"Sarebbe un errore giudicare la politica iraniana con occhi occidentali" cosi' commenta su “Notizie Radicali” il membro della Direzione di Radicali italiani Federico Punzi facendo le pulci a un pezzo scritto per il “Riformista” dal capolista della Rosa nel Pugno al Senato, capo-gruppo alla camera della Rosa nel Pugno e già sottosegretario agli Esteri Ugo Intini dal titolo "L'Iran torna protagonista grazie alla strategia di Bush".
Punzi, nel riproporre la logorata (dagli eventi) propaganda neocon della "promozione della libertà e della democrazia come unica possibile via alla soluzione dei problemi del mondo intero" (e del Medio Oriente in particolare), mette in bocca a Intini ciò che Intini non dice - in soldoni gli da del "realista" in politica estera - e inanella una serie di "distrazioni" che la dicono lunga sull'architettura del pulpito presuntamente "anti-realista" dal quale ci viene la predica.
Ma veniamo a noi. Intini attacca duramente, e giustamente mi si consenta, i patenti fallimenti della politica di Bush in Iraq e Iran andando indietro di 20 anni con la sua analisi. Nel suo raccontare quanto avvenuto negli anni '80 il Deputato della Rosa nel Pugno non ha nessun intento di inneggiare al bel tempo che fu, come invece gli imputa Punzi, bensì di ricordare che le politiche USA di quegli anni si basavano sulla promozione di una stabilità fondata sul conflitto ricercata nel dividi et impera (e finanzia). L'intento di Intini è quello di contestualizzare politicamente tanto la genesi del rafforzamento dei due regimi quanto la difficoltà di accreditare la "buona fede" le politiche post-9/11 dell'Amministrazione Bush.
A questa ricostruzione di Intini, Punzi come risponde? Ma naturalmente citando l'immancabile iranologo Michael Ledeen, tutore, all'American Enterprise Institute, di quell'Emanuele Ottolenghi citato poco dopo. Scrive infatti Punzi "certo, «il pilastro iraniano si è dimostrato il più solido e pericoloso». Ma non da oggi. Da anni lo va dicendo proprio un neoconservatore, Michael Ledeen, che indica nell'Iran il "Master of Terrorism" e ritiene che non sarà possibile vincere in Iraq, né sconfiggere il terrorismo, senza abbattere il regime degli ayatollah e senza affrontare una "guerra" di dimensione regionale." A parte il fatto che mi sa proprio che Ledeen non sia un neoconservatore, ma si sa che io di certe cose non me intendo, ma se mai Ledeen passera' alla storia relativamente all'Iran sara' per le sue gesta di segno diametralmente opposto a quanto canta Punzi in accompagnamento a Ottolenghi.
Infatti, nel suo "Perilous Statecraft" Ledeen racconta per filo e per segno quanto l'Amministrazione Reagan aveva orchestrato per non far mancare al regime fondamentalista di Khomeini, capostipite di tutti i "Master of Terrorism", quelle armi necessarie per combattere il pupillo ufficiale di Washington dell'epoca: il laico Saddam Hussein. Quel diabolico disegno e' passato alla storia col nome di "Irangate" (o Iran-Contras). Dal 1986 dicesi "Irangate" la scoperta del complicato intreccio di scambi che legava la vendita di armi "americane" a gruppi "moderati" iraniani (per carità) tramite Israele da parte di agenti e faccendieri, tra i quali Oliver North, nominati dall'amministrazione Reagan al fine di trattare la liberazione degli ostaggi americani prigionieri in Libano, ai proventi del traffico di armi segretamente dirottati per finanziare i Contras in Nicaragua e Salvador aggirando i divieti posti dal Congresso. Tra le altre cose, nel quadro dell'inchiesta, emersero anche responsabilità di George Bush padre, già direttore della Cia sotto la presidenza Carter, il quale avrebbe fatto tardare la riconsegna degli ostaggi americani a Teheran fino all'insediamento di Reagan e suo alla presidenza nel 1981. Vennero incriminati dall'autorità giudiziaria il consigliere per la sicurezza nazionale J. Poindexter e il già citato North (oggi editorialista di “Fox News”).
Può bastare? No.
Ora, mettendo da parte la fonte di cognizione dei passaporti e delle posizioni degli ayatollah, occorre ricordare ai lettori di “NR” che qualche tempo fa un altro ayatollah, certo tal Benedetto XVI nella sua prima enciclica, si era soffermato anche su temi più "politici" scrivendo tra le altre cose che «La Chiesa non può e non deve prendere nelle sue mani la battaglia politica per realizzare la società più giusta e possibile», per il Capo della Chiesa cattolica spetta però ai suoi uomini dare «un contributo specifico» attraverso «la formazione etica» affinchè «le esigenze della giustizia diventino comprensibili e politicamente realizzabili». Come la mettiamo? C'è un solo lettore italiano di “NR” che vive in questo paese da qualche anno pronto a prendere per buone le parole dell'ayatollah di casa nostra? E come mai il nostro ayatollah si e il loro no?
Ma non è tutto. Punzi continua col suo attacco a Intini scrivendo che 'Iran oggi è "ben più isolato di quanto lo fosse l'Iraq di Saddam, il potere degli ayatollah sempre più oligarchico, e la società iraniana ancora più distante dal regime". Se per voi un paese isolato è quello che alberga un giorno si e l'altro pure su tutte le prime pagine della stampa mondiale e riceve o scansa quotidianamente delegazioni di diplomatici alla ricerca del dialogo, sicuramente votate Punzi, se invece ritenete che "I falchi di Teheran hanno ormai una formidabile quinta colonna in Iraq dove grazie alla prevalenza sciita sono diventati protagonisti e interlocutori indispensabili. Possono incendiare, oltre all'Iraq, la Palestina e il Libano, attraverso Hamas e Hezbollah, portando la guerra ai confini di Israele" allora votate Intini.
