Legislatura 16ª - Aula - Resoconto stenografico della seduta n. 234 del 08/07/2009
PERDUCA (PD).
Signor Presidente, mi sono iscritto a parlare non tanto, naturalmente,
perché sia contrario alla conversione in legge del decreto oggi in
discussione ma perché, come è emerso ieri durante il dibattito relativo
al modello di difesa, quest'anno non ci sarà un vero e proprio
approfondimento di ciò che attiene alla partecipazione italiana alle
missioni internazionali: ratificheremo, infatti, con una sorta di
decreto omnibus, quasi un milleproroghe, con la formula prendere o
lasciare, tutto ciò che magari avremmo sostenuto ma che allo stesso
tempo avremmo voluto approfondire. Quest'anno tutto ciò non avverrà e
non sarà possibile avere un dibattito sulle missioni italiane all'estero
ma, per l'appunto, è stata sfilata dal pacchetto la nostra
partecipazione alla missione Atalanta.
La missione Atalanta nasce su stimolo delle
Nazioni Unite perché si è ritenuto necessario combattere questo
fenomeno. Nella risoluzione adottata l'anno scorso a New York, però, si
limita, se non altro nel dettato di quel documento, la presenza di una
forza internazionale a scorta, difesa e protezione delle imbarcazioni
del Programma alimentare mondiale: quindi qualcosa di leggermente
diverso in riferimento alla lotta alla pirateria.
Nella relazione che accompagna il disegno di
legge sul quale ci accingiamo a deliberare si nota, ma di passaggio, che
negli ultimi anni si è verificato un aumento di questo fenomeno ma non
viene fornito l'ammontare effettivo di tale aumento né tanto meno viene
svolto un ragionamento in termini più generali circa il fenomeno stesso.
Certo, si dice che la pirateria è, come altri mestieri, uno dei più
antichi del mondo, ed è riconosciuta come un'attività contro l'umanità,
contro ogni uomo, motivo per il quale deve essere perseguita con la
massima decisione e fermezza grazie anche al diritto consuetudinario e
alla richiamata Convenzione della Baia di Montego. Comunque, in effetti,
il fenomeno non viene quantificato. Io credo che si faccia anche -
ahinoi! - l'economia del volume commerciale del trasporto di qualsiasi
tipo di beni, ma in particolare dei due terzi del petrolio prodotto in
Medio Oriente, sia nella penisola arabica che altrove, a sud del Mar
Caspio. Non ci viene detto, in termini assoluti, quale sia il volume di
questo traffico e nemmeno quale sia il volume di traffico che è stato
vittima di pirateria.
Un giornale che credo non si sia mai risparmiato
nella promozione della mano ferma, il "The Wall Street Journal", quando
l'anno scorso si era al picco di attacchi contro imbarcazioni che
trasportavano sia petrolio che - caso clamoroso - addirittura una
trentina di carri armati sovietici destinati al Kenya, dove la
situazione politica generale aveva portato a grandi manifestazioni di
massa a seguito di elezioni più o meno libere, più o meno democratiche
(si tratta quindi di qualcosa che magari sfugge a chi si interessa di
diritti umani, ma che è emerso in seguito al sequestro delle navi da
parte dei pirati), sviluppò una statistica, dalla quale risultò che le
navi sequestrate dai pirati ammontavano a circa l'1,5-2 per cento di
tutto il traffico che passa nel Mar Rosso, nel Golfo Persico e poi nel
Golfo di Aden. A fronte di questo 1-2 per cento di volume effettivamente
intercettato ma non distrutto, anzi spesso restituito a seguito del
pagamento di riscatti o di iniziative di diplomazia muscolosa che non
necessariamente hanno implicato l'utilizzo di danari, abbiamo deciso di
portare la questione davanti al Consiglio di Sicurezza, affinché venisse
adottata una risoluzione dal massimo organo esecutivo della comunità
internazionale, con cui si chiede agli Stati interessati di partecipare
al contrasto della pirateria, inviando fregate e comunque dispiegando la
propria forza di terra, di cielo e di mare (credo che si debba proprio
dire, perché non si tratta soltanto di navi) in quella parte del mondo.
In nessuno dei passaggi relativi a questo
esercizio ci si è posti il problema da parte europea di cogliere
l'occasione, come ho cercato di dire ieri in relazione al dibattito sul
modello nazionale di difesa, per tentare di organizzare una presenza
sotto la bandiera dell'Unione europea, cioè di coordinare un comando sul
Corno d'Africa, magari in forma di esperimento, visto e considerato che
il numero di cargo che corrono questo rischio è probabilmente maggiore
all'1 per cento ma si sa che, proprio perché si tratta di pirati molto
selvaggi, per non dire selvatici, soltanto l'1-2 per cento viene
interessato dai loro attacchi; ripeto, si sarebbe potuto tentare di
coordinarsi sotto la bandiera con le 12 stelle e invece si è deciso di
non farlo.
