7.22.2012

Quando l'"informazione libera" silenzia la nonviolenza

Domenica 22 luglio, sull'Unità Umberto De Giovannangeli intervista Haytham Manna scrittore siriano, portavoce della Commissione araba per i Diritti umani e presidente del Consiglio di coordinamento nazionale, una delle principali formazioni dell'opposizione in Siria, il quale afferma che "il primo risultato negativo dell'uso delle armi è stato quello di minare l'ampio supporto popolare necessario per trasformare la rivolta siriana in una rivoluzione democratica. Esso ha reso molto più difficile integrare posizioni in reciproca  competizione - rurali-urbane, laiche-islamiste, vecchia opposizione-gioventù rivoluzionaria. Il ricorso alle armi ha dato vita a gruppi frammentati che non hanno alcun programma politico".

Nel maggio dell'anno scorso, dopo aver gridato a squarciagola per oltre un'ora "libertà, democrazia, nonviolenza" e "Assad assassino" davanti all'Ambasciata siriana a Roma assieme a Marco Pannella, Manna nel corso di una conferenza stampa al Partito Radicale approfondì, sorvolando sugli aspetti tecnico-tecnologici, gli aspetti genuinamente nonviolenti dell'inizio della mobilitazione anti-regime in Siria. Da intellettuale figlio di dissidente politico, il padre comunista fu condannato a morte, e poi graziato, da Hafiz al-Asad, mise però in guarda la comunità' internazionale ricordando come la laicità dell'opposizione poteva esser in qualche modo garantita solo se si perseguivano gli obiettivi delle rivolte pacifiche colla nonviolenza concordando quindi con Pannella che da anni sostiene che essa concorre pienamente a prefigurare i fini. A quella saggezza purtroppo si è risposto colla solita realpolitik per cui i fini (cacciare Assad) giustificano i mezzi (creare un'armata anti-regime). Così è stato e in queste ore stiamo assistendo a un'escalation di violenze in tutta la Siria.

Manna denuncia inoltre a Di Giovannangeli che la Turchia, che dall'inizio della crisi s'è accollata migliaia di rifugiati senza molta preoccupazione occidentale, abbia addestrato "dissidenti armati sul suo territorio e uno di questi gruppi si è organizzato nell'Esercito Siriano Libero sotto la supervisione dell'intelligence militare turca". Molto attivi in campo bellico son stati anche i servizi segreti sauditi nonché gli emissari qatarini che non hanno lesinato sostegni economico-finanziari al cosiddetto 'Esercito Libero'. Pochi escludono la presenza dell'intelligence britannica, francese e degli USA nelle zone più calde del conflitto. Manna afferma infine, molto preoccupato, che però, al di là del nome seducente dell'esercito "non c'è alcun coordinamento né armonia politica organizzata" dietro a tutto ciò. Questo sarà un grosso problema quando il tempo di Assad sarà in effetti finito e Bashar sarà ucciso, come Gheddafi, oppure verrà ospitato in una Dacia russa senza che vi sia stato il benché minimo interessamento della Corte Penale Internazionale con successive indagini per costruire un preciso atto d'accusa sulle puntuali e distribuite responsabilità politiche della repressione siriana degli utili 15 mesi.

Il silenziamento della nonviolenza e dei nonviolenti è concausa dello sconfinamento nella violenza che genera i nuovi "mostri" nazionalisti, fondamentalisti anti-democratici. In alcuni casi, come quando gli si preferisce la piazza pacifista, si arriva a forme di vera e propria connivenza coi peggiori regimi del mondo. Del Dalai Lama, per esempio, si discute solo quando gli viene negata una cittadinanza onoraria, ma nessuno ricorda come grazie alla sua nonviolenza strutturale in 50 anni i tibetani siano usciti da un'organizzazione sociale tribale e pratichino oggi una democrazia basata sullo stato di diritto. Nessuno ricorda più le marce dei monaci buddisti birmani represse nel sangue nell'estate del 2007 che resero noto al mondo il vero carattere del regime di quella giunta militare che teneva Aung San Suu Kyi, un'altra nonviolenta, incarcerata arbitrariamente da anni. E chi conosce la nonviolenza nigeriana del leader degli ogoni Ken Saro-Wiwa ucciso per le sue campagna ambientaliste? oppure quella del tataro di Crimea Mustafa Dzhemilev? Nessuno ha poi mai voluto indagare a fondo le dichiarazioni di Umar Khambiev, già membro del Consiglio generale del Partito Radicale, che nel Natale del 2004 affermò di esser riuscito a convincere Aslan Maskhadov a passare alla lotta nonviolenta proprio mentre la repressione russa contro la dissidenza cecena si faceva sempre più violenta tanto da ucciderne il capo nel marzo 2005. Chi scrive di come i popoli indigeni degli altopiani centrali del Vietnam resistano alle persecuzioni di Hanoi opponendosi con massicce campagne di resistenza passiva praticando la cristianità al di fuori dalla legge? oppure chi conosce i Khmer Krom, 12 milioni di persone che vivono sul delta del Mekong e che, anche loro grazie alla fede buddista, cercano di mantenere intatta la loro identità e tradizioni contro le prepotenze cambogiane e del Vietnam, che in questi giorni non vuole che l'Onu li riconosca come ong? Probabilmente solo chi segue le vicende del Partito Radicale ascoltandole su Radio Radicale - altra voce sempre a rischio di silenziamento.

Khambiev, medico ceceno che nei primi anni '90 operava senza anestesia a "mani nude" durante i bombardamenti di Grozny, nel presentarsi ai Radicali una dozzina di anni fa affermò che se in Italia ci fosse la libertà di informazione probabilmente anche i ceceni sarebbero stati meglio. Ecco, in tutto questo dibattito sul "bavaglio alla libera informazione" che occuperà l'estate italiana una riflessione su quelle parole potrebbe aiutare ad affrontare laicamente anche molti dei problemi delle varie botteghe italiche.

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