lo Josi, che a quanto pare ha avuto modo di iniziare un discorso in vita sua dicendo "noi giovani", ci dice che il suo appello è "giocoforza ampolloso e un po' aulico". Ora, io di appelli ne ho letti (e scritti) almeno un paio, ma questo qui sotto - che verrà presentato mercoledì 20 marzo alle 1045 all'Ara Pacis - tutto è tranne che ampolloso o aulico è solo il fratello più giovane (ci mancherebbe!) della Corazzata Potemkin di fantozziana memoria. Eccovelo:
Un Patto
Una comunità è viva quando condivide un sentimento, una missione, quando si riconosce in una chiamata. Una comunità, assieme al piacere di ritrovarsi, può condividere una responsabilità che tuttavia la obbliga ad un impegno, ad un programma per chi verrà: non per decidere del destino altrui, ma per offrire il proprio.Sentirsi insostituibili è una debolezza umana che col passare degli anni confonde molti uomini, e si tenta invariabilmente di allungare l'esistenza e di negarne le età. Noi non possiamo sapere se tra dieci o venti anni cadremo nello stesso inganno, ma abbiamo la possibilità di pensare, sin da oggi, a uno strumento che ci impedisca di interpretare a nostra volta un ruolo civilmente malsano.
Sappiamo che un'indubbia gerontocrazia ha dato vita a generazioni che hanno rimosso e allontanato ogni avventura di responsabilizzazione, e che sono cresciute nell'idea di essere ancora giovani, ancora protette e inadeguate, magari all'età di quaranta anni. E' in questo modo che una società, come figlia di genitori morbosamente protettivi, non si sviluppa e ritarda il suo confronto con la realtà al pari di un adulto privo di adolescenza.
Per questo, forse, può servire accendere nel nostro Paese un comportamento, un'attitudine e obbligare una generazione a svegliarsi. Darle un segno per spiegare che il problema del suo futuro, la coperta o il tappo, non saremo noi.
Per poter cambiare, dunque, serve il tuo e nostro esempio che trasformi in realtà una necessità. Se tu non sarai il primo a farlo, non potrai pretendere che altri lo facciano per te. Non potrai chiedere ad altri un impegno che per te non vale. Perciò serve un gesto, uno strappo, forse una rinuncia.
Chi di noi, quindi, coerentemente a quando chiede ricambio e competitività, è disposto, oggi, a sottoscrivere un patto che lo impegni, raggiunta l'età dei 60 anni, a lasciare o non accettare un ruolo di leadership (cariche primarie della politica e dell'economia) continuando ad offrire il suo impegno nei ruoli di vice, di numero due, di saggio, di consulente o di qualsiasi altra posizione che consenta alla società di avvantaggiarsi e non disperdere la sua esperienza?
Guerre e tragedie, ad altre generazioni, hanno rapito il domani. Noi abbiamo avuto molto, e, se anzichè chiedere saremo pronti a dare, ad autolimitare a soli altri vent'anni la finestra del nostro potenziale primato, tutto ciò richiamerà all'obbligo di crescere chi giovane lo è ancora davvero.
Una comunità che diventa leader anticipa il cambiamento, anticipa un futuro passo indietro per obbligare altri a farne in avanti. Così vivono le nazioni che emergono, che esplorano: dove l'errore è lecito perchè si cresce provando, mettendo alla prova nuovi talenti.
Forse così, senza stupore, un giorno avremo un governo guidato da un quarantenne come Stati Uniti, Gran Bretagna o Spagna. Un quarantenne con vent'anni di responsabilità avanti a sè.
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