Se ci sono dei colpevoli silenzi sulle droghe, e sicuramente ci sono, non son tanto quelli degli intellettuali o scrittori engagé, come lamenta Antonio Polito, ma quelli dei governi. E senza la stratificata complessità dei dati che descrivono il fenomeno droghe, le citazioni colte rischiano di far sviare il discorso. Un discorso che da sempre è pregiudizialmente e acriticamente contro le sostanze stupefacenti.
Le relazioni per il Parlamento che il Dipartimento Politiche Antidroga pubblica, seppur spesso in grave ritardo, non vengono lette da chi le commissiona né dai destinatari; la Conferenza nazionale sulle droghe, prevista per legge ogni tre anni, non viene convocata dal 2009; i numeri sulle morti per overdose, i raid nelle scuole o le tonnellate di droghe sequestrate, vengono sempre presentati con aumenti percentuali e mai nei loro numeri effettivi, per non parlare della vulgata della cannabis come droga di ingresso nel mercato delle sostanze pesanti smentita da decine di studi italiani e internazionali.
Le sostanze psicoattive accompagnano l'esperienza umana in tutto il mondo da almeno 4000 anni - tra l'altro niente è più culturalmente e vanto del Made in Italy che una sostanza "da sballo" come il vino - ma nel 2019 c'è ancora chi le dipinge come un rifugio autodistruttivo al vuoto interiore. E poco importa se questi riempimenti ci hanno dato i misteri eleusini, Baudelaire, i Beatles, i Rolling Stones o Jimi Hendrix, l'edonismo individualista è comunque da condannare - e non si sa se più perché edonismo o più perché individualista.
Ferma restando la necessità di legalizzare prima di liberalizzare, occorre che il fenomeno "droghe" venga affrontato in modo tale che sia il legislatore a coordinare e gestire i contributi favorendo un dibattito pubblico che non sia circoscritto alle "famiglie anti-droga" o le "comunità di recupero" perché, a oggi, da loro non è arrivata altra soluzione che non fosse il "just say no".
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