5.14.2007

Le enclosures digitali del capitalismo

Da anni Lawrence Lessig gira il mondo, da liberale classico, "predicando" la necessità di rendere meno alte e impenentrabili le enclosures del capitalismo digitale, perché solo la garanzia di un "dominio pubblico" potrà far evolvere la società dell'informazione nella società della conoscenza e dell'innovazione e quindi del progresso.

Al centro di questo dibattito, che continua a restare di totale appannaggio tecnico, con rare eccezioni (la Rosa nel Pugno aveva sollevato una decina di questioni relative alla e-democracy nei suoi 31 punti di Fiuggi), la questione delle cosiddette proprietà intellettuali e i grandi conglomerati economici che dicono di fondare il proprio tasso di sviluppo e innovazione sui brevetti.

Capofila di questa che si caratterizza sempre di più come una guerra tra avvocati, volta spesso a limitare la libertà - a tutto tondo - dei propri concorrenti, Microsoft che recentemente ha denunciato il fatto che il mondo del free e open software viola quasi 300 dei suoi brevetti. Dalla Microsoft fanno sapere che esistendo delle regole bisogna partecipare al gioco rispettandole, hanno ragione solo che quelle regole vanno cambiate perché limitano la libertà di ricerca e di sviluppo delle tecnologie digitali creando le condizioni economiche per la "sopravvivenza" solo degli oligarchi che, col proprio potere di sostegno alla politica, ne indirizzano anche le scelte.

Nell'era digitale appaiono sempre più evidenti le distanze tra capitalismo e liberismo...

4 comments:

NicPic said...

Conosco abbastanza da vicino il mondo del software da poter dire che il modello open source è effettivamente in grado di sostituire, almeno in parte, il vecchio modello basato sulla proprietà intellettuale, sui brevetti e sulle licenze, insomma il modello che ha fatto ricco Mr Bill. E dall'articolo che tu segnali non sembra che le minacce dei legali di Microsoft per patent infringement siano poi così credibili. Ma il software ha caratteristiche peculiari che lo rendono diverso da altri settori industriali, come ad esempio quello delle biotecnologie, la farmaceutica, le nanotecnologie, la microelettronica, dove la semplice creazione di una "rete" collaborativa di cervelli in tutto il mondo non sarebbe sufficiente di per se per ottenere risultati apprezzabili dal punto di vista innovativo, perchè in quel caso i fattori critici sono le attrezzature, i laboratori, i processi produttivi, in due parole: i capitali. Non voglio dire che non vi sia qualcosa di immorale nell'approccio delle case farmaceutiche che pretendono di tenere alti i prezzi dei propri farmaci anche per i paesi in via di sviluppo, dico solo che un approccio meramente teso ad eliminare i brevetti (e quindi la titolarità esclusiva dei diritti di sfruttamento di certe invenzioni) nei settori a maggiore intensità di investimento potrebbe effettivamente portare ad una caduta nell'output di quelle industrie. Però forse ridurre il periodo di sfruttamento dei brevetti o limitarne l'applicabilità può servire a rendere il meccanismo più socialmente virtuoso.

Anonymous said...

Stuprata tutta la notte e abbandonata sull'A1. Sedia elettrica per Caino!

perdukistan said...

bravo nicpic ha finito in bellezza ;)

perdukistan said...

intanto quel maialone di d'elia ne ha fatta un'altra.

MANDATO UNANIME PER RISOLUZIONE ONU (2)=
(AGI) - Bruxelles, 14 mag. - L'Iniziativa da italiana diventa
europea e D'alema se ne compiace non poco: "Ci fa piacere poter
dire che e un'iniziativa di tutti", dice nella conferenza
stampa al termine della riunione mensile dei ministri degli
esteri dell'UE. Ora riprende il lavoro, e "l'Italia insieme
alla Presidenza tedesca assume in concreto l'iniziativa. Si
tratta di stendere la risoluzione e raccogliere dei cosponsor.
Vale a dire fare in modo che un gruppo di paesi possa essere
promotore insieme all'Italia ed all'UE". Alcuni gia ci sono:
"Brasile, Sudafrica, Nuova Zelanda. Ma sappiamo - sono ancora
le parole del ministro - che ce ne sono anche altri"