Svolgimento dell'interpellanza n. 505 con procedimento abbreviato, ai sensi dell'articolo 156-bis del Regolamento, e delle connesse interpellanza n. 503 e interrogazione n. 3021 (ore 12,06)
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca lo svolgimento dell'interpellanza 2-00505 con procedimento abbreviato, ai sensi dell'articolo 156-bis del Regolamento, e delle connesse interpellanza 2-00503 e interrogazione 3-03021 (già 4-08044).
Come stabilito dalla Conferenza dei Capigruppo,
in relazione alla rilevanza del tema trattato, dopo la risposta
congiunta agli atti di sindacato ispettivo, per la replica verrà data la
parola, oltre ai proponenti, anche ai rappresentanti dei Gruppi
parlamentari che non hanno presentato documenti sullo stesso argomento.
Ha facoltà di parlare il senatore Perduca per illustrare l'interpellanza n. 505.
PERDUCA (PD).
Signor Presidente, desidero innanzi tutto iniziare il mio intervento
ringraziando gli oltre 60 senatori che hanno voluto sottoscrivere
l'interpellanza in oggetto, attivando in questo modo - come lei ha
ricordato poco fa - l'articolo 156-bis del nostro Regolamento, che la rende urgente.
L'interpellanza è quindi stata fatta propria dal 20 per cento... (Brusìo).
PRESIDENTE.
Colleghi, vogliamo dare un minimo di compostezza e dignità a questo
lavoro? Si tratta di un'interpellanza sulla Siria e su Assad, tanto per
richiamare l'attenzione su quanto si discute.
PERDUCA (PD).
La ringrazio, signor Presidente: come ha appena detto lei, infatti, si
tratta di un'interpellanza che ha al centro Bashar al-Assad, Presidente
della Siria (probabilmente ancora per poche ore). Sono 61 i senatori di
tutti i Gruppi - tranne uno, ma solo per motivi tecnici - che l'hanno
sottoscritta, ma ho poi continuato a ricevere sottoscrizioni anche
quando il documento ormai era già stato presentato. Ringrazio pertanto
tutti coloro i quali, in maniera veramente molto convinta e sincera,
hanno voluto sottoscrivere quest'interpellanza.
L'11 marzo 2010 è stata conferita al
Presidente siriano Bashar al-Assad l'onorificenza di Cavaliere di gran
croce decorato di gran cordone dell'Ordine al merito della Repubblica
italiana. Si tratta di una legge istituita il 3 marzo 1951, la n. 178,
la quale prevede che gli ordini nazionali possano essere destinati a
ricompensare benemerenze acquisite verso la Nazione nel campo delle
lettere, delle arti, dell'economia e nel disimpegno di pubbliche cariche
e di attività svolte a fini sociali, filantropici ed umanitari, nonché
per lunghi e segnalati servizi nelle carriere civili e militari.
Come sappiamo, dalla primavera del
2011, in Siria - proprio come in Tunisia, in Egitto, in Libia, in Yemen
ed in Barhein - si è verificata una serie di moti di resistenza civile,
non violenta, nei confronti di regimi brutali, autoritari e dittatoriali
che per decenni hanno calpestato i diritti civili ed umani di milioni
di persone. In Siria - com'è avvenuto in Tunisia - queste manifestazioni
sono state caratterizzate dalla quotidiana pratica della non violenza:
abbiamo voluto ricordarlo all'inizio della nostra interpellanza, perché
siamo convinti che essa sia il migliore dei modi per opporsi alla
dittatura, all'autorità ed alle sistematiche e brutali violazioni dei
diritti umani, ma soprattutto perché è lo strumento grazie al quale,
avvenuta la transizione verso un nuovo contesto, è più facile creare
istituzioni democratiche.
