PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Perduca. Ne ha facoltà.
PERDUCA (PD).
Signora Presidente, mi collego immediatamente alla conclusione
dell'intervento della senatrice Della Monica che, concordo, ha colto uno
dei problemi che potranno essere affrontati in maniera diversa quando,
anche alla Camera, avranno ratificato questo Protocollo aggiuntivo alla
Convenzione sulla tortura, cioè il pianeta carceri.
Non posso concordare, purtroppo, con
il suo giudizio positivo del cosiddetto decreto salva carceri, il
decreto Severino del 23 dicembre 2011, perché, purtroppo, all'inizio
dell'estate soltanto 600 detenuti in meno si trovavano nelle patrie
galere rispetto al 2011. Il che vuol dire che, se ha funzionato, e
probabilmente ha funzionato, il non fare entrare in carcere chi era
stato fermato per motivi di convalida di arresto, allo stesso tempo non
ha funzionato il passaggio ai domiciliari per diminuire la presenza e il
soprannumero dei detenuti che, lo ricordiamo, invece che essere 43.000
sono, ancora oggi, più vicini ai 67.000.
E su questo trattamento non si
esprimono i senatori radicali o i senatori del Gruppo del PD (grazie ai
quali, in effetti, si è arrivati alla calendarizzazione velocissima in
Aula di questo buon disegno di legge), ma si esprimono, quasi
quotidianamente, il Consiglio d'Europa e la Corte europea dei diritti
umani, che ritengono essere due i fondamentali problemi per quanto
riguarda l'amministrazione della giustizia in Italia: da una parte (e
ancora oggi ci è stato detto), l'eccessiva durata dei processi;
dall'altra, la sovrappopolazione carceraria.
Il relatore Livi Bacci ha anche
delineato quali sono gli altri strumenti legislativi che in queste ore
(ed è davvero il caso di usare il termine ore, perché domani mattina
parleremo della Corte penale internazionale, e poco fa è stato letto il
calendario della prossima settimana, quando affronteremo, finalmente, la
codifica del reato di tortura nel nostro codice penale) potranno
aprirsi quando avremo ratificato questo Protocollo aggiuntivo, nel senso
di consentire a un gruppo di esperti indipendenti, quindi super partes,
la possibilità di sopralluogo all'interno di luoghi di reclusione di
vario tipo (non soltanto la struttura detentiva, ma anche i centri di
immigrazione, di identificazione ed espulsione, e anche le caserme delle
nostre forze di polizia).
Se è vero che quello della tortura è uno dei
peggiori crimini contro l'umanità, e avremmo voluto consegnarlo alla
storia, purtroppo ancora oggi avvengono atti che sono da considerare - e
adesso che ci saranno gli strumenti verranno considerati - trattamenti
inumani o degradanti nei confronti di individui, portati avanti
principalmente e prevalentemente da parte degli organi dello Stato, che è
bene vengano posti di fronte alla responsabilità penale individuale
che andiamo a codificare.
Molto spesso, nel dibattito avuto relativamente
alla tortura, ci viene ricordato che è un altro Stato o
un'organizzazione internazionale che ci impongono di arrivare ad
includere quel crimine nel nostro codice penale. Ebbene, non è così.
L'Italia, liberamente, ha ratificato la Convenzione sulla tortura.
L'Italia, 10 anni fa, ha deciso di ratificare anche questo Protocollo
addizionale alla Convenzione stessa: si tratta quindi di una scelta del
nostro Governo, e si trattava di Governi di colori, oltre che di
Repubbliche, diversi. Quindi, noi - intesi come Stato membro delle
Nazioni Unite - ci siamo assunti la responsabilità di voler arrivare, se
non altro sulla carta, ad aderire ai più alti standard per quanto riguarda l'amministrazione della giustizia, penale in questo caso.
Avendo potuto seguire in Commissione giustizia
l'ultima fase del dibattito sulla inclusione della tortura all'interno
del codice penale, auspico che vi sia qui altrettanta massima
condivisione, e non soltanto dello spirito e della lettera, dei vari
provvedimenti che ruotano attorno alla violazione dei diritti umani da
parte dello Stato: auspico che, da quando in Italia vi saranno il reato
di tortura, la ratifica di questo Protocollo addizionale e l'autorità
indipendente sui diritti umani, finalmente si avvii quel percorso - che
sarà consentito con la ratifica di tutti questi strumenti -
relativamente alle violazione dei diritti umani all'interno dei luoghi
in cui non si è liberi o dove non si può essere soccorsi o non si può
fuoriuscire da un determinato tipo di controllo, e che si passi ad una
serie di modifiche legislative che possano far recuperare il basso tasso
di rispetto dei diritti individuali che esiste in Italia. Questo va
fatto con un'ampia depenalizzazione e decarcerizzazione.
Purtroppo più volte il ministro Severino ne ha
parlato, salvo poi non consentire che né alla Camera, dove in queste ore
si sta discutendo, né al Senato, quando si era avviato il dibattito
sulla stessa direzione, si iscrivessero nell'agenda della Commissione
giustizia dei disegni di legge o si potessero avere sotto gli occhi dei
decreti-legge che di vera depenalizzazione parlassero per adottare
misure realmente deflattive, e non come il fallimentare decreto del 23
dicembre dell'anno scorso sulla sovrappopolazione carceraria.
Concludo, richiamando anch'io la lettera inviata
da oltre 120 tra professori universitari, ma anche esperti di diritto
nonché molti garanti dei detenuti d'Italia a giugno scorso al Presidente
della Repubblica, volta a ricordare non soltanto quale fosse la gravità
della situazione, a lui ben nota, tanto è vero che nel luglio 2011, in
un convegno organizzato grazie alla generosa ospitalità del Presidente
Schifani qui al Senato, arrivò a dire che vi era una prepotente urgenza
di affrontare il problema del sistema carcerario. Poi però, purtroppo,
non si è riusciti a facilitare la creazione di un contesto politico
favorevole - ahinoi! - né alla depenalizzazione né alla
decarcerizzazione, che si continua ad echeggiare in dichiarazioni più
fuori che dentro il Parlamento. Ma quel provvedimento dovrebbe essere la
prima riforma necessaria per ripartire, alla pari di tutti gli altri
Stati membri dell'Unione europea o del Consiglio d'Europa provvisti,
almeno sulla carta, dei più alti standard di rispetto dei diritti
umani di amministrazione della giustizia, da una amnistia, che, prima
ancora che essere per i detenuti o per i magistrati, è per il buon nome
della Repubblica italiana. (Applausi della senatrice Poretti).
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