L'Ambasciatrice armena Victoria Bagdassarian ammonisce che "il negazionismo comporta la prosecuzione del crimine e un'alta possibilità di recidiva. Quanto più la Turchia si allontana dal percorso democratico tanto più le prospettivo del riconoscimento sono sfocate". Tutto vero e condivisibile. Tutto dibattuto tanto in Turchia quanto altrove.
Altrettanto purtroppo non si può dire dell'Armenia, che nel 2015 ha modificato la costituzionale dopo anni di semi-presidenzialismo giusto per consentire al presidente Sargsyan di ricandidarsi l'anno prossimo, e che ancora la settimana scorsa violava, e per la centesima volta, la tregua armata coll'Azerbaijan al confine del Nagorno Karabakh.
Mentre Cher, che con Aznavour e le sorelle Kardashian, è la vera ambasciatrice armena dovunque, si lamentava cogli inglesi che non avevano riconosciuto il grande male inflitto dai turchi ai suoi avi, gli armeni andavano alle urne. Questioni di priorità comunicativa - ci mancherebbe! - dopotutto, cosa può importare al mondo se il 49% degli armeni vota, per l'ennesima volta, per il Partito repubblicano, quasi il 28% per il blocco Tsarukyan, il 7.8% per lo Yelk, il 6.6% per la Federazione rivoluzionaria armena, mentre la proposta di pace coll'Azerbaijan non ha fatto rientrare in Parlamento l'ex presidente Ter-Petrosyan? Assolutamente niente, ma quando si parla di genocidio, dello "Metz Yeghern", l'indignazione regna universalmente sovrana.
Sforzi anti-negazionisti di chi vive per ricordare i morti ma si dimentica dei vivi.
Quando sedevo in Senato nella scorsa legislatura, verso la fine di aprile venivo spesso "attenzionato" dalla comunità armena in Italia, poche anime ma sicuramente agguerriti alfieri della linea governativa (degli 11 milioni di armeni nel mondo solo tre vivono in Armenia, la maggioranza si divide tra Francia e USA, e decide l'elezione in alcuni collegi chiave). La scusa? Che ero amico della Turchia, ma, e forse ancor di più, che ero amico della verità, quella verità sull'Armenia che, in occasione della ricorrenza dei massacri del secolo scorso, cercavo di ricordare per non seppellire i problemi degli armeni sotto 100 anni di storia.
Il 30% del Paese vive purtroppo al di sotto di standard economici europei, indiscusse restano l'occupazione militare di ampie aree d'un vicino stato sovrano, la creazione di uno staterello ribattezzato Artsakh, e la presenza di migliaia di militari russi accomodati in una base militare sovietica mai smantellata. I pressoché unici commerci internazionale sono con Mosca, recentemente anche attraverso aree del caucaso settentrionale occupate illegalmente e militarmente dalla Russia come l'Abkhazia, la subdola ingerenza della Chiesa ortodossa negli affari dello Stato (dopotutto l'Armenia fu il primo Stato al mondo a riconoscere quella cristiana come religione di Stato), l'amicizia strategica col vicino Iran e tanti altri problemi che caratterizzano il mondo d'oggi un po' dappertutto.
Se un pianificato genocidio c'è stato ce lo stanno per dire, pare in via definitiva, gli storici, che "giovani turchi" non fosse il miglior nome per la corrente di un partito che si chiama democratico era piuttosto evidente, ma che suonasse come Hitler Jugend, francamente... Detto questo sepolti, pianti e rivendicati i milioni di morti negli eccidi del Novecento non dimentichiamoci di vivere nel presente.
Altrettanto purtroppo non si può dire dell'Armenia, che nel 2015 ha modificato la costituzionale dopo anni di semi-presidenzialismo giusto per consentire al presidente Sargsyan di ricandidarsi l'anno prossimo, e che ancora la settimana scorsa violava, e per la centesima volta, la tregua armata coll'Azerbaijan al confine del Nagorno Karabakh.
Mentre Cher, che con Aznavour e le sorelle Kardashian, è la vera ambasciatrice armena dovunque, si lamentava cogli inglesi che non avevano riconosciuto il grande male inflitto dai turchi ai suoi avi, gli armeni andavano alle urne. Questioni di priorità comunicativa - ci mancherebbe! - dopotutto, cosa può importare al mondo se il 49% degli armeni vota, per l'ennesima volta, per il Partito repubblicano, quasi il 28% per il blocco Tsarukyan, il 7.8% per lo Yelk, il 6.6% per la Federazione rivoluzionaria armena, mentre la proposta di pace coll'Azerbaijan non ha fatto rientrare in Parlamento l'ex presidente Ter-Petrosyan? Assolutamente niente, ma quando si parla di genocidio, dello "Metz Yeghern", l'indignazione regna universalmente sovrana.
Sforzi anti-negazionisti di chi vive per ricordare i morti ma si dimentica dei vivi.
Quando sedevo in Senato nella scorsa legislatura, verso la fine di aprile venivo spesso "attenzionato" dalla comunità armena in Italia, poche anime ma sicuramente agguerriti alfieri della linea governativa (degli 11 milioni di armeni nel mondo solo tre vivono in Armenia, la maggioranza si divide tra Francia e USA, e decide l'elezione in alcuni collegi chiave). La scusa? Che ero amico della Turchia, ma, e forse ancor di più, che ero amico della verità, quella verità sull'Armenia che, in occasione della ricorrenza dei massacri del secolo scorso, cercavo di ricordare per non seppellire i problemi degli armeni sotto 100 anni di storia.
Il 30% del Paese vive purtroppo al di sotto di standard economici europei, indiscusse restano l'occupazione militare di ampie aree d'un vicino stato sovrano, la creazione di uno staterello ribattezzato Artsakh, e la presenza di migliaia di militari russi accomodati in una base militare sovietica mai smantellata. I pressoché unici commerci internazionale sono con Mosca, recentemente anche attraverso aree del caucaso settentrionale occupate illegalmente e militarmente dalla Russia come l'Abkhazia, la subdola ingerenza della Chiesa ortodossa negli affari dello Stato (dopotutto l'Armenia fu il primo Stato al mondo a riconoscere quella cristiana come religione di Stato), l'amicizia strategica col vicino Iran e tanti altri problemi che caratterizzano il mondo d'oggi un po' dappertutto.
Se un pianificato genocidio c'è stato ce lo stanno per dire, pare in via definitiva, gli storici, che "giovani turchi" non fosse il miglior nome per la corrente di un partito che si chiama democratico era piuttosto evidente, ma che suonasse come Hitler Jugend, francamente... Detto questo sepolti, pianti e rivendicati i milioni di morti negli eccidi del Novecento non dimentichiamoci di vivere nel presente.
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