Finito il Summit Mondiale sulla Società dell'informazione tenutosi a Tunisi dal 16 al 18 novembre 2006 son iniziate le solite analisi e polemiche sull'esito della riunione e in particolare sul compromesso finale che ha visto i paesi democratici confermare da un lato l'ICANN come “gestore” della rete e dall'altro avviare un processo “multilaterale” che nel 2006 culminerà con la convocazione di un Forum internazionale ad Atene per discutere, presumibilmente, di alcune delle eccezioni - ma si spera anche di altro - sollevate nei mesi scorsi da decine di stati membri dell'ONU in merito alla Rete.
Assieme a Marco Cappato fin dalla fine del 2002 abbiamo seguito attraverso il suo lavoro al Parlamento europeo i preparativi per il Summit tunisino, mentre anche con Gianluca Eramo, Gaia Carretta e Mihai Romanciuc in seno alle Nazioni unite a Parigi e Ginevra, in qualità di rappresentanti del Partito Radicale Transnazionale all'ONU, abbiamo partecipato alle fasi preliminari del Summit producendo documenti di vario tipo denunciando fermamente le derive autoritarie e anti-liberiste dei negoziati
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Col passare del tempo infatti, e non sempre su stimolo delle vituperate (quasi sempre a prescindere) Nazioni unite, o del “capro espiatorio” dai paesi non-democratici, si è assistito al fiorire di proposte basate su soluzioni tecnicistiche e burocraticistiche che insinuavano, dietro slogan che aggiravano il problema principale, il progetto della cristallizzazione dell'esistente ampliando l'intrusione nella privacy dei “naviganti”, finanziando governi di paesi in via di sviluppo con fondi di “solidarietà digitale” tardo-terzomondisti e proponendo onerose legislazioni in materia di proprietà intellettuali, diritti d'autore e brevetti, nonché forti limitazioni a sistemi operativi e piattaforme “alternative” o “non-commerciali” e quindi antagoniste ai prodotti maggiormente diffusi.
Alla notizia del raggiunto accordo sul futuro della gestione della Rete, con Marco Cappato ci siamo dichiarati soddisfatti (lo ha fatto l'ICANN stesso poco dopo) del risultato dei negoziati perché sia nel merito - il confronto tra democratici - che nel merito - il non retrocedere in merito a quanto di positivo l'ICANN ha garantito in questi anni - il compromesso finale arginava buona parte degli attacci stumentali e in cattiva fede sferrati da vari governi alla vigilia di Tunisi. Allo stesso tempo, anticipando quanto poi molti opinionisti statunitensi hanno fatto dalle colonne del Wall Street Journal, Los Angeles Times o dell'arci-conservatrice Heritage Foundation, abbiamo riconosciuto la necessità si seguire da vicino quanto accadrà all'interno del proposto Forum Internazionale al fine di tenere sotto controllo le varie porposte di “riforma” che altro non sono che misure di ulteriore arginamento delle libertà individuali ed economiche.
Ma quale sarebbe il problema principale aggirato a Tunisi?
Come sintetizzato sempre con Cappato in una lettera al Foglio del 17 novembre scorso, e riproposto in un'analisi apparsa su Notizie Radicali il 22, la Rete è ben altro da quella prateria libera e sconfinata che molti governanti e opinionisti vorrebbero venderci; infatti essa è regolata non solo da leggi nazionali o direttive regionali, ma anche dalle finite combinazioni numeriche che ne costituiscono l'architettura interna la cui chiave si trova nella Suite 33 dell'Admiralty Way a Marina del Rey in California.
Ora, come si sa, il mondo si divide in “americani”, “amerikani”, “anti-americani”, “americanofili” e, ahinoi, “americanisti”, quindi occorre sempre tener presente che quando si muovono critiche agli Stati uniti lo si fa consci di camminare sulla lama di un rasoio particolarmente affilato e certi di dover subire le bacchettate del ranger di turno (non me ne voglia Federico Punzi). Però, proprio in virtù del ruolo che gli USA giocano nella gestione e promozione della Rete non credo si possa fare economia del ruolo che essi giocano e fanno giocare ai lori alleati, partner e “avversari”.
Qui ci si ritiene americani (senza “k” però) e da tempo - e con sistematicità crescente, specie da quando con Cappato nella primavera del 2003 ci siamo imbattuti quasi per caso in Richard Stallman negli uffici di Washington, DC, di Epic.org - si sostengono le proposte e “tesi” prodotte e sviluppate negli Stati uniti dal movimento “radicale” e “transnazionale” nato per affermare la possibilità di sviluppare del software libero. Questa nostra attenzione e sostegno all'egalitarismo libertario degli amici americani vuole tentare di aggiornare la proposta politica radicale del governo liberale dei fenomeni del XXI secolo.
