Non so quanto facciate caso a chi popoli i luoghi pubblici che vi trovate a frequentare per scelta o per caso.
Da un mesetto sotto casa mia, che è sopra una piccola palestra gestita da un argentino co-adiuvato da un ungherese e un paio di calabresi e siciliani e dove il personal trainer è cubano, il baretto di quartiere è stato rilevato da due fratelli albanesi.
Stamani la gentile clientela, che più o meno incrocio alle ore più disparate, mixava i cuochi egiziani dei ristoranti circostanti coi camerieri cingalesi e tunisini e le commesse russe e moldave dei negozietti che vendono di tutto a chi passa a qualche reduce della trastevere storica, un paio di signore della Roma Bo-Bo pronte allo shopping natalizione e qualche turista di passaggio.
Sul megrascreen passava (purtroppo) musica italiana, e se non fosse che tutti concordassero che non esiste migliore colazione che un cappuccio e cornetto, si sarebbe potuti essere in uno di quei non-luoghi in cui, e lo dico senza critica, ci troviamo a interagire pressoché quotidianamente.
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