Punzi, più avanti in una mossa che in basket mi pare si chiami "dai e vai", fa invece propria la lettura di Intini dicendo chiaro e tondo che le "illusioni "riformiste" di Khatami non sono da rimpiangere, perché non hanno portato alcun cambiamento nel paese" e che il regime "non ha mai smesso di alimentare il terrorismo, di inneggiare alla distruzione di Israele, di progettare nuovi armamenti e di torturare i dissidenti politici"... ohibo'! Il nostro ci mette quindi in guarda dal "giudicare la politica iraniana con occhi occidentali" poiché sarebbe "ingenuo ritenere che nelle elezioni [iraniane] si confrontassero davvero due opzioni alternative. Le elezioni non sono che il paravento di dinamiche tutte interne al potere oligarchico degli ayatalloah e la scelta di puntare sul volto duro di Ahmadinejad si spiega più con la crisi interna al sistema." Maddai?! chi l'avrebbe mai detto che le elezioni fossero un paravento di quelle cosacce lì? E pensare che in Iraq e Afghanistan c'eran sembrate una conquista del popolo liberato...
"Basta, basta" direte voi, e invece no! Punzi insiste e ci annuncia che "c'è qualcosa che gli ayatollah temono ancor più dell'uso della forza. Il timore che il mondo libero eserciti tutta la sua forza d'attrazione di libertà e democrazia". Oh, finalmente era l'ora che venissimo messi a conoscenza dei timori degli ayatollah anche perché, a star dietro a Intini, o almeno così dice Punzi, oggi s'avrebbe ancora Saddam a Bagdad... o forse no, visto che il nostro Ugo firmo il pannelliano "Iraq libero". Quanta confusione.
Quel che però io non arrivo a comprendere (ormai da tempo) è come si possa continuare ad appellarsi ai paesi democratici affinché comincino a "rivolgersi direttamente al popolo iraniano, a sostenere l'opposizione al regime". In quante occasioni i democratici si son rivolti all'opposizione nazionale e non-violenta al regime libico? O siriano? O cinese? O nordcoreano? O cubano? O iracheno? Ma anche kosovaro o serbo? Come mai si dovrebbe iniziare proprio da quella del secondo produttore di petrolio al mondo? Non si sa, o meglio si sa, ma non si dice. Per sostenere le proprie tesi, o dogmi, Punzi invece cita un altro pezzo apparso sul “Riformista” a firma Emanuele Ottolenghi in cui si legge che "la questione iraniana non è il nucleare in sé, ma la rivoluzione democratica, il rovesciamento della mullahcrazia: «Ci sono due conti alla rovescia in corso a Teheran» scrive Ottolenghi "uno, molto veloce, è quello della bomba; l'altro, molto lento, è quello della rivoluzione democratica. Il dilemma è semplice: quali politiche adottare per rallentare il primo e accelerare il secondo, di modo che l'Iran arrivi al rovesciamento del suo regime, prima che il regime arrivi a produrre la bomba?».
A parte la simpatia di quel "dilemma semplice" se le cose stessero come riassume Ottolenghi la terza guerra mondiale sarebbe alle porte. Tra le vittime della globalizzazione c'è da includere anche il principio d'autorità, pazienza direte voi, mica tanto dico io, perché così facendo ci si avvicina al molto tank e poco think.
Ho paura che con questi esperti di geopolitica il sol dell'avvenir sarà di là da venire ancora per un bel po'. Una prima contromisura però ci potrebbe essere: mandare al Senato lo stroncato Intini e a Teheran Punzi, hai visto mai che le letture ne traggano giovamento? ;)
4 comments:
caro perdukistan, non ho capito... c'è polemica?
%-)
c'e' polemica, c'e' polemica. io dico che solo un governo che afferma a casa propria tutte le liberta' individuali puo' pensare di essere efficace (o credible) nella promozione della democrazia mondiale. gli USA di bush non lo sono e tutto quel che fanno, e mi pare piuttosto evidente un po' dappertutto e in particolare in afghanistan e iraq, rischia di avere uno e un solo scopo. mantere la crisi di 'instabilita'' anche al fine di consolidare la propria presenza e industria militare... chiedete a questi 'esperti' di medio oriente se conoscono le riforme di diritto penale che son state portate avanti in afghanistan, per fare un esempio, e vediamo quando di americano c'e'. non c'e' niente! vi pare possibile che se uno vuol promuovere liberta' e democrazia non dice niente sulla sharia e l'esclusione della donna dai diritti fondmaentali?
Ricordo Rachel: terzo anniversario
Tempo di mesto memoriale,
di compassionevole ricordo.
Con passione,
mi ricordo.
Quando la rozza gesta umana
si veste di angelico aulico,
e profusa di empatia e intima comprensione
giunge al passo più tragico,
l'immolazione.
Il sacrificio della propria vita,
affinché dal proprio sangue versato
possa tornare a germogliare l'arbusto dello speranza,
primo innesto di una pace che ha radici antiche,
nonostante le affilate cesoie di un odio tirannico
come quello dell'esercito israeliano.
Rachel Corrie non è dunque morta invano,
se è vero e io l'ho potuto proprio in Palestina verificare,
che il suo esempio, il suo straordinario altruismo,
spinto ad un livello estremo,
ha sospinto molti altri, uomini e donne,
da diversi angoli del mondo
dopo di Lei,
ha ripercorrere quelle stesse vie di empatia e umana comprensione
che sono l'unica chiave d'accesso
verso l'evacuazione da ogni conflitto.
Vittorio.
goodnight
grazie guerrilla radio. come sei arrivato fino in perdukistan?
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