Si è anche accelerato un processo di inclusione,
all'interno di questo tipo di iniziative, della Marina russa e anche
della Marina cinese, con una sorta di distrazione a proposito delle
pratiche che quei due Paesi utilizzano per tutto ciò che attiene alla
lotta alla criminalità, al terrorismo e alla pirateria. Sappiamo che, in
base al diritto consuetudinario e per il fatto che si ritengono i
pirati nemici di chiunque, è lecito utilizzare qualsiasi tipo di mezzo
per debellare la pirateria, ma allo stesso tempo sappiamo che, negli
ultimi quarant'anni, sono stati adottati strumenti di protezione e
promozione dei diritti umani anche nei confronti dei più colpevoli.
Penso ad esempio a chi si è macchiato del crimine di genocidio,
probabilmente il più odioso che sia mai stato codificato. Come dicevo,
dunque, non ci si è posti il problema del tipo di reazione che la Marina
cinese o russa potrebbero avere nei confronti dei pirati.
L'altra questione che non si è voluto prendere
in considerazione, posto che nessuno mette in dubbio la buona fede di
questo esercizio, è che ci si va ad interessare di un Paese, la Somalia,
che all'inizio degli anni Novanta è stato sospeso dall'essere membro
delle Nazioni Unite, in virtù del fatto di non avere un Governo presente
- non dico liberamente e democraticamente espresso da elezioni - che
potesse vantare il controllo di tutto il territorio riconosciuto secondo
il diritto internazionale come Somalia.
Questo non è stato fatto per tutta una serie di
motivi. Innanzitutto, negli anni scorsi, grazie all'insistenza
dell'amministrazione Bush, si è ritenuto che il Corno d'Africa fosse una
delle zone in cui Al Qaeda stava iniziando a prendere sempre più piede:
si tratta di un'area strategicamente molto importante perché non
soltanto da lì passano tutti i traffici di beni e prodotti provenienti
dal Sud-Est asiatico e i due terzi del petrolio che poi viene
distribuito nei mercati occidentali, ma anche perché, se consideriamo
quest'area dal punto di vista della sua collocazione all'interno del
continente africano, è anche vicina ad altre zone in cui sono ancora in
corso dei conflitti. Mi riferisco al Congo, all'Uganda, al Darfur e,
purtroppo, anche ad una parte del Ruanda che confina con il Congo e che
continua ad essere armata malgrado la presenza delle Nazioni Unite e
l'attività dei vari tribunali e corti penali internazionali o
internazionalizzate che da anni esercitano la propria giurisdizione in
quegli ambiti. Si è quindi cercata la soluzione militare rispetto a
quella che avrebbe potuto iniziare ad essere una soluzione politica.
Sappiamo che quando si discute la conversione di
un decreto-legge si può incidere con degli emendamenti e - si spera -
con alcuni argomenti con i quali si contribuisce al dibattito. Non credo
però sia questo il caso di presentare prima degli emendamenti e poi di
intervenire per dieci minuti, che peraltro sto per esaurire. Ho quindi
deciso di presentare a questo disegno di legge l'ordine del giorno G2
che riprende ciò che avevo tentato di sollecitare l'anno scorso quando,
per la prima volta, fu inclusa la partecipazione italiana alle missioni
internazionali in tale ambito e, nello specifico, alla missione
Atalanta. Riprendendo i contenuti dell'ordine del giorno, ricordo che
una parte del territorio della Somalia, quella settentrionale, è
rappresentata dal Somaliland che, contrariamente al resto del Paese, è
riuscito a mantenere un minimo di presenza e di lavoro di istituzioni
nazionali ed un minimo di presenza e di godimento di diritti civili e
politici, con tutte le problematicità che può avere un Paese non
soltanto circondato dal nulla dal punto di vista politico-istituzionale
ma anche fortemente povero. Tale zona, quindi, contrariamente a quanto
ho cercato di affermare in precedenza, e cioè che a questo tipo di
problemi bisognerebbe rispondere politicamente ancor prima che
militarmente, avrebbe potuto essere utilizzata come base di partenza per
alcune navi della flotta internazionale.
Chiedo pertanto al Governo di prendere in considerazione sia la possibilità di sondare i partner
europei più attivi nella lotta alla pirateria, come Germania e Francia,
che hanno già stabilito dei contatti con le autorità - definiamole
anche in questo modo - del Somaliland, sia forme di collaborazione con
il Somaliland nel contrasto efficace alla pirateria e nella ricerca
della stabilizzazione della Somalia, non escludendo l'attenzione
all'esercizio democratico praticato in quella zona. Ricordo, infatti,
che nel mese di novembre il Somaliland eleggerà un presidente ed io
credo che, magari inviando una delegazione informale di parlamentari, si
possano unire i due aspetti della lotta alla pirateria da una parte e
del recupero della stabilizzazione di un Paese come la Somalia
dall'altra, attraverso la promozione di quel minimo di democrazia e di
Stato di diritto che i somalilandesi sono riusciti a mantenere negli
anni. (Applausi dal Gruppo PD).
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