Dalla seconda metà degli anni '80, il movimento per il “software libero”, ispirato dal geniale Stallman, ha avviato una serie di iniziative volte a contrastare le illiberali tendenze al monopolio e oligopolio che stavano iniziando a caratterizzare tutto quanto ruotava intorno ai sistemi operativi, allo sviluppo dei software, alle proprietà intellettuali con ripercussioni che sarebbero arrivate a toccare i diritti d'autore e i brevetti. Stallman e i suoi, spesso considerati eccentrici se non “folli”, condensano in maniera non metodologicamente organizzata dal punto di vista filosofico slanci libertari e proposte collettiviste e possono essere ritenuti i “padri fondatori” di nuovi scenari tecnologici, ma anche politici, che sono alla base delle codificazione aperte e partecipative dei programmi alla Linux o, più in generale “open source”, fino a più recenti sviluppi in materia di proprietà intellettuali culminate col lancio dell'Electronic Frontier Foundation e la proposta di un nuovo approcci al copyright come quelli promossi dal think-tank Creative Commons (il cui animatore Lawrence Lessig, sempre per caso, incontrammo in quel felice 2003 sempre con Cappato). Tendenze, sviluppi, mobilitazioni e pubblicazioni che stanno consolidandosi in un movimento transnazionale che si batte per la libera cultura e la difesa di quel che dovrebbe poter essere di “dominio pubblico”.
La difesa, ma anche la promozione del “dominio pubblico” include, tra l'altro, anche l'idea Pannelliana di ritenere fondamentale, per la stessa democrazia, la pubblicità dei processi decisionali e quindi di consentire, senza filtri e commenti, proprio come fa Radio Radicale da 30 anni, l'accesso online a documenti e dati. Dal 1998 l'archivio di Radio Radicale è anche video, grazie alla nascita del sito internet www.radioradicale.it, creato da Rino Spampanato, uno dei pionieri dell'informazione in lingua italiana sulla rete. In un comunicato di Radio Radicale del 19 novembre scorso, si annuncia che il sito « adotterà le licenze Creative Commons per ampliare le possibilità di realizzazione del suo obiettivo storico: quello di consentire l'effettiva realizzazione del principio di pubblicità dei momenti decisionali democratici, di promuovere l'accesso del maggior numero di persone alla conoscenze diretta degli eventi politici e di contribuire alla libera circolazione delle idee ».
L'obiettivo del sito di Radio Radicle è quello di aprire alla navigazione ragionata e creativa tutto quanto è o può divenire di interesse pubblico. Come ha detto Diego Galli alla prima giornata italiana di Creative Commons « la circolazione dell'informazione, nell'era di internet e del digitale, significa possibilità di copiare, riprodurre, distribuire e utilizzare per la realizzazione di opere derivate, [a radioradicale.it] abbiamo assunto la decisione di mettere a disposizione su internet tutto il nostro archivio video, e progressivamente anche l'archivio audio, adottando la licenza Creative Commons che consentono anche di realizzare un altro obiettivo centrale della nostra politica della comunicazione: quello della possibilità di una comunicazione non unidirezionale, di una ricezione non passiva. Siamo stati una delle prime radio in Italia a sperimentare i filidiretti, grazie ai quali gli ascoltatori possono intervenire senza alcuna selezione preventiva ».
Radio Radicale, che forse sconta un leggero ritardo rispetto a queste evoluzioni tecnico-filosofiche ha da tempo dato mandato a un gruppo di programmatori open source di mettere a punto una piattaforma capace di consentire la ricerca gratuita e senza limiti, tranne che il riconoscimento del fornitore del materiale, di consultare il proprio archivio fatto di sedute parlamentari, congressi di partiti, conferenze stampa di governo e leader politici, processi e iniziative e mobilitazioni dei vari soggetti dell'area radicale.
La rivoluzione digitale e i suoi strumenti
Secondo stime, forse eccessivamente lusinghiere, è stato calcolato che la crescita esponenziale di accessi alla Rete degli ultimi anni ha fatto quasi raggiungere il miliardo di naviganti. Quello che oggi è per la stragrande maggioranza dei suoi utenti un mezzo di comunicazione significativamente più economico di altri può divenire domani un luogo dove poter affermare i propri diritti individuali, sia civili che politici, intraprendere, far avanzare ricerca scientifica e sviluppi tecnologici.
