6.07.2018

intendiamoci un attimo su 'sta Russia

Tra le cose (molte malamente) dette dal Presidente del Consiglio l'altro giorno in Parlamento spicca per andreottismo il voler rivedere le sanzioni nei confronti della Russia.
Dico andreottismo perché, sicuramente in virtù del fatto che si tratta di un governo dalle large-intese e/o di coalizione che dir si voglia, il programma di governo, e la piattezza della sua esposizione, rimandano agli anni grigio scuri della (non necessariamente migliore) DC.
Tutti ricorderanno che, pur confermando l'Atlantismo dell'Italia, il nostro paese dalla fine degli anni Sessanta ha sempre svolto una funzione di cerniera con avversari e nemici dell'Occidente.
Che fosse l'URSS o la Jugoslavia dove si andava a studiare o cacciare e, tra le tantissime altre cose, si aprivano fabbriche della Fiat; il Medio Oriente, Arafat ha parlato in Parlamento con tanto di pistola nel fodero, Gheddafi che tirava giù aerei salvava la Fiat e la Juventus, Beirut veniva ricostruita dalle nostre imprese, Assad riceveva l'onorificenza di Cavaliere della Gran Croce!, o l'Iran, dove siam sempre stati tra i primi partner commerciali; Il centro-America - ma anche Algeria, Mozambico e Angola, Etiopia, Eritrea e Somalia, l'Italia c'è sempre stata. Un'Italia da intendersi come stato e para-stato (difficile trovare un'impresa che possa definirsi totalmente privata, in Italia più che altrove) fino ai sindacati, missionari o ONG.
Questa presenza era, la dico brutalmente, dovuta essenzialmente a tre fattori: la necessità di infilarsi nei grandi giochi petroliferi (per consentire all'ENI di diventare il colosso globale che ancora è), l'ospitare il centro di una organizzazione religiosa che comunque aveva adepti e interessi da proteggere e preservare un po' dappertutto, e il concedere qualcosa al primo partito di minoranza (non d'opposizione, si badi bene) che era il "più grande Partito Comunista del mondo libero" e col quale la maggioranza ha sempre governato in combutta.
Washington ci cazziava ma, tutto sommato, le faceva comodo poter avere una base militare ai confini coi nemici dove, tra le altre cose, attivare canali diplomatico-negoziali coi "cattivi" grazie ai nostri partiti politici, servizi segreti o preti. Certo, questo posizionamento non è stato a costo zero (anche di vite umane), ma sicuramente ha contribuito a evitare escalation armate peggiori di quelle che comunque ci son state.
Dopo il crollo dell'Unione Sovietica le cose sono cambiate di poco (su questo ci sto scrivendo un romanzo) in termini di relazioni politiche, rapporti commerciali e tentazioni "egemoni" di questo o quello.
Ma la Russia va tenuta sotto strettissimo controllo, perché, seppure alla canna del gas economicamente, si mantiene alive and kicking grazie alla corruzione di amici e avversari e, soprattutto essendo uno stato sovrano, con tanto di potere di veto al Consiglio di Sicurezza, gode di ampia immunità e impunità. Soldi, mega-commesse, appalti, contratti, consulenze, bombe, riciclaggio di danaro, zoccole, oppure sostegni politici diretti o indiretti costituiscono la vasta gamma di "argomenti" usati dalla Russia per rimanere a galla. Anzi, usati da Putin.
Putin, arrivato nel 2000 in circostanze ancora tutte da scandagliare e che recentemente ha annunciato che alla fine del mandato si ritirerà a vita privata, costituisce il modello di quella che Orban chiama la democrazia illiberale.
Ma siccome democrazia illiberale è una contraddizione in termini, almeno per chi se ne intende, occorre riesumare quanto Pannella, molto prima e molto più articolatamente di Orban, chiamava "democrazia reale" comparandola con l'espressione "socialismo reale", per denunciare a cosa può portare la non applicazione di spirito e lettera di un ideale (che nel caso della democrazia implica e coinvolge anche una struttura istituzional-costituzionale): strage di diritti = strage di popoli.
