Questo post lo scrissi nel settore aperto da Angiolo Bandinelli nel forum di Radicali.it in "risposta" a un pezzo di Rocca apparso nell'autunno del 2004 su Aspenia dove l'americanista del Foglio risuonava quel ritornello che gli piace tanto della (presunta) vicinanza tra "radicali" e "neocon". Nei giorni scorsi alcuni commenti di Jinzo me lo hanno fatto tornare in mente e quindi mi pare utile riproporlo adesso in attesa che riapra Tocque-ville. Per il momento non aggiungo il testo che provoco' la mia reazione ne' le risposte di Capezzone e Rocca, ma presto arriveranno anche quelle perche' sono molto importanti e di ampio respiro. Ringrazio Paolo Breccia del repechage.
L'uscita di un articolo di Christian Rocca su Aspenia, dal titolo “Bush e le delusioni neocon” in cui, interrogandosi in assenza di interlocutore sull'operato dell'Amministrazione americana, Rocca iscrive i radicali nella possibile “galassia” dei neocon italiani mi suscita una serie di riflessioni - sicuramente tardive rispetto a quanto detto da alcuni di noi nei mesi scorsi in merito alla radicalità dei neocon e alla neoconsità dei radicali - che voglio condividere con alcuni degli interessati (Christian compreso), perché ritengo che si tratti di un pessimo servizio reso a quanto i radicali rappresentano con le loro lotte in Italia e a livello transnazionale.
Rocca (il cui articolo è annesso in coda a queste mie considerazioni e che vi invito a leggere) afferma che, per quanto non organizzati con statuti, sedi, bandiere e inni, i neocon sono un gruppo di liberi pensatori che da una trentina di anni si sono trovati sempre più spesso su posizioni simili e altrettanto sempre più spesso dalla parte politica opposta rispetto a quella con la quale avevano iniziato, o si erano identificati, all'inizio della propria carriera politico/intellettuale. Non mi interessa qui affrontare la veridicità di queste affermazioni, in particolare quella relativa alla non “organizzazione” dei neocon e al significato di liberal negli USA, ma credo che le biografie, le interconnessioni con l'establishment , le responsabilità di governo, le relazioni familiari, nonché la capacità di impatto sui media - il cosiddetto “spin” attraverso la magnificazione delle proprie idee con lenti “patriottiche” e la creazione di etichette ad uso e consumo della propaganda anti-neocon (cabala, idealisti pragramatici, liberal riformati etc.)- non possano essere totalmente dimenticate nella presentazione della “galassia” e nel paragone coi Radicali.
Detto questo, e messolo momentaneamente da parte, Rocca presenta il fronte italiano sintetizzando molto felicemente, con quella che chiama una definizione “terra terra” quel che i neoconservatori italiani, ammesso che esistano, hanno in comune (dalla lista degli ipotetici membri e dalla loro presunta unione di intenti, idee e posizioni, si potrebbe arrivare alla conclusione che la “galassia” esiste anche nel Bel Paese coi Radicali ben inseriti nel gruppo).
Scrive Rocca “una definizione più terra terra, ma che può aiutare a tratteggiare l'identikit del neocon italiano, è questa: un neocon è un intellettuale di sinistra, magari con un passato socialista, diventato poi anticomunista. Costui oggi considera la destra più attrezzata della sinistra nel difendere i valori della libertà, della democrazia, del capitalismo dal volto umano, della società e della famiglia”.
Faccia un passo avanti il Radicale che si riconosce in questa definizione. Io sicuramente no, né, facendo una rapida rassegna dei miei amici e compagni radicali, nonché della dirigenza storica del Partito radicale e delle sue evoluzioni transnazionali, mi pare di riconoscere alcuno con quelle caratteristiche e passato. Più avanti nell'articolo si legge “in ogni caso, esistono o no, i neocon italiani sono individui, singoli legati idealmente da un percorso personale che però non è mai sfociato in un'iniziativa politica o partitica né strutturata né comune.” Si evidenzia quindi la vicinanza con la presunta non coordinazione dei neocon americani sottintendendo anche la parallela totale mancanza di organizzazione politica e partitica in Italia dei nostri.