Le parole d'ordine dei militanti
della primavera siriana del 2011, infatti, erano libertà, diritti umani e
democrazia. Tutti i venerdì essi si ritrovavano nella Moschea, non
perché particolarmente religiosi - dato che la Siria è un Paese molto
laico - ma perché lì la Polizia e l'esercito non sarebbero entrati per
disperdere chi si aggregava per chiedere appunto il rispetto non tanto
di una legalità inesistente in quale Paese, quanto piuttosto dei
principi che negli ultimi cinquant'anni la comunità internazionale ha
elaborato e codificato in trattati che hanno a che fare con diritti
umani che, per l'appunto, vorremmo definire universali.
Dopo un paio di mesi, in cui le
autorità siriane sono state prese alla sprovvista da questa
mobilitazione spontanea non violenta, è iniziata una brutale
repressione, che alcune organizzazioni - gli ultimi dati sono quelli
diffusi da Amnesty International e Human Rights Watch - ritengono abbia causato quasi 15.000 vittime civili solo nell'ultimo anno.
Altre organizzazioni, come l'Osservatorio
siriano per i diritti umani, che ha sede a Londra, ritengono che si sia
andati oltre le 20.000 persone.
Oltre 1,5 milioni sono i siriani che non vivono
più a casa loro. Al confine tra Turchia e Siria si sono creati territori
occupati da rifugiati che sono vere e proprie città, a volte anche di
60.000 persone.
I maggiori analisti internazionali, nelle ultime
ore, parlano non soltanto e non più, purtroppo, di una guerra civile
interna, ma di un vero e proprio conflitto per procura: da una parte,
gli alleati storici della Siria, e cioè Teheran, con il tentacolo di
Hezbollah, il Partito di Dio attivo in Libano ma che da sempre aveva
utilizzato Damasco come base per organizzare le proprie operazioni, e,
dall'altra, l'Arabia Saudita e il Qatar, che non direttamente ma
indirettamente, con finanziamenti e sostegno di vario genere, hanno
armato quello che nei mesi sarebbe diventato l'Esercito della Siria
libera.
E poi, c'è la battaglia diplomatica avvenuta, o
meglio non avvenuta in Consiglio di sicurezza, tra Russia in particolare
e Cina da una parte, e Stati Uniti, Francia e Gran Bretagna dall'altra.
Questi hanno bloccato i lavori del Consiglio di sicurezza in maniera
talmente eclatante che l'Assemblea generale dell'ONU, venerdì della
settimana scorsa, ha adottato una risoluzione che deplora e biasima tale
paralisi del Consiglio di sicurezza. Una risoluzione adottata a
maggioranza, con 133 Paesi a favore, una dozzina - i soliti noti: oltre
naturalmente alla Siria, Russia, Cina, Venezuela e Corea del Nord - che
hanno votato contro e una trentina di Paesi che si sono astenuti.
L'Italia in tutto questo, malgrado l'onorificenza, ha tenuto un comportamento in linea con i partner europei e con i partner
membri della Nato. È stata tra i primi a ritirare i propri
ambasciatori, lasciando un incaricato d'affari perché naturalmente
continuano ad essere presenti interessi italiani in Siria, ha espulso i
diplomatici siriani, ha fatto sì che all'interno dell'Unione europea
venissero adottate sanzioni economiche nei confronti della Siria, e,
all'interno dell'ONU, si è schierata con coloro che volevano si andasse
ben oltre una denuncia, sia della violenza della repressione del regime,
sia delle infiltrazioni terroristiche nella parte degli insorti.
L'Italia però - e questo, ahimè, è valido per quanto riguarda Ben Alì, Gheddafi, Mubarak, la leadership
yemenita e quindi anche Assad - negli ultimi trent'anni non si è
distinta in alcun modo possibile all'interno della comunità
euromediterranea per prendere le distanze al momento dovuto da questi
regimi autoritari, mantenendo nella stragrande maggioranza dei casi un
rapporto di buon vicinato, in alcuni casi sviluppando un rapporto
economico e culturale di rilievo e, nel caso di Gheddafi, stringendo
vere e proprie alleanze, sia per motivi di approvvigionamento energetico
sia per "il controllo" delle migrazioni internazionali.