In quanto ex spia, Putin conosce perfettamente i meccanismi della guerra psicologica (non che sia da meno in quelli della guerra combattuta) e sa come, dove e quando e per quanto inserirsi col fine di creare zone di apparente, ma anche permanente, instabilità per trarne vantaggio in termini di influenza e quindi sopravvivenza.
Cecenia, Georgia, Ucraina, Bielorussia, Siria, Libia e Artide sono solo alcuni degli esempi del proseguimento del "grande gioco" che la Russia ha sempre voluto giocare contro tutto e tutti per imporsi prepotentemente non potendoselo permettere. Violenze e manipolazioni di tutti i tipi - specie quelle relative alle ricostruzioni storiche di sovranità presunte - sono le armi usate da Putin e dai suoi alleati. A oggi nessuno si è mai preso la briga di bloccarlo perché, tranne le persone normali, ai governi amici o nemici le cose vanno bene così. Ma gas e petrolio non sono eterni...
E allora, se tutto è sempre stato così, e tutto sommato nessuno ha mai avuto troppi svantaggi, salvo ripeto chi è morto per mano di munizioni russe o filo-russe, quale sarebbe il problema se l'Italia rivedesse le sanzioni nei confronti della Russia?
Intanto perché "tecnicamente" non si può, si tratta infatti di sanzioni imposte da organizzazioni internazionali UE e NATO di cui l'Italia è parte e in cui vige il motto dei moschettieri; seconda di poi perché si condonerebbe (ulteriormente) una enorme violazione del diritto internazionale: le sanzioni sono state imposte a seguito dell'aggressione ed annessione della porzione di uno stato sovrano indipendente - motivo che, di per sé, sarebbe sufficiente per attivare il Capitolo VII della Carta delle Nazioni unite che prevede l'uso della forza per garantire pace e sicurezza; ultimo, ma non ultimo, perché non si rintraccia alcunché di cambiamento nell'eventuale perseguimento della (ri)normalizzazione con un regime autoritario come quello di Putin (ma solo il mantenimento di una promessa elettorale che di per sé comunque conta specie in un paese in campagna elettorale permanente).
Quando nel 2000 la Federazione russa di Vladimir Putin si mosse per cacciare il Partito Radicale dell'ONU dove gode di uno status consultivo e dove aveva fatto parlare un parlamentare ceceno alla Commissione diritti umani di Ginevra, la Lega Nord e il Partito dei Comunisti d'Italia (o come diavolo si chiamavano) votarono contro le mozioni Boato e Taradash che chiedevano all'Italia di attivarsi in seno al Consiglio Economico e Sociale per sconfiggere la richiesta russa di punizione.
Leghisti e comunisti furono sconfitti tanto a Roma quanto a New York.
Nel libro "Operazione Idigov" racconto come andarono quei fatti; in piccolo si trattò di una "guerra" dove la Russia, non avendo argomenti, ma molti alleati, si mobilitò con accuse infamanti e diffamanti che si scontrarono con la realtà dei fatti, la piena applicazione delle pur bizantine procedure e il rispetto per i morti.
Il governo Conte continuerà ad annunciare cose che non potrà, né gli converrà fare, e lo farà a favore di telecamera.
Per questi motivi, questo tipo di agire politico deve esser messo in scacco da quella che Pannella chiamava la ricerca della verità (fattuale e non con la V maiuscola), perché - e lo dico magari un po' romanticamente - il bene alla fine vince sempre, ma da solo non ce la può fare. Occorre coltivare una coraggiosa resistenza di un dinamico attacco intellettuale figlio della tradizione di chi si oppone a corrotti e corruttori. Non è facile ma, come dimostra il libro, la storia può cambiare anche grazie all'impegno di pochi.


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