5.16.2012

Intervento in aula sull'accordo commerciale UE e Marocco

PERDUCA (PD). Signora Presidente, premetto una nota personale: io sono vegetariano, prevalentemente vegano, e quindi "frequento" con una certa assiduità frutta e verdura; premetto anche di avere un salario al di sopra della media nazionale, anzi spropositatamente al di sopra della media nazionale.

Ricordo che in passato, quando entrava sul mercato un nuovo prodotto e si abbassavano i prezzi, gioiva la gente che non aveva il mio salario ma un salario più basso. Sembra di capire che invece oggi questo meccanismo non funzioni più, sia perché i prodotti che arrivano sono di qualità scadente (poi affronteremo nel merito il motivo), sia perché il problema è rappresentato dai produttori e non dai consumatori. Credo che in un momento di crisi anche questo ragionamento debba essere portato avanti con una serie di distinguo.
Inoltre, sarei curioso di sapere chi sono e a quali partiti appartengono i 369 eurodeputati che hanno votato a favore di tale Accordo. Infatti, tutte le voci dell'odierno dibattito, ivi comprese le illustrazioni, si sono dichiarate ad esso contrarie.
Nessuna di queste voci, però, ha evidenziato i due o tre aspetti che avrebbero contribuito ad approfondire il dibattito. Innanzitutto, quante volte in passato (considerato che fortunatamente i rapporti commerciali con il Marocco non sono iniziati quest'anno, ma vanno avanti da decenni) la Commissione europea ha rilevato infrazioni relativamente alla qualità dei prodotti e al rispetto dei dazi e delle imposte? La risposta è che la Commissione europea ritiene che il Marocco si comporti come mediamente fanno tutti gli Stati dell'Unione europea. Quindi, ciò significa che alcuni fanno molto peggio del Marocco.

In secondo luogo, di quanto stiamo parlando? Stiamo parlando di qualcosa che nel «mercato del fresco» (ho imparato che si deve definire così) rappresenta il 3 per cento di ciò che noi troviamo all'interno dell'Unione europea. Sembra che l'ortaggio incriminato sia il pomodoro. Ebbene, questo benedetto o maledetto pomodoro non riuscirebbe neanche in Francia (il mercato verso il quale prevalentemente il Marocco esporta è quello francese), dove si legge che la produzione nazionale è pari a 646.000 tonnellate all'anno, ad andare incontro ad una domanda di oltre 950.000 tonnellate di pomodoro fresco.

Io credo che ci siano le premesse per andare a fare un accordo commerciale con l'unico Paese che non è stato interessato dalla Primavera araba perché non ne aveva bisogno; ricordo, tra l'altro, che nel 1987 il re Hassan II chiese che il Marocco divenisse Stato membro della Comunità europea, mostrandosi avanti di 25 anni rispetto a molti altri che ancora oggi vogliono entrare nel nostro spazio comune. Gli fu risposto negativamente, perché il Trattato di Roma prevedeva una presenza geografica prevalentemente riconducibile all'Europa storico-politica e, quindi, si tenne fuori il Marocco. Nel frattempo, però, il Marocco non ha come risposta creato delle istituzioni non democratiche o addirittura antidemocratiche, bensì ha sviluppato un suo Stato di diritto e, forse grazie al fatto di essere una monarchia costituzionale, una Costituzione ulteriormente riformata di recente che ha consentito un'alternanza di Governo, applicando delle leggi che sono riconosciute dalla Commissione europea perfettamente in linea con la normativa necessaria per poi entrare in contatto con gli Stati membri dell'Unione europea.
È vero che quando si fanno questi grandi accordi, chiaramente, il piccolo e il medio produttore ne potranno risentire, ma non è automaticamente vero che la grande distribuzione o il grande produttore vadano ad escludere il piccolo e medio produttore, come avviene in Italia, quando si dovrà aumentare a dismisura un'esportazione nei confronti dell'Unione, che comunque esporta verso il Marocco quasi il doppio di quello che importa. Questo accadeva prima dell'accordo commerciale. Ricordo che stiamo parlando di un settore che caratterizza buona parte dell'economia italiana e, come è stato ricordato, avrebbe bisogno di normative e di politiche diverse, ma non di un procrastinare e di una sorta di versione italiana della politica agricola comune (PAC), che ha creato una serie di situazioni simili a quelle che hanno tenuto in vita industrie italiane decotte, grazie a degli aiuti di Stato, che le hanno cancellate tutte dal mercato mondiale. Questo credo sia l'ABC - visto che oggi va tanto di moda utilizzare le prime tre lettere dell'alfabeto - dell'economia, che in qualche modo smentisce queste grida di invasione del nostro mercato con i prodotti che vengono da altrove.