Tutto questo non può continuare però a essere gestito da un'associazione privata perché nel caso di violazioni, interferenze, abusi di posizioni dominanti, dinamiche tendenti al monopolio o al consolidamento di cartelli economici e di potere, deve poter esistere un meccanismo super partes attivabile dagli utenti e in grado di affrontare e risolvere dispute in merito a diritti civili e libertà economiche sulla base delle norme universali oggi riconosciute da oltre 160 stati membri dell'ONU. Paolo Pitrosanti da qualche tempo sostiene che alla Rete “serve una Corte sopranazionale o almeno, intanto, che le corti federali USA dichiarino la loro competenza, che a parere di Pietrosanti “sarebbe giuridicamente fondatissima: una corte cui il Cinese possa rivolgersi, come oggi ci si può rivolgere alla Corte dell’Aia”. Una Corte ad hoc con giurisdizione universale dovrebbe essere promossa dal Consiglio di Sicurezza mentre tutte le volte che le Corti americane si sono pronunciate in merito a dispute internazionali le sentenze son state simboliche, importanti, ma simboliche. Il Problema però resta in pieno; infatti a chi posso appellarsi oggi le migliaia di liberi pensatori critici dei propri governi non democratici che, per aver osato criticare l'operato del governo o chiesto riforme democratiche, passano anni in galera? Oppure dove si può rivolgere il commerciante che dalla mattina alla sera si vede scomparire dalle schermate di tutti i motori di ricerca perché questi hanno deciso, e non necessariamente perché il servizio è diventato a pagamento, di farlo scomparire del tutto o retrocedere a pagina 100 dei risultati della ricerca?
La difesa delle libertà civili ed economiche e di quanto deve poter essere di dominio pubblico, inteso sia come innovazioni « umanitarie » o funzionali allo sviluppo di programmi di vario tipo sia che si tratti di documenti, atti di rilevanza politica oppure di prodotti commerciali non può che essere complmentare alle iniziative di promozione della libertà e della democrazia. Gli Stati uniti son nati 230 anni fa da una spinta che voleva vedere riconosciuto politicamente quanto i coloni pagavano in tasse e dazi alla corona nonché dall'opposizione a uno stato di polizia che poteva detenere arbitrariamente i propri sudditi. Gli USA son figli di una rivoluzione riformatrice nata dal question authority, una rivoluzione che oggi, grazie alle sue evoluzioni digitali, potrebbe affrancare miliardi di persone. Il problema è che i liberi, in ossequio al presunto libero mercato e alla guerra al terrore stanno seriamenti minando la possibilità tecnica di un utilizzo politico della Rete stessa.
Infatti, come si può pensare di essere credibili quando si afferma la necessità di ricorrere a azioni di public diplomacy e allo stesso tempo si perseguono penalmente minorenni perché manomettono elettrodomestici di loro proprietà per vederci video oltre che per utilizzarli come consolle per i videogames? Oppure chi crederà alla minaccia di bombardamenti di informazione antagonista se in un paese come l'italia non è possibile registrare un sito internet che ha una bestemmia come URL? O più in generale come si può pensare di vincere le menti e i cuori di coloro costretti a vivere in totale mancanza di libertà se anno dopo anno si estendono (oggi negli USA si arriva fino a 95 anni) i diritti d'autore per opere di intrattenimento che, proprio perché emblema del « sogno americano », dovrebbero essere messe a disposizione di tutti gli abitanti del pianeta? Dopo tutto Hollywood è nata perché il signor Fox, che non voleva pagare i diritti di copia delle proprie opere alla Kodak, decise di spostarsi da New York a Los Angeles!
Tutto questo era presente a Tunisi solo tangenzialmente, e principalmente grazie alle Organizzazioni Non-Governative. il Partito Radicale Transnazionale con l'associazione IP Justice ha organizzato il 17 novembre una tavola rotonda parallela sui temi “P2P File-Sharing, Digital Rights, and e-Democracy » per esaltare la potenziale portata rivoluzionaria di quelle tecnologie e denunciare la criminalizzazione di un modello di interazione individuale che, proprio perché basato sulla collaborazione diretta tra individui che si considerano parimenti dotati di libertà non necessita da una parte di soggetti intermedi fornitori di vari servizi e supervisione e dall'altra favorisce l'arricchimento partecipativo di prodotti dell'intelletto e innovazioni tecnologiche.
Libertà di ricerca, attivazione di meccanismi democratici, partecipazione diretta e ampliamento della sfera di libertà individuali ed economiche sono da sempre temi di iniziativa radicale, occorre iniziare a estenderli anche al mondo virtuale in vista del Forum di Atene affinché questo passi alla storia per aver lanciato la nascita di una cyber-agorà finalmente libera da proibizioni.
(Continua...)
2 comments:
Simpaticamente un mio commento: http://jimmomo.blogspot.com/2005/12/il-problema-di-internet-gli-stati.html
:-))
ciao
lo vedrò da un vero computer ora bloggo dal mio treo 600 da JFK ;-) a presto ciao
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