Ora, se questo non è sicuramente vero per quanto riguarda il fronte americano, essendo la guerra in Iraq l'emblema dell'iniziativa politica partitica strutturata dei neocon, la presenza dei Radicali nel fronte neoconservatore italiano andrebbe a porre dei problemi. Infatti, mi pare difficilmente arruolabile chi, come i Radicali, da sempre rivendica, Pannella in testa, la pienezza della rilevanza politica del sintagma e sostantivo “partito” nelle decennali lotte liberali, liberiste e libertarie portate avanti dai Radicali con massima attenzione all'organizzazione politica, alle responsabilità formali e alla trasparenza della propria gestione.
Rocca poi corregge – in parte - il tiro notando che “c'è un'altra esperienza italiana, contemporaneamente simile e opposta a quella dei neocon americani. La sinistra liberale, liberista e libertaria, dagli anni Settanta a oggi ha trovato rappresentanza quasi esclusiva nel Partito Radicale di Marco Pannella, di Giovanni Negri, di Adelaide Aglietta, di Leonardo Sciascia, di Enzo Tortora e di Emma Bonino e nelle loro grandi battaglie referendarie e sui diritti civili. Le posizioni dei radicali, così eccentriche rispetto all'ortodossia della sinistra dominante, sono state di volta in volta definite "radical fasciste" e anche peggio. Le accuse provenienti da sinistra, sia sui giornali dell'establishment sia in Parlamento, ricordano da vicino gli epiteti che i neocon subivano dai compagni più marcatamente leftist. I radicali, come i neocon, più che un partito organizzato sono un movimento di idee liberali, anticomuniste, capitaliste e americane”.
Ammesso e non concesso che i radicali abbiano idee capitaliste (una lettura liberale e ancor di più iniziative politiche liberiste sono a oggi sempre andate a scontrarsi col capitale e i capitalisti, sia che si tratti della Confindustria che non sostiene i referendum radicali, sia che si parli delle multinazionali intente a consolidare le proprie posizioni di monopolio e/oligopolio o cartelli con alleanze strategiche con regimi come Cina, Indonesia, Malesia, Vietnam e Singapore dove le libertà civili e politiche sono negate quotidianamente, ma dove il capitalismo – e innegabilmente la crescita economica – sono rampanti), la caratterizzazione anti-partitica che vedrebbe i Radicali come un movimento di individui e di idee è la premessa necessaria per la politica, e la e poetica, del “voto utile” (quello in favore dello schieramento “meno peggiore” ) che caratterizza sistematicamente le fasi finali (terminali?) delle campagne elettorali italiane...
Rocca si sposta poi sul fronte internazionale, segnalando che i radicali “pur divergendo sui temi dei diritti dei gay, sull'aborto e sulle droghe (a causa della matrice libertaria mai rinnegata dai pannelliani), convergono sull'esportazione della democrazia, sull'ingerenza umanitaria, sulla difesa di Israele, sulla necessità di riforme liberali e democratiche nel mondo islamico”.
Tralasciando cosa possa significare “la difesa di Israele” e premettendo che i radicali non “divergono”, come non “protestano”, credo che il riassumere la “matrice libertaria” dei radicali coi “diritti dei gay, l'aborto e le droghe” senza ricordare come i radicali, da antiproibizionisti liberali, abbiano lottato e lottino per “assicurare al paese” riforme “per il diritto alla vita e la vita del diritto” legalizzando scelte individuali al fine di consentirne un governo attraverso norme chiare e universali, vada denunciato come una grave non verità e mis-rappresentazione (al limite della lesività dell'immagine e dell'onorabilità politica).
Premesso quanto sopra, arriviamo al terreno più sdrucciolevole di tutta la questione radicali neocon neocon radicali: il “fronte internazionale”. Rocca infatti scrive “con la proposta di un'Organizzazione Mondiale della Democrazia, idea che piaceva agli interventisti democratici clintoniani, i radicali italiani tentano di costruire un ponte con il mondo neocon americano. A una domanda di Barbara Palombelli, durante la trasmissione Otto e Mezzo, Michael Ledeen ha detto di considerare i radicali di Pannella e Bonino come i più vicini ai neocon americani. Daniele Capezzone, segretario di Radicali italiani, nell'ultimo anno ha intrecciato un proficuo rapporto con i neocon americani, culminato in un invito a presentare un suo libro all'American Enterprise Institute e in una collaborazione con il Washington Times, giornale che dà ampio spazio alle tesi neocon.”
