Sante parole, quelle di D'Elia, a proposito del merito della disubbidienza virtuale del deputato comunista Caruso, e del metodo anti-censoreo delle stronzate di un accattone di visibilita'. La deriva tra finzione e fatti ormai e' inarrestabile nella politica italiana, niente - assolutamente niente - di quello che si legge sui giornali o si vede alla televosione corrisponde a fatti. Tutto e' incentrato su dichiarazioni o minacce vuote che riciclano se' stesse in una spirale al ribasso sconcertante. Questi "crimini" non dovrebbero essere indultabili.
C'e' poi chi, proclamandosi 'comunicatore del terzo millennio' ci spiega che si tratta di uno sforzo mediatico teso a presentare le riforme liberali in modo maggiormente comprensibile e che per far questo occorra spesso anche "sdrammatizzare" buttarla sul ridere ricorrere allo "humour". Questi son sicuramente i peggiori, perche', in quanto sedicenti "cantori delle riforme necessarie" (e magari non sufficienti) divengono immediatamente funzionali al "regime" e acquistano grande "notiziabilita'" generando consensi quasi a tutto tondo spostando l'attenzione dall'oggetto del messagio al messaggio e ai suoi toni.
Mai come in queste ultime settimane e' affiorato il desiderio, quasi disperato, di tanti radicali di voler essere come tutti gli altri: dei politici "normale", gente di buon senso che, messi da parte gli eccessi pannelliani stile anni '70, finalmente riesce a far crescere di statura il movimento radicale catapultandolo nell'agone della (ragion) politica.
I radicali, ahime', sono un po' come Israele, non possono permettersi il lusso di buttarla sul ridere, almeno quando si parla della loro sopravvivenza.
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