Quanto
accade in queste ore in Ucraina è l'ulteriore dimostrazione di cosa
accade, e continua ad accadere, sistematicamente se l'Unione europea e
il suo alleato storico d'oltre Oceano non parlano e agiscono con una
sola voce. Era del tutto prevedibile, e anche abbondantemente previsto,
che senza l'imposizione politica e diplomatica del rispetto del diritto
internazionale e degli accordi recentemente raggiunti a Ginevra, la
legge del più forte avrebbe prevalso - e in quella parte d'Europa il più
forte resta Putin.
Eppure le esperienze delle
provocazioni russe in Georgia del 2008 avrebbero dovuto mettere in
guardia sulle reali intenzioni di Mosca e invece, ancora una volta, ci
si è limitati a ricercare, senza però coordinarsi, delle sanzioni ad hoc
contro oligarchi ucraini e russi oppure a devolvere all'Organizzazione
per la sicurezza e la cooperazione in Europa il "monitoraggio" della
situazione.
Oggi nelle regioni orientali dell'Ucraina
siamo di fronte al sequestro di un gruppo di osservatori OSCE, ritenuti
prigionieri di guerra, da parte dei presunti "separatisti" e a una serie
di azioni "anti-terrorismo" portate avanti dal governo di transizione
ucraino. Un preoccupante dejà vu...
Occorre quindi che venga convocato urgentissimamente un Consiglio d'Europa, uno europeo e uno altantico sul da farsi prima di doversi trovar di fronte a opzioni regionali di uso della forza o, peggio, di ulteriore paralisi di fronte ai cannoni russi.
Ricordo anche che il 25 febbraio scorso, l'Ucraina ha riconosciuto la giurisdizione della Corte penale internazionale e che tale decisione la obbliga a rispettare il diritto che regola i conflitti, oltre che le operazioni "anti-terrorismo". L'ufficio del Procuratore sta studiando quanto è stato presentato formalmente dall'Ucraina, la "comunità internazionale" deve sostenere il lavoro della Cpi per affermare i più alti standard del diritto penale internazionale.
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