La confusione/sovrapposizione dell'iniziativa dell'Amministrazione Clinton chiamata “Community of Democracies” e l'”Organizzazione Mondiale delle Democrazia” è faccenda complessa, da noi mai affrontata appieno in tutti i suoi aspetti (non ultimo quello relativo agli “Stati uniti d'Europa e d'America”) e degna di più ampia attenzione, quel che mi preme affrontare qui è invece il “ponte” coi neocon. Ho ben presente che affinché contatti e partecipazioni a incontri possano portare al consolidamento di azioni comuni è necessario del tempo - e sicuramente la presentazione del libro di Capezzone all'American Enterprise Institute è un primo significativo passo nella direzione della costruzione di un rapporto di collaborazione con Ledeen e altri-, ma a me risulta difficile individuare le premesse e i “temi” per un “proficuo rapporto” coi “neocon” - o l'Amministrazione USA in generale - che possano far portare avanti un'iniziativa comune per porre la priorità democratica, nonché la necessità di una organizzazione delle democrazie, per assicurare un seguito concreto alle dichiarazioni, trattati, convenzioni e piani d'azione adottati negli ultimi 50 anni.
La totale sordità, a partire da quella Radicale, alla proposta “Iraq libero” di Pannella, dovrebbe portare alla conclusione che sintetizzerei con un terra terra “non si può cavare sangue dalle rape”. Vediamo perché. Alla retorica, impeccabile e stilisticamente splendida, affascinante, strappalacrime, della promozione della libertà e della democrazia nel mondo (per salvare gli USA da attacchi esterni) a oggi sono seguite solo scelte politiche di segno quasi diametralmente opposto.
All'impegno politico e diplomatico dell'unica superpotenza mondiale, che avrebbe potuto creare le condizioni per un esilio di Saddam in un paese terzo e aprire una fase di governo e gestione internazionale volte alla creazione di strutture istituzionali e sociali democratiche in Iraq (e questo grazie all'intrecciarsi di interessi, sentimenti e attività che vanno da quelle personali di individui alla Chalabi, a considerazioni geo-politiche più ampie e “neocon”, nonché al “complesso militare industriale”) si è preferito armarsi, c'è chi sostiene anche delle necessarie risoluzioni alle Nazioni unite, per affrontare la questione (quale?) in punta di baionetta senza ricercare un'alternativa, non dico non-violenta, ma di impostazione politica diversa che potesse anche fungere da avvio di un lavoro comune tra quei paesi che, magari in nome della propria difesa, nell'esercitare la propria leadership di “mondo libero e democratico” ritengono il metodo tanto importante quanto il merito.
Affrontare la questione “Organizzazione della/e democrazia/e” (e altrettanto sicuramente gli “Stati uniti d'Europa e d'America”) non tenendo presente le premesse, le implicazioni e l'impatto della guerra in Iraq non aiuta a individuarne i percorsi possibili per una riuscita. Quando ricordiamo il processo e le mobilitazioni internazionali che hanno portato all'istituzione della Corte penale internazionale, dobbiamo ricordare che all'inizio degli anni '90 la rivitalizzazione dell'idea lanciata dal Presidente Robinson di Trinidad e Tobago fu proprio un'idea degli americani (che poi la sospesero, ripresero e rallentarono nel decennio successivo), ma anche denunciare che se oggi c'è un nemico della Corte (di quel “primo segmento di giurisdizione internazionale” capace di porre fine all'impunità per i peggiori crimini contro l'umanità, magari fungendo anche da possibile deterrente per conflitti futuri) questi, oggi, sono ahimé gli USA più che i silenti Cina e Russia. Fin dal primo giorno in office, l'amministrazione Bush, coi neocon o no, ha fatto dell'indebolimento della Corte un punto centrale dei propri rapporti coi paesi in via di sviluppo applicando con fermezza la formula “niente soldi ai collaboratori con la CPI che non esentino i cittadini USA dalla sua giurisdizione”.
E' difficile immaginare la promozione della libertà e della democrazia attraverso campagne di questo tipo volte all'esenzione dei propri cittadini dalla giurisdizione della Corte basate su mistificazioni in merito alle norme relative alla complementarietà contenute nello Statuto (a meno che si ponga come possibilità il fatto gli americani non siano capaci o pronti a indagare i propri cittadini sospettati di essere responsabili di crimini di guerra, genocidio o crimini contro l'umanità).
