9.19.2012

Mio intervento sulla ratifica ed esecuzione del Protocollo opzionale alla Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura e altri trattamenti o pene crudeli, inumani o degradanti, fatto a New York il 18 dicembre 2002

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Perduca. Ne ha facoltà.

PERDUCA (PD). Signora Presidente, mi collego immediatamente alla conclusione dell'intervento della senatrice Della Monica che, concordo, ha colto uno dei problemi che potranno essere affrontati in maniera diversa quando, anche alla Camera, avranno ratificato questo Protocollo aggiuntivo alla Convenzione sulla tortura, cioè il pianeta carceri.

Non posso concordare, purtroppo, con il suo giudizio positivo del cosiddetto decreto salva carceri, il decreto Severino del 23 dicembre 2011, perché, purtroppo, all'inizio dell'estate soltanto 600 detenuti in meno si trovavano nelle patrie galere rispetto al 2011. Il che vuol dire che, se ha funzionato, e probabilmente ha funzionato, il non fare entrare in carcere chi era stato fermato per motivi di convalida di arresto, allo stesso tempo non ha funzionato il passaggio ai domiciliari per diminuire la presenza e il soprannumero dei detenuti che, lo ricordiamo, invece che essere 43.000 sono, ancora oggi, più vicini ai 67.000.

E su questo trattamento non si esprimono i senatori radicali o i senatori del Gruppo del PD (grazie ai quali, in effetti, si è arrivati alla calendarizzazione velocissima in Aula di questo buon disegno di legge), ma si esprimono, quasi quotidianamente, il Consiglio d'Europa e la Corte europea dei diritti umani, che ritengono essere due i fondamentali problemi per quanto riguarda l'amministrazione della giustizia in Italia: da una parte (e ancora oggi ci è stato detto), l'eccessiva durata dei processi; dall'altra, la sovrappopolazione carceraria.

Il relatore Livi Bacci ha anche delineato quali sono gli altri strumenti legislativi che in queste ore (ed è davvero il caso di usare il termine ore, perché domani mattina parleremo della Corte penale internazionale, e poco fa è stato letto il calendario della prossima settimana, quando affronteremo, finalmente, la codifica del reato di tortura nel nostro codice penale) potranno aprirsi quando avremo ratificato questo Protocollo aggiuntivo, nel senso di consentire a un gruppo di esperti indipendenti, quindi super partes, la possibilità di sopralluogo all'interno di luoghi di reclusione di vario tipo (non soltanto la struttura detentiva, ma anche i centri di immigrazione, di identificazione ed espulsione, e anche le caserme delle nostre forze di polizia).

Se è vero che quello della tortura è uno dei peggiori crimini contro l'umanità, e avremmo voluto consegnarlo alla storia, purtroppo ancora oggi avvengono atti che sono da considerare - e adesso che ci saranno gli strumenti verranno considerati - trattamenti inumani o degradanti nei confronti di individui, portati avanti principalmente e prevalentemente da parte degli organi dello Stato, che è bene vengano posti di fronte alla responsabilità penale individuale che andiamo a codificare.
Molto spesso, nel dibattito avuto relativamente alla tortura, ci viene ricordato che è un altro Stato o un'organizzazione internazionale che ci impongono di arrivare ad includere quel crimine nel nostro codice penale. Ebbene, non è così. L'Italia, liberamente, ha ratificato la Convenzione sulla tortura. L'Italia, 10 anni fa, ha deciso di ratificare anche questo Protocollo addizionale alla Convenzione stessa: si tratta quindi di una scelta del nostro Governo, e si trattava di Governi di colori, oltre che di Repubbliche, diversi. Quindi, noi - intesi come Stato membro delle Nazioni Unite - ci siamo assunti la responsabilità di voler arrivare, se non altro sulla carta, ad aderire ai più alti standard per quanto riguarda l'amministrazione della giustizia, penale in questo caso.

Avendo potuto seguire in Commissione giustizia l'ultima fase del dibattito sulla inclusione della tortura all'interno del codice penale, auspico che vi sia qui altrettanta massima condivisione, e non soltanto dello spirito e della lettera, dei vari provvedimenti che ruotano attorno alla violazione dei diritti umani da parte dello Stato: auspico che, da quando in Italia vi saranno il reato di tortura, la ratifica di questo Protocollo addizionale e l'autorità indipendente sui diritti umani, finalmente si avvii quel percorso - che sarà consentito con la ratifica di tutti questi strumenti - relativamente alle violazione dei diritti umani all'interno dei luoghi in cui non si è liberi o dove non si può essere soccorsi o non si può fuoriuscire da un determinato tipo di controllo, e che si passi ad una serie di modifiche legislative che possano far recuperare il basso tasso di rispetto dei diritti individuali che esiste in Italia. Questo va fatto con un'ampia depenalizzazione e decarcerizzazione.

Purtroppo più volte il ministro Severino ne ha parlato, salvo poi non consentire che né alla Camera, dove in queste ore si sta discutendo, né al Senato, quando si era avviato il dibattito sulla stessa direzione, si iscrivessero nell'agenda della Commissione giustizia dei disegni di legge o si potessero avere sotto gli occhi dei decreti-legge che di vera depenalizzazione parlassero per adottare misure realmente deflattive, e non come il fallimentare decreto del 23 dicembre dell'anno scorso sulla sovrappopolazione carceraria.

Concludo, richiamando anch'io la lettera inviata da oltre 120 tra professori universitari, ma anche esperti di diritto nonché molti garanti dei detenuti d'Italia a giugno scorso al Presidente della Repubblica, volta a ricordare non soltanto quale fosse la gravità della situazione, a lui ben nota, tanto è vero che nel luglio 2011, in un convegno organizzato grazie alla generosa ospitalità del Presidente Schifani qui al Senato, arrivò a dire che vi era una prepotente urgenza di affrontare il problema del sistema carcerario. Poi però, purtroppo, non si è riusciti a facilitare la creazione di un contesto politico favorevole - ahinoi! - né alla depenalizzazione né alla decarcerizzazione, che si continua ad echeggiare in dichiarazioni più fuori che dentro il Parlamento. Ma quel provvedimento dovrebbe essere la prima riforma necessaria per ripartire, alla pari di tutti gli altri Stati membri dell'Unione europea o del Consiglio d'Europa provvisti, almeno sulla carta, dei più alti standard di rispetto dei diritti umani di amministrazione della giustizia, da una amnistia, che, prima ancora che essere per i detenuti o per i magistrati, è per il buon nome della Repubblica italiana. (Applausi della senatrice Poretti).

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