere, seppur strumentalmente, per il voto di conferma delle missioni all'estero tra cui la partecipazione all'ISAF in Afghanistan; la zona del rapimento, un'area ritenuta tra le più pericolose del paese e terra di produzione di papavero per oppio, questione che aveva visto l'Italia prendere le distanze dai partner internazionali tutti intenti a volerlo eradicare piuttosto che dirottarlo verso il mercato globale degli analgesici; la richiesta "ragionevole" dei rapitori, non più il ritiro immediato del contingente - si badi bene fin dall'inizio si è specificato che si trattava di un rapimento dei "talebani" e non di banditi o balordi come i sequestratori della Cantoni, quindi di una parte in causa nel conflitto - bensì lo scambio di prigionieri; la paura di uno dei cinque talebani da liberare ormai diventato "collaboratore di giustizia internazionale"; le trattative parallele, da una parte i canali aperti dalla Farnesina, dall'altra quelli della "Repubblica" che vedevano in Gino Strada il jolly pontiere coi rapitori.
Il tutto non farebbe una piega se la vicenda fosse stata seguita con un minimo di sincera attenzione da parte della stampa internazionale... Posto che i parenti dell'autista di Mastrogiacomo reclamano il corpo del loro caro, e che per il momento non se ne hanno notizie, posto che Emergency incasserà contributi a più non posso per la pubblicità ricevuta, posto anche che "tutto è bene quel che finisce bene" sarebbe interessante, un giorno, magari tra dieci anni quando l'Afghanistan sarà in pace e ci potremo ridurre le sofferenze grazie ai suoi oppiacei, sapere come sono andate realmente le cose. Perché a me non m'hanno convinto
2 comments:
ciao marco!
condivido le tue perplessità. Le stesse che avevo quando fu rapito il fotografo Torsello, a novembre mi sembra.
Ma le mie perplessità non sono affatto fondate, è come se sentissi puzza di bruciato, ma non sono in grado di individuare la fonte dell'incendio. Tu invece sembri avere qualche pensiero un po' più delineato, specie riguardo al coinvolgimento di Gino Strada e della sua Emergency. Ma forse mi sbaglio, non so.
ciao! sharon
ciao sharon, infatti. magari se ho tempo ci torno sopra.
baci
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