Non mi soffermo su quanto, in nome della “guerra al terrore”, viene fatto negli USA (si potrebbe individuare forse nel Patriot Act, e magari pure in Guantanamo, l'emblema del rischio illiberale di gestione “dell'ordine pubblico”, che, con le dovute differenze – ma non credo che giovi a questo proposito il relativismo culturale e politico -, paradigmaticamente potrebbe portarci a parlare di apertura rischio “codice rocco” negli USA), ma credo che non tenere presento quanto costruito in onore dell'accoppiata “national security” e “pre-emptive doctrine” non ci aiuti a leggere quanto di illiberale sta avvenendo negli Stati uniti e quanto serie e devastanti possano essere le ripercussioni a livello mondiale.
E' difficilmente negabile che negli ultimi due anni negli USA, e a ritmo esponenziale, vi sia stato un dirottamento dell'attenzione pubblica, del “dibattito politico nazionale” (e internazionale) nonché delle conseguenti scelte governative e investimenti pubblici e privati a favore dell'ampliamento degli strumenti e tecnologie di controllo. Politiche, se non altro, distanti da misure liberali, liberiste e libertarie.
La sordità dei neocon americani al progetto politico pannelliano “Iraq libero”, che ha sicuramente caratterizzato anche la sponda europea dell'Atlantico a partire dal Parlamento italiano (ma che forse ci ha meravigliato meno), non può non trovare anche nell'anima proibizionista dei neocon (o nella disattenzione al problema) una delle radici di questo atteggiamento. Non è un caso infatti che le risorse umane e finanziarie della “guerra alla droga” siano ormati state quasi tutte interamente incluse nella macchina della “guerra al terrore” (coi soliti “divergenti” che se incalzati si affrettano ad affermare che, come non si è vinta la prima, non potremo mai vincere la seconda, tralasciando totalmente la considerazione che, magari, il problema è stato quello di lanciare questa nuova “guerra” e di averlo fatto con certe premesse).
Rocca, riaggiusta successivamente il tiro quando scrive che “poi, c'è Il Foglio. E c'è Giuliano Ferrara. Secondo alcuni analisti sarebbero i veri interpreti italiani del neoconservatorismo americano, non solo per il sostegno dato all'intervento in Medio Oriente ma anche per l'attenzione ai temi della crisi di coscienza dell'Occidente, dello spirito religioso nella società e della bioetica.” Se questo dovesse essere vero, e secondo me si avvicina molto a quanto i neocon dicono e fanno negli USA, non mi pare di intravedere nessuna consonanza con le lotte radicali. Avviandosi a concludere Rocca ricorda che in quanto fogliante si sottrae dal commentare “questa affermazione” e passa a “tentare una risposta al quesito iniziale: i neocon italiani sono contenti dei primi quattro anni di Bush?” Partendo col ricordare “sia la vaghezza del movimento neocon americano sia l'ancor meno chiara definizione italiana” Rocca scrive che i neocon italiani hanno “pareri contrastanti sul primo mandato di George W. Bush. Sostengono lo sforzo del presidente in Medio Oriente, e lo difendono ancora oggi, ma segnalano gli errori. Aver pensato, per esempio, che si potesse combattere e vincere una guerra "on cheap", al risparmio, con pochi mezzi, pochi uomini, poco sforzo è stata una decisione strategica sbagliata. Così come aver pensato di governare direttamente l'Iraq, con il proconsole Paul Bremer. Se Bush avesse immediatamente formato un governo iracheno responsabile, probabilmente le cose sarebbero andate meglio.”
Se questo è quello che i neocon italiani “rimproverano” a Bush (quelli che parlucchiano l'inglese noterebbero che si dice “on the cheap”), allora i Radicali sono fuori dalla “galassia” perché la proposta “Iraq libero” era alternativa all'attacco. Di conseguenza anche “un'altra critica a Bush che si legge spesso, specie sul Foglio, quella di aver voluto combattere una guerra politicamente corretta, evitando il più possibile lo scontro con le fazioni ribelli, con chi vuole instaurare in Iraq una teocrazia, con i fedeli del dittatore deposto. Il caso Falluja, città in mano ai miliziani e mai 'liberata', ne è l'esempio.” non ci riguarda.