Il caso del Marocco, che ha connotati più in regola di altri Paesi del Nord-Africa, potrebbe essere ripetuto per tanti altri Paesi. Ad esempio, la Tunisia migliorerà, di sicuro miglioreranno i nostri rapporti nei suoi confronti e si spera che anche con la Tunisia si vada a firmare un accordo che in parte possa replicare alcune delle caratteristiche di questo con il Marocco, ed estendersi magari ad altri Paesi, come l'Egitto o con l'Africa sub-sahariana. Questo perché, continuando a chiuderci, purtroppo, devo dire, sotto tutti i punti di vista, al progresso o allo sviluppo umano nel resto del mondo, consentendo loro di produrre alcune cose che hanno un basso tasso di innovazione e di investimento, seppur nell'industria agroalimentare - e comunque anch'esse sono necessarie - noi costringiamo questi disgraziati a dover scappare da zone dove non c'è né lavoro né tanto meno, mercato interno e a venire a casa nostra. Tutto questo con leggi che il Governo Berlusconi ha previsto fin dall'inizio della sua iniziativa sulle tematiche dell'immigrazione, leggi che addirittura sono arrivate a criminalizzare coloro che sono sul suolo patrio senza un necessario permesso di soggiorno.

Queste persone che non hanno un permesso di soggiorno, dove vanno a finire? Ricordo che queste persone ci sono: noi abbiamo mezzo milione di persone che non hanno una regolarizzazione, pur essendo presenti e lavorando. Vanno a lavorare nel settore agroalimentare, e prevalentemente nel settore delle costruzioni e, quindi, non soltanto vengono sfruttate, non soltanto contribuiscono ad un ulteriore mercato sleale all'interno del nostro Paese, ma vanno contro tutte le raccomandazioni che sono state fatte dalle associazioni di categoria e che vengono molto spesso articolate nelle premesse di queste mozioni, che dovrebbero avere come primo problema il rispetto della legge.

Noi sappiamo che in Italia non esiste la certezza del diritto e non esiste purtroppo lo Stato di diritto democratico. Mi soffermo allora sulla richiesta di un impegno al Governo affinché questo duplichi - perché se oggi non lo stesse facendo avrebbero dovuto esserci decine di denunce nei mesi scorsi - le iniziative che già avvengono normalmente sul controllo della qualità e, soprattutto, sulla richiesta di stringente attenzione a che i nostri dazi vengano sollevati, imponendoli ad altri. È questo che infatti tale Accordo prevede. Chiaramente, quando esportiamo, noi vogliamo che non ci siano le tasse, mentre quando si importa chiaramente si vanno a imporre. Se bisogna trovare un ulteriore accordo, io non mi unirò minimamente a questo. Non perché io abbia scoperto l'acqua calda o detto delle verità con la V maiuscola, ma perché esiste da sempre un rapporto bilaterale con il Marocco che è invidiabile rispetto a quelli stipulati con molti altri Paesi (anche di altre parti dell'Europa), e ritengo che occorra riprendere in considerazione questi testi nella ridiscussione di alcune parti (e, magari, non sarebbe male coinvolgere anche la Commissione esteri). Non si renderebbe, infatti, un buon servizio né alla nostra economia, intesa come le esigenze dei consumatori in un momento di crisi, né ai rapporti bilaterali con il Marocco, e tanto meno allo Stato di diritto che, purtroppo, sappiamo non essere la nostra migliore carta di presentazione in Europa. (Applausi del senatore Amato).

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