Occorre quindi trarre almeno tre lezioni da
quello che stiamo discutendo oggi: la prima, è quella di essere
cautissimi - sottolineo cautissimi - ogni qual volta si onora un Capo di
Stato straniero con le massime onorificenze nazionali, perché comunque
si sa - e le notizie girano con grande velocità - non soltanto che essi
sono i legali rappresentanti all'interno dell'ONU, ma che molto spesso
essi non possono essere considerati legittimi rappresentanti del proprio
popolo di fronte alla comunità internazionale: Assad, proprio come
Gheddafi, Ben Alì e Mubarak, era uno di questi.
Occorre quindi guardare al futuro rivedendo i
nostri rapporti con molti di questi autocrati, anche in contesti in cui
esiste una parvenza di gioco democratico, e la Siria fa venire
immediatamente in mente la Russia di oggi, proprio quella Russia che ha
bloccato per due volte il passaggio di risoluzioni importanti al
Consiglio di sicurezza.
C'è poi l'aspetto relativo al diritto
internazionale, in particolare al diritto penale internazionale.
Sappiamo che almeno in due casi, nel 2005 e nel 2011, il Consiglio di
sicurezza ha interessato il procuratore della Corte penale
internazionale di due situazioni relative a due Paesi che non
riconoscono lo Statuto di Roma perché, non soltanto non l'hanno firmato,
ma se è possibile, quando si era in fase di sua definizione - e ne
abbiamo festeggiato il 17 luglio scorso il suo 14º anniversario - lo
hanno osteggiato.
Anche nelle bozze di risoluzione presentate a
New York nei mesi scorsi occorreva essere chiari nella richiesta di
un'indagine sulle massime responsabilità politiche per quelle che Ban
Ki-Moon, Kofi Annan, Navi Pillay e molto Ministri degli esteri, il
ministro Terzi incluso, hanno considerato essere violazioni massicce e
sistematiche del diritto umanitario internazionale, cioè veri e propri
crimini contro l'umanità contro un popolo inerme.
La terza lezione che credo occorra trarre da
questa vicenda è quella di non silenziare i militanti non violenti. Nel
maggio dell'anno scorso Haytam Manna, leader dell'opposizione
nonviolenta, figlio di padre comunista, socialista che da anni vive tra
Parigi e Londra venne a Roma per manifestare davanti all'ambasciata
siriana. In quell'occasione si tenne una lunga conferenza stampa insieme
a Marco Pannella e al Partito Radicale, per capire la qualità di quella
opposizione che era vera e propria resistenza non violenta nei
confronti del regime di Assad. Ecco, di quei moti non violenti, che non
sono pacifisti (perché questi ultimi molto spesso tendono a mantenere lostatus quo
mentre qui si voleva sovvertire un regime, dando ai siriani la parola
per poter scegliere il proprio nuovo, quella nonviolenza è stata
silenziata dalla stampa italiana in quell'occasione e ha continuato ad
esserlo in tutto il mondo nei mesi successivi.
Occorre quindi essere pronti a
sostenere economicamente, ma ancor di più diplomaticamente e
politicamente i militanti non violenti che in tutto il mondo chiedono il
rispetto dei diritti civili e umani codificati.
Ora, l'articolo 5 della legge n. 178 del 1951
recita: «Salve le disposizioni della legge penale, incorre nella perdita
dell'onorificenza l'insignito che se ne renda indegno. La revoca è
pronunciata con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta
motivata del Presidente del Consiglio dei Ministri, sentito il Consiglio
dell'Ordine». Ecco, le decine di migliaia di persone morte in questi
mesi e quelle che in questi minuti stanno subendo bombardamenti,
talvolta anche ad opera di armi non convenzionali, come le bombe a
grappolo, credo meritino questo gesto simbolico da parte del nostro
Paese.
Chiediamo quindi che vengano revocate queste
onorificenze e che si possa finalmente riprendere il cammino verso una
ricerca politica, non più diplomatica e sicuramente non militare del
conflitto interno in Siria. (Applausi dal Gruppo PD e del senatore Amato).
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