Ci riguarda invece, nel merito e nell'attribuzione, l'affermazione secondo cui “altri neocon italiani lamentano che l'impegno a favore della diffusione della democrazia e della libertà sia più nelle parole che nei fatti: perché, ad esempio, Washington non è ancora riuscita a far partire un network televisivo credibile da contrapporre alla voce dell'Islam radicale che diffonde Al Jazeera? Insomma questi neocon italiani, come ha sintetizzato il radicale Daniele Capezzone, criticano Bush perché non sempre la sua politica è all'altezza delle sue stesse parole.”
Di parole Bush ne ha dette tante, e alle volte - in onore alla tradizione politica statunitense del flip-flop - anche di segno contrastante, ma sicuramente se c'è una cosa che difficilmente può essere rimproverata a Bush e ai suoi, dopo l'abbandono della piattaforma del conservatorismo compassionevole, della promessa di non impegno in questioni internazionali di State building (che è altro dall'isolazionismo di cui anche i Radicali lo “accusavano”) a della “maturazion neocon” è il non aver fatto seguire fatti alle parole.
Rocca poi accenna ad altre questioni che riguardano “l'inefficacia dei progetti di ricostruzione dell'Iraq, la scarsità di mezzi, le lotte di potere interne all'Amministrazione, una certa ingenuità di approccio ai problemi del Medio Oriente, un inadeguato sostegno alle forze democratiche del mondo arabo” (che in parte anche i Radicali hanno avuto modo di notare, incidentalmente, ma con altre argomentazioni e venendo da premessi diverse) e passa a uno dei noccioli della questione notando putroppo superficialmente che “ai neocon italiani, ancora, non piace l'ambiguità dell'Amministrazione rispetto alla famiglia reale saudita né la confusionaria e contraddittoria politica nei confronti degli ayatollah iraniani, i grandi destabilizzatori del Medio Oriente”. Il ruolo dei sauditi nella promozione e finanziamento dell'evangelizzazione wahabita nel mondo, e delle naturali conseguenze dell'odio che questa propaga, dovrebbe forse divenire una delle priorità della “guerra al terrore”, altro che “politiche confusionarie e contraddittorie”!.
Novità, interessante, ma assente all'interno del dibattito dei Radicali, le influenze neocon sulle scelte di politica economica dell'Amministrazioe Bush. Rocca afferma che agli omologhi italiani piace “la politica fiscale liberal libertaria di Bush. E ora che il presidente ha detto di essere interessato al radicale progetto avanzato dallo speaker repubblicano della Camera, Dennis Hastert, di abolire l'intera imposta sui redditi e di sostituirla con una tassa sui consumi, l'ammirazione si fa più intensa, specie se paragonata alle timidezze fiscali dei politici italiani”. Ferma restando da verificare la svolta economica dei neocon, risulta se non altro problematica la liberalità della riduzione delle tasse “a prescindere”.
In conclusione Rocca riassume le bocciature del “fronte libertario dei cosiddetti neocon italiani” in merito alle “posizioni di Bush contrarie al matrimonio gay e, soprattutto, al finanziamento federale sulla ricerca scientifica sugli embrioni” senza ricordare che queste “posizioni” come i Radicali ben sanno, hanno suggerito l'elaborazione di proposte politiche anti-liberali che hanno portato l'Amministrazione Bush all'introduzione di un emendamento costituzionale per ratificare la santità del matrimonio tra un uomo e una donna (respinta dal Congresso), e alla campagna in sede Onu a sostegno della proposta costaricense della messa al bando della ricerca scientifica sulle cellule staminali embrionali (sospesa grazie all'iniziativa dell'Organizzazione della Conferenza Islamica).
Non ricordate nel saggio sono inoltre altre misure illiberali dell'Amministrazione Bush meno eclatanti, ma non per questo meno rilevanti, volte a creare una sorta di finanziamento pubblico delle chiese attraverso il sostegno di scuole confessionali, progetti specifici volti all'aiuto delle madri single, promozione dell'astinenza (sessuale o del consumo di “droghe" legali e illegali), recupero degli alcolisti, tossicomani e senzatetto, nonché una miriade di progetti di cooperazione e sviluppo in Africa e America Latina. Per non parlare dei 2.200.000 di carcerati.
