Alle volte mi domando chi è che vive in questo (o quel) mondo... Qui sotto due lettere dal Foglio di oggi.
Al direttore - Ho seguito con interesse la trasmissione di Otto e mezzo su “Le grandi stragi americane” e mi sono trovata sempre più d’accordo con lei per aver posto la domanda secca: l’accadere di eventi come quello degli omicidi in serie nel campus della Virginia e il loro aumento negli ultimi trent’anni sono segno o no della confusione apocalittica che stiamo vivendo? Mi è piaciuto come lei ha incalzato i suoi un bel po’ recalcitranti ancorché molto interessanti interlocutori. Poi purtroppo il discorso è finito (e tanto più finirà negli Stati Uniti) su armi sì, armi no… Sarà perché nell’attuale versione del vecchio dilemma tra apocalittici e integrati parteggio per i primi: per lo meno si interrogano sull’insensato del presente, sullo svuotamento simbolico che appesantisce lo spirito del tempo. Forse per questo non mi ha stupito che lei abbia citato l’aborto (la massa degli aborti pubblici e “visibili”, intendo) tra le cause cui addebitare la confusione apocalittica di cui sopra, che non credo equivalga a imminente fine-di-mondo, semmai a deperimento – quanto lento o veloce non so – del mondo occidentale. Penso però che l’aborto (reso pubblico, ripeto) sia un epifenomeno del sommovimento profondo all’origine dei fatidici ultimi trent’anni, del fatto che precede l’attuale tremore e languore: le donne hanno revocato il loro appoggio agli uomini. Appoggio simbolico, naturalmente, e tanto potente da avvolgerci e coinvolgerci come donne e come uomini.
Roberta Tatafiore, Roma
Al direttore - Riguardo la strage americana ha ragione lei. C’è aria da fine dei tempi, e c’è puzza di morte in giro: non è politicamente corretto fare le Cassandre, ma un miliardo di aborti in venti anni non è aria fresca. L’indifferenza all’aborto legalizzato a cui ci ha abituato il silenzio su questo argomento – perché dopo che si approva la legge per legalizzarlo non se ne parla più – ha preparato il terreno a cose ancora peggiori. Mi riferisco all’asetticità con cui chissà quante centinaia di migliaia di embrioni fabbricati in laboratorio vengono fatti fuori tutti i giorni, con strumenti sofisticatissimi, all’avanguardia – non certo con le pistole in vendita nelle armerie americane – vivisezionati sotto le lenti di costosi microscopi. Probabilmente gli scienziati in camice bianco li mettono in fila, in qualche modo – proprio come ha fatto il ragazzo coreano con gli studenti prima di ucciderli – e poi li vivisezionano uno dopo l’altro, ordinatamente. Mi riferisco all’omicidio di Terri Schiavo, emblema dell’eutanasia di vecchi e bambini, con cui insieme alle persone si uccidono compassione e pietà. Mi riferisco al fiume di gente disposta a morire suicida, cosa mai vista prima. “Amiamo la morte più della vita”: ma quando mai? Che al suicidio dell’occidente rispondono facendosi esplodere uno dopo l’altro (in fila?). Mi riferisco all’umanità misurata in percentuale: che percentuale di umano e che percentuale di animale c’è in un embrione uomo-vacca? Le ricordo che a parlare in questi termini era il capo dell’Hfea, un vescovo (sì, un vescovo) anglicano. L’anticristo di Solovev è roba da asilo Mariuccia, in confronto. E tutto questo perché? Per niente. Ha ragione lei. Questa roba si chiama Apocalisse.
Assuntina Morresi, Perugia
2 comments:
Khrishtu santus, se questa roba si chiama Apocalisse, come soprannominare la "crisi" in Darfur?
tra le altre cose...
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