“Dalle colonne del Foglio, invece” termina Rocca “il dibattito intellettuale americano sulla bioetica e sui problemi filosofici legati alla manipolazione genetica è seguito con grande attenzione” insomma “Ammesso che esistano” i neocon italiani, essi sarebbero “soddisfatti”, ma a leggere bene solo delle misure economiche - che non necessariamente sono frutto della persuasione neocon - o del presunto dibattito filosofico su qestioni di etica, “ma anche delusi da Bush” perché poco Busciano.
Ecco, ammesso che esistano i neocon italiani (e secondo me esistono), i Radicali, che lottano organizzati politicamente per legalizzare e liberale l'Italia (e forse il mondo) non ne fanno parte, perché non ne possono far parte. Collaborarci su questioni specifiche è e/o potrebbe essere altra cosa, ma essere venduti come tali no. I Radicali, con le loro proposte e progetti politici liberali, liberisti e libertari, rappresentano da un cinquantennio l'alternativa al “regime” tanto di qua quanto di là dell'Atlantico.
Uno degli slogan radicali che è valido per tutti i tipi di manifestazioni è sempre stato “ladri di verità”, qui il furto è più sofisticato, ma non per questo non va fatta giustizia!
14 comments:
Non sono ben sicura di aver letto tutto e aver capito...Comunque vorrei dire la mia..per quel che vale.
Io mi considero neo-conservatrice nel senso che una volta ero molto più orientata verso tutti i tipi di liberalizzazione.
Oggi, dopo il mio trasferimento e gli anni trascorsi qui, ho constatato che mi riconosco molto di più nel conservatorismo Bushiano che nel liberalismo ad esempio canadese. Mi sembra che i radicali italiani oggi, dopo aver sostenuto tante buone battaglie, stiano andando verso battaglie che ci porterebbero verso una società molto simile a quello in cui vivo, quella ultra liberale del Québec.
Un ultraliberalismo che per me significa perlopiù menefreghismo, pacifismo per pigrizia,multiculturalismo per vuoto alternativo, ipersessualismo per soldi ed opportunismo, ateismo per bigottismo laico.
Se Rocca pensava che i neo-con italiani sono i radicali, mmmhhh, non penso proprio, ma posso sbagliarmi. Per me neo-con vuole dire quello che dice la parola stessa e quello che il partito repubblicano americano rappresenta per la maggior parte dei tradizionalisti americani del Thanks-Giving col tacchino. Forse che gli ex-democratici americani si vergognano di fare fino in fondo i conservatori e si sono inventati un vestito nuovo?
Ciao Marco!
La reazionaria ( da reazione ) canadese..
buon anno lontanta. son pienamente daccordo con te su cosa siano i neoconservatori, mentre invece dubito che se i radicali governassero l'italia diventerebbe quel che tu paventi. questo pezzo e' della fine del 2004 e quindi necessita di qualche aggiornamento, settimana prossima cerchero' di metterci mano e vediamo come riesco ad affrontare anche le tue "paure" ultraliberali.
fa freddo costi'?
Sì, fa freddino, ma é tutto talmente bianco e immacolato e c'é tanta luce, che é piacevole andare a passeggiare con lo scafandro e i moon booth..;-)
Ma tu, sei tornato nel nuovo continente?
Sì. E' tornato. Vedi il post del 27 dicembre 2005:
Perdukair
DL0151 VCE ETD 1125 JFK ETA 1455
Per prevenire la domanda di Lontana, preciso che VCE è il codice IATA dell'aeroporto "Marco Polo" di Venezia.
Per prevenire un'altra domanda di Lontana, preciso che IATA è la sigla della International Air Transport Association.
http://www.iata.org/index.htm
grazie egli
Mamma mia, Egli....!
Abbiamo una divinità che segue gli spostamenti...?
Io volo con Air France.. flying blue...classe economica...;-)
vergognati lontana di viaggiare coi francese!
Una divinità? Tutt'altro. Io sono un individo mediocre.
Duca, ma non eri transnazionale?
Non ho scelta, Alitalia non serve Montreal...però é socia con AF e Klm... e poi costa meno..
son transnazionale, ma chiunque s'infili a charles de gaulle sa quando entra ma non quando e con quante valige esce...
Mai avuto problemi al CDG. Ma non faccio testo. Ho casa a Parigi e viaggio senza bagaglio.
egli, non t'e' mai nemmeno crollato il pavimento? oppure non t'hanno trattato male? su dai qui puoi dirlo
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